I. La sua natura
Ciascuno di noi ha un temperamento particolare che comprende tutto il nostro modo di sentire, giudicare, simpatizzare, volere ed agire. Questo temperamento va perfezionato da ognuno di noi mediante la pratica delle virtù cristiane. Ciò che può impedire quest’opera di perfezionamento, oppure eventualmente portarci alla rovina eterna, è ciò che si chiama ‘il difetto dominante.’
Padre Garrigou-Lagrange OP lo descrive come: ‘Il nostro nemico domestico albergante al nostro interno… talvolta è come una fessura nel muro che appare solido ma non lo è: come una crepa, impercettibile a volte ma profonda, sulla splendida facciata di un palazzo: un palazzo che un scossa vigorosa potrebbe far crollare fino alle fondamenta.’
Allo stesso modo come una crepa, possiamo scorgere il nostro difetto dominante, ma pensare che esso sia superficiale e non scavi in profondità; oppure, scorta in passato ma intonacata, non la si nota più. Prudenza impone, invece, che, se la crepa nel muro viene vista, la si esamini e se ne valuti la profondità: forse c’è effettivamente un problema strutturale che minacci l’intiero edificio.
Esempi di difetti dominanti sono: la debolezza morale, la pigrizia, la gola, la sensualità, l’irascibilità, e la superbia. Il difetto dominante può informare e caratterizzare il nostro temperamento intiero, compromettendo la nostra virtù dominante, la quale è, per citare di nuovo Padre Garrigou – Lagrange: ‘La felice tendenza della nostra natura’, la quale dovrebbe svilupparsi e crescere con l’aiuto della Grazia. Questa virtù dovrebbe se stesso determinare il temperamento di ognuno.
Valutiamo l’esempio di qualcuno di temperamento passivo, paziente, docile e rassegnato, la cui difetto dominante e’ la debolezza morale, la cui virtù dominante è la dolcezza. Se il difetto dominante prende il sopravvento, la persona sarà preda del rispetto umano, della codardia morale, dell’ irriflessiva conformità alle convenzioni ed alle mode del Mondo, preda dell’indulgenza eccessiva, fino al punto talvolta di perdere completamente le sue forze, anche fisiche.
Non sarà più dolce e mite, bensì semplicemente debole; sebbene si consideri, come anche tutti gli altri lo considerino, dolce, mite, buono, e gentile. La vera dolcezza è andata schiacciata, soppressa, e distrutta dalla debolezza morale. Similmente, alcuno di un temperamento forte può avere come virtù dominante la forza d’animo nell’affrontare l’ingiustizia; come difetto dominante, invece, l’irascibilità e la rabbia. Il pericolo per costui è il dar libero sfogo alla sua irascibilità, cosicché la sua forza d’animo degeneri in violenza irragionevole nelle parole, nelle opere, e nei pensieri, il che può procurare danni indicibili agli altri, ma sopratutto a se stesso.
E’ essenziale quindi, innanzitutto, riconoscere il difetto dominante e poi combatterlo. Scoprendo la debolezza morale in noi, avremo da contrastarla, chiedendo assiduamente a Dio di farci forti, per far fronte ai nostri doveri ed alle nostre responsabilità, ed alle spiacevoli sfide che in continuazione la vita ci pone, anche se nessuno ci osservi per riprenderci per il fatto di essere negligenti o disimpegnati.
Accorgendoci, invece, che siamo irascibili, bisogna lavorare su noi stessi con la Grazia di Dio and sottomettere la nostra irascibilità ad un controllo rigoroso, e di conseguenza, imparare la dolcezza e la docilità, anche se (come nel caso di sant’ Ignazio Loyola e san Francesco de Sales) questo può comportare un lavoro di molti anni.
Ma in fin dei conti, se siamo al mondo per perfezionarci, non trattasi qua di un lavoro importante? – almeno sullo stesso livello dei doveri del nostro stato di vita, dei nostri impegni quotidiani, e delle opera di carità tramite cui possiamo cercare di aiutare il prossimo. Non si devono amare se stessi, allora, come si ama il prossimo? E il proprio perfezionamento morale non è forse il vero amore per se stessi?
Se le motivazioni di tutto il nostro agire sono viziate – dall’orgoglio per esempio, allora sarà viziato anche tutto il nostro agire; se siamo deboli, invece, allora rinunciamo a molte azioni buone che avrebbero portato a loro volta a molte conseguenze positive; se siamo irascibili e rabbiosi, combiniamo attorno di noi, secondo la parola dello stesso padre Garrigou-Lagrange, ‘ogni tipo di disordine’; se siamo critici verso gli altri e nutriamo e coltiviamo le antipatie, allora contravveniamo costantemente al comandamento del nostro Signore di amare il prossimo.
Col passare del tempo, il difetto dominante diviene abitudine, ed informa e colora tutto il nostro temperamento, cosicchè divenga per noi cosa naturale sentire, giudicare, pensare, ed agire secondo la sua influenza; e perciò diviene per noi difficile riconoscere la presenza di quel difetto, perchè di esso ci siamo gia’ totalmente impregnati.
Oppure, se lo individuiamo, difficilmente lo ammetteremmo – soprattutto se siamo superbi. Ma se pure individuiamo la presenza di questa crepa nel muro, e la ammettiamo altresì, rifuggiamo dal volerla esaminare se siamo moralmente deboli, o se temiamo la conversione, e, con ciò, il dover cambiare le abitudini e la vita intera.
Nel frattempo entra il demonio con le sue astuzie. Lui conosce bene il nostro difetto: ci lavora sopra sin dall’inizio della nostra vita. E` lui stesso che ha intonacato la crepa e l’ha verniciata, o aiutatoci a farlo. Aumenta la nostra cecità nel non vederla, la nostra superbia nel non ammetterla, la nostra paura di dover poi ricostruire tutto l’edificio, se ciò si ha da fare.
II. Come scoprire il difetto
Abbiamo detto che il difetto dominante può informare e colorare il nostro temperamento intiero: il modo in cui sentiamo, giudichiamo, simpatizziamo, eserciamo la volontà, e agiamo. Se lo potessimo identificare, per trasformarlo, potremmo gradualmente cambiare il temperamento per il meglio e divenire persone migliori: più amorevoli verso Dio e verso il prossimo; più in pace; più pieni della luce della Grazia; più felici; più in grado di diffondere la luce di Dio in questo mondo e nel Cielo.
Sarebbe una grande grazia, dice padre Garrigou-Lagrange, incontrare un santo che ti potesse dire: “Questa è il tuo difetto dominante; questa è la tua virtù dominante. Con questa virtù devi vincere il difetto, e poi informare e colorare tutto ciò che fai, pensi, e dici: i tuoi sentimenti, i tuoi desideri, la tua visione di tutto.” Questa virtù è, per così dire, il veicolo nel quale bisogna avanzare attraverso il mondo con generosità e determinazione sulla via dell’unione con Dio.
Sarebbe davvero una grazia trovare un tale santo, ma altrimenti come possiamo scoprire il difetto dominante? Scoprirlo all’inizio della vita spirituale o della nostra conversione, è cosa relativamente facile. Ma col passare del tempo, ci abituiamo, e giudichiamo tutte le cose nella sua luce; si impadronisce dell’anima, e, scendendo poi nel più profondo del nostro essere, si presenta persino come parte di noi stessi. Ci abituiamo: anzi ci identifichiamo con esso e non ce ne possiamo più separare. Dopo essersi ben radicato in noi (osserva il nostro colto e saggio teologo) ripugna ad essere smascherato e combattuto, perché vuol regnare in noi e su di noi: si nasconde, anche dietro l’apparenza di virtù.
La debolezza si traveste negli abiti poveri dell’umiltà; l’orgoglio in quelli della magnanimità; l’ira nell’apparenza di giustizia e di santo zelo. L’uomo, il maestro dell’ autoinganno, finisce per vantarsi proprio di quel difetto che è il suo peggior nemico, e lo esalta come se fosse una virtù. Se il prossimo ci accusa di quel difetto, rispondiamo con convinzione: “Caro mio, avrò pure tanti difetti ma ti assicuro che questo non è fra loro.” Anche se lo dovesse menzionare il Direttore spirituale, scuotiamo solennemente la testa, e le giustificazioni si presentano prontamente alla mente. Di fatti il difetto dominante eccita facilmente le passioni: le comanda come maestro ed esse obbediscono all’istante. Il suo bell’aspetto e la sua forza ci spingono verso l’impenitenza. Vediamo un esempio notevole in Giuda il traditore, pessimus mercator: la parsimonia conduce all’avarizia, l’avarazia alla tradizione, la tradizione all’impenitenza.
Intanto, il nemico della nostra anima che conosce quel difetto, ne fa uso per suscitare problemi dentro di noi ed intorno a noi: conflitti, scontri, sgradevolezze, e tumulti: tempeste nella anima, tempeste negli incontri con altrui. Nella cittadella della vita interiore, il difetto dominante rappresenta il punto debole, non difeso dalle virtù. Qui regna come un nemico all’interno delle mura: nascosto, travestito, e potente. Il demonio conosce il difetto, quel nemico interno: sa precisamente dove si situa e lavora con esso per distruggere la cittadella. Se noi stessi lo ignoriamo, allora non lo possiamo combatterlo. Se non lo possiamo combattere, non possiamo avere una vera vita interiore, e perciò faremo solo pochi progressi in questo mondo.
Come dunque trovarlo? Primo con la preghiera: “Mio Dio, che cosa è che mi fa resistere alla Vostra Divina Grazia? Vi prego di darmi la forza di sottomettermi ad essa. Liberatemi dai miei legami, per quanto possa essere doloroso.” Secondo, esaminiamo la nostra anima con realismo spietato: Qual è il tema delle mie solite preoccupazioni – al mattino quando mi sveglio e quando sono da solo? Dove se ne volano i pensieri e i desideri spontaneamente? Qual’ è per me la solita causa della tristezza e della gioia? Qual’è in genere la motivazione delle azioni e dei peccati? Qual’è per me la natura delle tentazioni, ed il motivo della resistenza alla Grazia (in particolare quando mi allontana dalle preghiere o mi distrae in esse)? Terzo, cosa criticano gli altri in me: – il mio Direttore spirituale, se ne ho uno; la mia famiglia; quelli con cui vivo; quelli che mi conoscono meglio? Quattro, in che modo mi ispira lo Spirito Santo in momenti di vero fervore? Che cosa mi chiede di sacrificare per amore di Lui? Se mettiamo in pratica queste misure con sincerità e costanza di spirito, ci troveremo faccia a faccia con quel nemico interiore che ci rende schiavi. Nostro Signore ci dice nel Vangelo di san Giovanni (8,34): “Chiunque ha commesso il peccato è schiavo del peccato.”
San Giacomo e san Giovanni volevano chiamare il fuoco dal cielo su una città che rifiutava di riceverli. Ma il Signore rimproverò questi ‘Figli del Tuono’ (Boanerges), dicendogli: “Non sapete di che spirito siete. Il Figlio dell’uomo non è venuto per distruggere, ma per salvare” (Lc. 9.55). Ma già all’Ultima Cena vediamo San Giovanni contentarsi solo a posare tranquillo la testa sul Cuor Divino del Salvatore; e alla fine della vita fece poco altro, si dice, che non di ripetere in continuazione: “Figliuoli miei, amatevi l’un l’altro.” Non aveva perso nulla dell’ardore né della sete di giustizia, ma si erano spiritualizzati ed elevati mediante una straordinaria dolcezza.
III. Come vincere il difetto dominante
Quando, con la grazia di Dio, avremo scoperto il nostro difetto dominante, bisogna prendere la ferma decisione di vincerlo. Per fare ciò, occorre un vero e stabile fervore della volontà, una ‘prontezza della volontà nel servizio di Dio’, che, secondo San Tommaso, è l’essenza della vera devozione. Ora ci sono tre mezzi principali per superare il difetto dominante: 1) la preghiera; 2) l’esame di coscienza; 3) la sanzione.
1.) La preghiera
Una volta che Dio avrà risposto alla mia preghiera per mostrarmi quale sia il difetto dominante, dovrei essere assidua e fervente nell’implorare il Suo aiuto per vincerlo. Se sono debole, pregherò: “O Dio, mia forza, datemi la forza!”; se sono irascibile: “O Dio, mia pazienza, datemi la pazienza!”; se sono sensuale: “Mio Dio e mio tutto!”… e così via. I santi hanno pregato nei seguenti modi: san Luigi Bertrand: “Signore, qui bruciare, qui tagliare, qui prosciugare tutto ciò che mi impedisce di venire a Voi, affinché possiate salvarmi per l’eternità.” San Nicola di Flue: “Mio Signore e mio Dio, prendete tutto che in me mi ostacola da Voi; Mio Signore e mio Dio, datemi tutto che mi porta a Voi; Mio Signore e mio Dio, toglietemi da me stesso e datemi interamente a Voi.”
2.) L’esame di coscienza
È assai utile fare ogni sera un esame di coscienza particolare sul difetto dominante: non solo un esame generale che è utile a tutti come parte delle preghiere serali, e cioè per valutare la vita spirituale in genere; ma il dare uno sguardo concentrato a quella debolezza in particolare che tante volte in passato è stata la causa della mia rovina.
Sant’Ignazio di Loyola considera molto benefico che i principianti annotino ogni settimana il numero di volte in cui hanno ceduto a quel difetto dominante che vuole regnare in loro come un tiranno. Padre Garrigou-Lagrange commenta: “È più facile ridere di questa pratica che non di esercitarla fruttuosamente.” Se teniamo conto dei soldi che spendiamo e riceviamo, perché non dovremmo tenere conto di ciò che perdiamo e guadagniamo nel campo spirituale, che sono poi perdite e guadagni per l’eternità?
3.) La sanzione
È anche molto utile imporre a noi stessi una sanzione o una penitenza ogni volta che cadiamo in questo difetto. La penitenza può assumere la forma di una preghiera particolare, un momento di silenzio, o una mortificazione esteriore o interiore. Questo ci aiuterà ad essere più prudenti per il futuro, e ripara la colpa e soddisfa la pena per essa dovuta. In questo modo molte persone sono guarite, per esempio, dal pronunciare bestemmie o maledizioni, obbligandosi a fare l’elemosina ogni volta che cadevano.
Nel combattimento arduo contro il difetto predominante bisogna armarci di coraggio. Potremmo essere tentati alla pusillanimità, particolarmente da parte del diavolo, pensando innanzitutto che non saremo mai in grado di sradicarlo, mai in grado di dominare noi stessi. Ma non conviene far pace con i nostri difetti: altrimenti abbandoneremmo del tutto la vita interiore, assieme all’unico scopo che abbiamo in questa vita che è cioè la perfezione. Dio ci ha comandato di essere perfetti, quindi deve essere possibile: ossia con la Sua Grazia. Il Concilio di Trento dichiara con Sant’Agostino: “Dio non comanda mai l’impossibile, ma, nel darci i Suoi precetti, ci comanda di fare ciò che possiamo e di chiedere la Grazia per fare ciò che non riusciamo.”
Un’altra tentazione alla pusillanimità viene dal paragonarci ai santi canonizzati. Ci scoraggiamo e ci diciamo che la lotta contro i difetti convenga solo a loro, perche solo loro vengono chiamati a raggiungere le regioni più alte di spiritualità e di santità, che non sono dunque per noi. Eppure, come abbiamo già detto, nostro Signore ci ha comandato tutti di essere perfetti: di amarLo con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutta la mente, tutte le forze, e di amare il prossimo come noi stessi. Questo, dunque, è compito di tutti, anche se il nostro amore potrebbe non essere mai così straordinario come quello dei santi canonizzati, con tutte le grazie e doni straordinari che avrebbero ricevuti.
Prima di vincere il difetto dominante, le nostre virtù sono poco più di buone inclinazioni e non vere e solide virtù con radici profonde. Quando, però, con l’aiuto di Dio, vinciamo il difetto, le virtù, sotto i raggi nutrienti della Carità, divengono ferme e forti. La Carità, cioè l’amore di Dio e delle anime, viene a regnare nelle nostre anime attraverso la virtù dominante; trasforma il nostro temperamento, rendendoci più veri, più noi stessi: noi stessi senza i nostri difetti, noi stessi nella Carità, in Dio. La pace entrerà nell’anima assieme alla gioia interiore che porta con sé: la pace che è la tranquillità dell’ordine che abbiamo ristabilita nelle anime con la mortificazione, cioè con la lotta contro il proprio male.
Ci apriamo a Dio come un fiore che si apre al sole: non facciamo più di noi stessi il centro di tutto, come quando regnava in noi il difetto dominante. Ormai facciamo riferire tutto solo a Dio: pensando sempre a Lui, vivendo sempre per Lui, e riconducendo a Lui tutti quelli che incontriamo. Dio ha esaudito la nostra preghiera: ci ha tolti da noi stessi per farci interamente Suoi; non abbiamo perso nulla: solo il nostro male; e abbiamo guadagnato il nostro vero essere: il nostro vero essere in Lui.
Deo Gratias!