La gloria dei Beati

In questo articolo consideriamo la gloria dei beati sotto l’aspetto dell’immagine che li raffigura tipicamente, cioè la stella. Dopo una breve introduzione guarderemo:

1. La gloria dei beati in cielo;
2. I gradi di questa gloria.

Introduzione

a) Il senso dell’immagine della stella

Il paragone dei beati con le stelle risale ultimamente al fatto che Dio è Luce, e che Egli presta ai beati qualcosa della propria luce. Rispetto al mondo, il Signore dichiara: ‘Sono la luce del mondo’ e dice ai discepoli, in modo analogo: ‘Siete la luce del mondo’. La luce di cui parla è quella della Verità e della Bontà di cui la perfezione è la Santità.

Questa luce ‘brilla nelle tenebre’ (Gv. 1) e per quello viene simbolizzata dalla stella. ‘Io sono la stella radiosa del mattino’, dice Nostro Signore Gesù Cristo (Apc. 22.16), ma anche i suoi santi, già su questa terra, vengono descritti come stelle, o associati ad esse.
b) La gloria dei santi in terra

Nell’Antico Testamento (Dan. 12.3) leggiamo: ‘Coloro che erano dotti, brilleranno come lo splendore del firmamento, e coloro che istruiscono molti alla giustizia, come le stelle per la perpetua eternità’; Similmente (Ecclesiasticus 1.6) leggiamo che brillava l’arciprete Simone, figlio di Onia: ‘Come astro mattutino in mezzo alle nubi, come la luna nei giorni in cui è piena, come sole sfolgorante sul tempio dell’ Altissimo’.

Nel libro dell’Apocalisse la stella rappresenta soprattutto la luce della Verità, ma anche la bontà, come nella parola (1.20): ‘le sette stelle sono gli angeli (delle sette chiese)’ che si riferisce ai dottori ed ai vescovi; e nella passo (12.1) sulla donna con una corona di 12 stelle che significano i 12 apostoli, che, come stelle, versavano la loro luce sulla Chiesa, cioè ai suoi inizi (simbolizzati dal capo).

Nella vita di san Domenico si legge che come giovane apparve ad una matrona nobile in una visione, con una stella radiosa sulla fronte, che irradiava il mondo intiero. Si può supporre che la stella rappresentasse insieme la luce della verità e della bontà di questo insigne santo e del suo ordine.

Nella sua Epistola ai Filippesi (2. 15) san Paolo ammonisce i fedeli alla santità, istruendogli di essere ‘figli di Dio immacolati in mezzo ad una generazione perversa e degenere, nella quale dovete splendere come astri nel mondo…’

2. La gloria dei beati in cielo

Se l’immagine della stella viene adoperata soprattutto in un senso morale per i santi durante la loro vita terrena, cioè per rappresentare le loro opere radiose di insegnamento e di Carità; viene adoperata in un senso piuttosto spirituale quando loro raggiungono il cielo, cioè per rappresentare la loro gloria.

Nostro Signore dice (Apc.2.28): ‘A chi vincerà darò la stella mattutina’. Abbiamo già visto come è proprio Se Stesso che Egli descrive in questi termini, e di conseguenza un senso di queste parole è che ciò che il Signore darà a chi vincerà è Se Stesso.

In un altro senso, invece, un senso che si rapporta al soggetto che possiede Dio, (vide per questo punto – e per tutta questa sezione – il commentario di Cornelius a Lapide su1 Cor. 15. 41) questa ‘stella mattutina’ viene intesa come la gloria e la visione beatifica dell’eletto: viene chiamata ‘stella’ in virtù della splendore della sua luce e la chiarezza della visione; viene chiamata ‘ mattutina’ sia perché è data dopo la notte di questo mondo, sia perché costituisce l’inizio della beatitudine che sarà completata alla Risurrezione del proprio corpo.

Già nell’Antico Testamento, Dio promette ad Abramo una discendenza come le stelle del cielo: ‘Guarda il cielo e numera le stelle se puoi: così sarà il tuo seme’. La parola viene intesa non solo in senso carnale degli ebrei, ma pure in senso allegorico dei credenti e dei cristiani. In questo secondo senso si intende anche la frase seguente della santa Messa di Requiem: ‘Signifer sanctus Michael repraesentat eas in lucem sanctam, quam olim Abraham promisisti et semini eius.’

Cornelius a Lapide (nel commentario a Rom. 4.18) paragona la discendenza di Abramo alle stelle in quanto sarà: ‘innumera et maxima, sublimissima et caelestis, constans, ordinatissima et aeterna, potentissima, famosissima, splendidissima et gloriosissima’.

Il fondamento teologico dello splendore dei beati in cielo è la dottrina della chiarezza (claritas) del corpo trasfigurato. Questa chiarezza significa essere privi di ogni deformità, e pieni di bellezza e splendore. L’archetipo del corpo trasfigurato è quello del Signore Stesso sul Monte Tabor (Mt.17.2): ‘E fu trasfigurato davanti a loro, ed il suo volto brillava come il sole, ed il suo vestimento fu bianco come la luce’. In termini simili viene descritto ‘Uno come il Figlio dell’uomo’: ‘… il suo volto era come il sole brilla nella sua potenza’ (Apc. 1. 13- 16).

I corpi dei beati saranno trasfigurati alla loro Risurrezione, alla fine dei tempi. Nostro Signore Gesù Cristo, servendoSi dell’immagine del sole, ci assicura (Mt.13.43): ‘I giusti brilleranno come il sole nel Regno del Padre’.

Il motivo intrinseco della trasfigurazione del corpo è il traboccamento della gloria dell’anima sul corpo. Scrive san Tommaso d’Aquino (Suppl. 85.1): ‘La chiarezza dell’anima sarà recepita nel corpo in modo corporeale… in un corpo glorificato si conoscerà la gloria dell’anima, siccome per il cristallo si conosce il colore di un corpo contenuto in un vaso di cristallo’.

3. I gradi di gloria dei beati in cielo

‘Altro è lo splendore del sole, altro lo splendore della luce, e altro lo splendore della stelle. Ogni stella infatti differisce da un’altra nello splendore’(1. Cor. 41). La citazione significa che i giusti goderanno di diversi gradi di gloria in Cielo. In questa sezione guarderemo prima l’ ineguaglianza di ricompensa dei giusti, e poi due modi diversi in cui il beato viene illuminato.
a) Ineguaglianza di ricompensa

La santa Chiesa cattolica insegna dogmaticamente che il grado di perfezione della Visione beatifica concesso all’uomo giusto corrisponde ai suoi meriti. Il Decretum pro Graecis del Concilio di Firenze dichiara che le anime dei perfettamente giusti ‘scorgono Iddio Uno e Trino chiaramente come lo è, ma secondo la diversità dei propri meriti: l’uno più perfettamente dell’altro’. Similmente il Concilio di Trento definisce che l’uomo giustificato merita un incremento della gloria celeste tramite le buone opere.

La contrapposizione eretica sull’eguaglianza nella Visione beatifica viene sostenuta da Gioviniano, che (sotto l’influsso dei Stoici) insegnava che tutte le virtù fossero dello stesso grado; e da Martin Lutero con la sua dottrina dell’imputazione esterna della giustizia di Cristo.

Nella sacra Scrittura, Nostro Signore Gesù Cristo promette (Mt 16. 27): ‘Egli (il Figlio dell’uomo) renderà a ciascuno secondo le sue opere’; e san Paolo scrive (1 Cor 3.8): ‘E ogni uomo riceverà la propria ricompensa, secondo il suo lavoro’; e (2 Cor 9.6) ‘Chi semina sparsamente, mieterà sparsamente: e chi semina in benedizioni, mieterà benedizioni’.

I padri della Chiesa si riferiscono alla parola del Signore sulle molte mansioni nella casa del Padre e la intendono della diversità dei meriti dei beati. Sant’Agostino per esempio, mentre intende il singolo denaro nella parabola della vigna della ricompensa della vita eterna, aggiunge (de Sanct. Virg. c.26): ‘In quella vita eterna, la luce dei meriti brillerà con una distinzione: ci sono molte mansioni nella casa del Padre… nelle molte mansioni l’uno viene onorato con uno splendore più grande di un altro’.
All’obiezione che questa ineguaglianza porterà all’invidia, risponde (in Joan. tr.67.2):
‘Non ci sarà invidia a causa della gloria ineguale poiché l’unità di amore regnerà in tutti’.

Scrive san Lorenzo Giustiniani (La Passione di Cristo 23): ‘..sarà più copiosa la ricchezza di splendore dove sarà più ardente il fuoco della Carità, e più puro il torrente di amore. Mirabili ornamenti la rivestiranno, e anche questi non tutti li potranno avere, ma solo quelli che li meriteranno per grazie particolare di Dio: radioso decoro a chi riuscirà a raggiungerli, e gaudio ineffabile a chi saprà contemplarli. Ciascuno però sarà lieto e felice, senza che alcuna miseria di invidia o bruttura di odio li conturbi, sapendo di possedere negli altri quello che mancherà a sé.’

Si nota d’altronde che ‘la stella della virginità brilla tra tutte come la luna tra le luci inferiori’ (Cornelius a Lapide), e che già sulla terra l’anima che si è consacrata alla castità perfetta per il Regno dei cieli, presta al proprio corpo una luce celeste.
b) Due modi di illuminazione

Abbiamo visto che il beato viene simbolizzato da una stella, in virtù della sua gloria e della visione beatifica. La luce del beato è una partecipazione alla luce di Dio, come la luce di una stella è una partecipazione alla luce del sole. Questa luce illuminerà l’anima prima della Risurrezione universale; dopo di che illuminerà l’anima e il corpo insieme.

E’l’una e la stessa luce che illuminerà il beato in due modi: allo stesso tempo lo glorificherà e lo renderà capace di vedere Dio. La luce infatti illuminerà l’anima intiera: il suo essere, per glorificarlo, e le sue facoltà, per poter conoscere Dio: ‘nella Vostra luce vedremo la luce’. Nel secondo caso la luce viene conosciuta come la luce della Gloria: il lumen gloriae.

San Tommaso d’Aquino spiega che più c’è Carità: più c’è il desiderio per Dio e più l’attitudine per accogliere la luce della Gloria nell’intelletto; più c’è l’attitudine: più perfetta sarà la visione di Dio in Cielo (Summa 1.12,6).

In sintesi allora: più grande è la Carità del beato: più vicina sarà a Dio in cielo; più grande sarà la sua gloria; più perfetta infine sarà la sua visione di Dio per tutta l’eternità.
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Scrive santa Teresa d’Avila (Vita 38): ‘Di alcune (anime) piacque al Signore di mostrarmi il grado di gloria che godono ed il posto che occupano in cielo. La differenza che separa le une dalle altre è molto grande’; e (Vita 37): … ‘non vorrei porre misura neppure io, quando si tratta di servire Sua Maestà, vorrei consacrare a Lui tutta la mia vita, le mie forze e la mia sanità, e non vorrei mai perdere per mia colpa neppur un minimo grado di gloria.

‘Se mi domandassero quale preferisco di queste due cose: rimanere su questa terra fino alla fine del mondo, in mezzo ad ogni sorta di travagli e poi salire al cielo con un pochino di gloria di più; oppure, andar subito in cielo senza nulla soffrire, ma con un grado di gloria di meno, accetterei ben volentieri tutti i tormenti del mondo, pur di avere in più quel minimo grado di gloria, e così meglio comprendere le grandezze di Dio. Vedo, infatti, che chi meglio comprende Dio, più lo ama e meglio ancora lo loda’.

Deo Gratias!