L’umiltà

+ In nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen.

  1. L’Umiltà in Genere
    Chi si esalta sarà umiliato; chi si umilia sarà esaltato. Queste parole le “grida la divina scrittura” dice san Benedetto, le grida così forte e chiaro si può dire, che non si può dubitare che, seguendole fedelmente si raggiungerà con sicurezza alle vette della santità.


Modificando il detto di Demostene, dichiara sant’Agostino: “Se mi chiedi qual è la virtù la più importante, rispondo l’umiltà; se mi chiedi qual è la seconda più importante, rispondo l’umiltà; se mi chiedi la terza, rispondo l’umiltà, e così via.” Lo stesso santo insegna che se vogliamo che l’edificio spirituale sia alto, si deve basare su fondamenta profonde; e più alto lo vogliamo, più profonde devono essere le fondamenta; e queste fondamenta sono l’umiltà.


Tuttavia l’umiltà non è fine a sé stessa, bensì mezzo per un fine, che è la carità, la Regina di tutte le virtù. L’umiltà opera in questo modo: removens prohibens, togliendo gli ostacoli, ossia gli ostacoli alla carità.


Si può definire la superbia come guardare un dono di Dio come se fosse qualcosa di proprio. I doni si distinguono in naturali come l’intelligenza, i talenti, la bellezza, una natura amichevole, e sovrannaturali: la virtù della speranza per esempio. Perché mi vanto dunque della mia natura amichevole ad esempio? “Cos’hai che non hai ricevuto? chiede san Paolo, “e se l’hai ricevuto, perche ti vanti come se non lo avessi ricevuto?”


Sul livello più profondo, la superbia consiste nel dirigere la volontà via da Dio verso sé stessi: per compiacersi non di Dio, Bene Infinito, donatore di tutti i doni, bensì di sé stessi, beni finiti. Questo era il dramma di Lucifero, il dramma di Adamo e di Eva, ed è il dramma pure di ognuno di noi.


Come si manifesta la superbia? Talvolta viene sentita direttamente: “sono molto più intelligente di lui, molto più virtuoso” eccetera, o solo indirettamente quando la scopriamo nascosta nell’anima. Spesso sono le passioni che ci rivelano la superbia.


Il senso di offesa
Il senso di offesa, quando veniamo criticati, ci manifesta la superbia. “Come si permette di trattarmi così? Trattare me! ” (e chi sono io?) Mi offendo se la critica è ingiusta, ma anche se è giusta. Poco importa come sono realmente: non mi piace che gli altri mi guardino in modo negativo. Ciò che voglio è che mi rispettino e mi apprezzino. Mi difendo: se la critica è ingiusta ne racconto tutta la storia, se la critica è giusta invece, mi invento qualcosa.


L’ira
L’ira deriva caratteristicamente dallo stesso senso dell’offesa, oppure ci prende semplicemente quando le cose non procedono secondo i propri progetti. Ho dimenticato qualcosa, comincia a piovere, un autista si sbaglia quando per strada, oppure tutto nella mia vita sembra fare una congiura contro di me: “Tutti sono contro di me” , “Ma io non lo sono”, “Eh – lo so”. La forma più stravagante dell’ira è quella contro Dio: “Mi son adirato contro Dio” Ma Dio non è buono? Non è più intelligente di me? Non è forse infinitamente buono ed infinitamente intelligente? Non mi manda prove solo per santificarmi, solo in vista della mia beatitudine eterna?


Le passioni connesse alle lodi
Qualcuno mi loda: finalmente son contento; nessuno mi loda: perché nessuno mi loda? Ho fatto una torta, una predica, un atto di Carità. Sto aspettando, ma tutti zitti. Offesa, ira, tristezza. Qualcun altro viene lodato. Di nuovo offesa, ira, tristezza. Dico qualcosa contro di lui per “dare il giusto equilibrio”, “per fare il quadro equilibrato”. O taccio: non voglio che lui sia lodato perché ritengo di avere la virtù che loro lodano in lui anche io, o ad un grado più alto di lui; o perché vorrei avere la virtù ma so di non averla a quel grado, o non di averla affatto, e semplicemente lo invidio. O penso: va bene: lui possiede queste qualità, ma io ho altre qualità, e infatti molte più di lui e molto più alte delle sue. Sono atteggiamenti poco gloriosi. In cielo mi rallegrerò e ringrazierò Dio per i beni e per le virtù degli altri: perché non cominciare quaggiù?


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L’umiltà è la via sicura in paradiso. Perché è così difficile? Perché richiede un lavoro penoso su me stesso; perché richiede che io riconosca tutta la mia meschinità, malvagità, povertà di spirito, i miei difetti innumerevoli e vergognosi; richiede che io faccia guerra contro me stesso, che io rinunzii alle abitudini di una vita, che io rinunzii a me stesso; che io mi ammolli e mi abbandoni, che io cessi di pensare bene di me stesso, e di compiacermi in me stesso. Cosa ho e cosa sono che non ho ricevuto? Cosa ho fatto di buono che Lui non ha fatto in me? Il monaco Serafim da Sarov disse: “Sono inesprimibilmente deprecabile.” L’umiltà richiede che io scavi profondamente dentro me stesso le fondamenta profonde dell’umiltà, per alzare l’edificio della mia vita verso il cielo.

L’umiltà di sant’Agostino
Avendo meditato le parole di sant’Agostino sull’umiltà come fondamento dell’edificio spirituale, guardiamo adesso l’umiltà del santo stesso. Forse più potente di ogni sua riflessione a riguardo, è la testimonianza delle “Confessioni.” Considerato come santo già quando era in vita, scrisse quell’opera sicuramente in parte per palesare le profondità della propria malvagità prima della sua rinomata conversione. La santa sincerità e l’umiliante precisione con le quali enumera i peccati presentano il santo al lettore proprio come lui si presenta davanti a Dio: spogliato da ogni pretesa: un’anima peccatrice davanti alla Santità Stessa, un niente davanti all’Essere stesso, Somma di ogni Perfezione.


Questa visione di Dio e di sé stesso che si manifesta in ogni pagina del libro sembra come la risposta di Dio alla sua preghiera di conoscere sia l’uomo che Dio, di “conoscere me e conoscere Te”: “Domine Jesu, noverim me, noverim Te… oderim me, et amem Te… humiliem me, exaltem Te…: Signore Gesù, che io mi conosca, che io Te conosca… che io mi odii, e Te ami… che io mi umilii e Te esalti…”


Citiamo il commentario della prima frase di Rev. Nikolaus Gihr nell’opera ‘Il santo sacrificio della Messa’: O Dio, concedete che io Vi conosca: Noverim Te! Datemi una conoscenza intima delle Vostre adorabili perfezioni che sono senza misura né numero – della Vostra infinita grandezza e gloria; dei Vostri inconcepibili potere, saggezza, e bontà; della Vostra inesprimibile bellezza, dolcezza, ed amabilità; penetratemi di una profonda conoscenza delle “cose profonde della Vostra divinità, che solo lo Spirito Santo indaga” (1 Cor 2.10), ovvero delle opere e richezze della Vostra grazia e della Vostra gloria, dei Vostri decreti infinitamnte giusti e misericordiosi, delle dispensazioni meravigliose ed imperscrutabili della Vostra Provvidenza! Noverim me! Concedetemi inoltre una sana conoscenza di me stesso! “O mio Dio, illuminate le mie tenebre!” (salmo 17. 29); che la Vostra luce mi permetta di scorgere profondamente nell’abisso del mio nulla, della mia miseria, della mia aporea, mia fragilità, mia peccaminosità!”


Siccome sant’ Agostino spiega che solo la profondità delle sue fondamenta assicurano l’elevatura dell’edificio così solo l’umiltà dell’anima può assicurare la salita verso Dio: solo quella virtù può assicurare che Dio rivolga lo sguardo sull’anima e la chiami a Sé: Aspice me ut diligam te. Voca me, ut videam te. Et in aeternum fruar te. Amen.

+ In nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen.