La Presentazione

Dice Tertulliano che subito quando la Verità è entrata nel mondo, fu attaccata. Ciò viene espresso dalle Feste che immediatamente seguono la Festa del santo Natale. Il giorno dopo celebriamo la Festa del primo martire santo Stefano; poi quella di san Giovanni evangelista, venerato pure come martire in virtù della prova subita nell’oleo bollente che senza un miracolo gli avrebbe tolto la vita; poi il massacro dei santi Innocenti, seguito dal martirio di san Tommaso à Becket.

All’occasione della Presentazione del Signore nel Tempio, vengono profetizzate sofferenze imminenti per la Sacra Famiglia: il Signore viene descritto dal profeta Simeone come “un segno che sarà contraddetto” e alla Madonna viene detto che “una spada trafiggerà il cuore”.

I santi Padri intendono il termine “segno” in primo luogo rispetto alla nascita miracolosa del Signore, assieme a tutti i miracoli e misteri della Sua vita, morte, e risurrezione; lo intendono in secondo luogo rispetto alla Croce: il segno e simbolo fra tutti i segni e simboli che hanno mai esistito in questo mondo; lo intendono in terzo luogo rispetto al Signore Stesso, che come Immagine del Dio Invisibile è un segno, si può dire, ancor più eloquente e potente della stessa Croce.

Quando san Simeone predice che il segno sarà contraddetto, significa che i miracoli ed i misteri della Fede, cioè in una parola la Fede stessa, sarà contraddetta, contestata, storta, e rigettata; significa che la Croce (che rappresenta la morte di Dio per salvare l’uomo – se l’uomo si umilia davanti ad essa ed unisce le sue sofferenze a quelle del Signore) – che la Croce sarà disprezzata e ripudiata; significa in fine che il Signore Stesso, immagine del Dio invisibile, sarà posto come “il bersaglio delle frecce, nelle parole del profeta Geremia: posuit me quasi signum ad sagittam: sarà attaccato, schernito, ed odiato.

Alla luce delle profezie di san Simeone, l’offerta del Signore nel Tempio assume un senso ancor più solenne di quello puramente legale. “Verrà il giorno”, commenta san Bernardo, “nel quale questa vittima non sarà offerta nel Tempio né tra le braccia di Simeone; bensì fuori della città tra le braccia della croce. Verrà il giorno nel quale non sarà riscattata dal sangue altrui, bensì con il proprio Sangue riscatterà gli altri: perché il Padre Lo inviò per la redenzione del Suo popolo.” In quel giorno, il giorno del sacrificio vespertino, l’anima della Madonna sarà trafitta da una spada, vedendo la Passione e la Morte del suo Figlio, Che lei ama più della propria vita.

Dice sant’Alfonso che siamo su questa terra per lavorare e per soffrire. Sappiamo anche che se vogliamo seguire il Signore, bisogna soffrire. Ma questa sofferenza non è da vedere come negativa, bensì come qualcosa da offrire a Lui, da unire alle Sue sofferenze, per unirci a Lui nella Sua pena, per partecipare (anche modestamente) alla redenzione del mondo.

Il Signore Si è offerto nel Tempio e in croce; Si è offerto a Dio Padre in ogni momento della vita terrena, come si offre a Lui eternamente nel mistero della santissima Trinità. La Madonna L’ha offerto a Dio Padre in modo formale nel Tempio e quando stava accanto alla croce sul monte Calvario. Noi dobbiamo offrire la nostra sofferenza a Lui: anzi dobbiamo offrire noi stessi completamente a Lui nel santo sacrificio della Messa, in tutta la nostra vita, accogliendo interamente nella nostra vita la Fede, la Croce, e nostro Signore Gesù Cristo Stesso, a Cui sia ogni onore e gloria nei secoli dei secoli. Amen.

BREVE GUIDA DI CONFESSIONE

1.Il peccato

Il peccato è un’offesa a Dio e allontana l’uomo da Lui.

I peccati si dividono in peccati mortali e veniali. I peccati mortali sono:

  1. Di materia grave
  2. Commessi con piena avvertenza
  3. Con deliberato consenso

Se non confessati vengono puniti con le pene dell’Inferno.

Esempi di peccati di materia grave sono:

  • Tutti quelli contro la purezza
  • La mancanza alla santa Messa domenicale senza giusta causa
  • La bestemmia
  • L’aborto deliberato
  • L’accostarsi ad un sacramento, come la cresima, il matrimonio, la santa Comunione, nello stato di peccato mortale
  • Il tacere deliberatamente un peccato mortale in confessione.

I peccati veniali sono quelli dove manca almeno una delle tre condizioni sopracitate.

2. i Dieci Comandamenti ed i Cinque Precetti

Il primo comandamento, Non avrai altro Dio all’infuori di me, proibisce l’idolatria, la superstizione, il sacrilegio, lo spiritismo, l’eresia, l’invocazione del demonio, l’aggregarsi alle false religioni ed alle sette anticristiane e l’ignoranza delle verità della Fede.

Il secondo comandamento, Non nominare il nome di Dio invano, proibisce di nominare il nome di Dio senza rispetto, di bestemmiare contro Dio, la Santissima Vergine, o i Santi e di far giuramenti falsi, illeciti o inutili.

Il terzo comandamento, Ricordati di santificare le feste, ci comanda di assistere devotamente al santo Sacrificio della Messa la domenica e gli altri giorni di festa e ci proibisce le opere servili in quei giorni.

Il quarto comandamento, Onora il padre e la madre, comanda di rispettare i propri genitori e superiori e di obbedire loro in tutto ciò che non è peccato; nonché di rispettare le leggi civili, purché non contrarie alla legge di Dio.

Il quinto comandamento, Non ammazzare, proibisce di uccidere, picchiare o ferire il prossimo, di offenderlo con parole, di volergli male e di imprecare. Proibisce altrettanto il suicidio e il procurare o consigliare l’aborto.

Il sesto comandamento, Non commettere atti impuri, proibisce gli atti impuri da soli (la masturbazione) o con altri fuori del matrimonio, soprattutto se le persone sono dello stesso sesso, o se almeno una di esse è sposata ad un’altra (anche nel caso dei “divorziati risposati”). Proibisce altrettanto gli atti impuri dentro il matrimonio che siano opposti ai suoi scopi (ad es. la contraccezione o il coitus interruptus) come anche guardare immagini indecenti e ogni parola contro la castità. La preghiera, soprattutto alla Madonna, è necessaria per mantenere la castità.

Il settimo comandamento, Non rubare, proibisce di prendere, trattenere o danneggiare le cose altrui, di non pagare per malizia i giusti debiti o la dovuta mercede e di non lavorare conforme al proprio dovere. La giustizia richiede che le cose in questione vengano restituite e il danno risarcito.

L’ottavo comandamento, Non dire falsa testimonianza, proibisce di attestare il falso nel giudizio, diffamare, mormorare, calunniare, adulare, dare giudizi temerari e mentire. La giustizia richiede che il danno arrecato all’altrui fama venga riparato.

Il nono comandamento, Non desiderare la donna d’altri, proibisce di trattenersi deliberatamente su pensieri impuri.

Il decimo comandamento, Non desiderare la roba d’altri, proibisce il desiderio di privare altri sulle sue cose e di acquisire cose ingiustamente.

                                   I Cinque Precetti della Chiesa

  1. Udire la santa Messa tutte le domeniche e feste comandate e non lavorare in quei giorni (le feste comandate sono la Natività, l’Epifania, la Circoncisione/Maria Santissima Madre di Dio, l’Immacolata Concezione, l’Assunzione, Tutti i Santi).
  2. Astenersi dalla carne e digiunare nei giorni stabiliti dalla Chiesa (astenersi dalla carne in tutti e i singoli venerdì di Quaresima, a meno che coincidano con il 19 o il 25 marzo, e digiunare il Mercoledì delle Ceneri e il Venerdì santo).
  3. Confessarsi almeno una volta all’anno.
  4. Comunicarsi almeno alla Pasqua di Resurrezione.
  5. Sovvenire alle necessità della Chiesa.

3. Come Confessarsi

– suscitare il pentimento di avere offeso Dio, il Sommo Bene

– mettersi in ginocchio, e dopo aver specificato la data dell’ultima confessione, accusarsi di tutti i peccati mortali ed idealmente anche di tutti quelli veniali, commessi dopo l’ultima confessione; accusarsi altrettanto di tutti quelli dimenticati o deliberatamente taciuti nel passato

– Specificare il genere di peccato chiaramente e senza ambiguità, e la frequenza almeno approssimativa, non dissimilandola

– non sfogarsi trattando il colloquio come un tipo di seduta psicologica; non divagarsi entrando in dettagli irrilevanti che non toccano il tipo o la frequenza del peccati, come i peccati commessi da latri ecc.

– recitare l’atto di dolore e compiere la penitenza.

La Divina Provvidenza

Il fatto che le faccende quotidiane e soprattutto le preoccupazioni, difficoltà, dolori, e sofferenze tendono ad assorbire tutta la nostra attenzione, e divenire per noi l’unica realtà, ci può fuorviare dalla consapevolezza di un’altra realtà, una realtà più alta, quella di Dio, dove Egli opera sempre e solo per il nostro bene. In sintesi, tendiamo a dimenticare l’esistenza della Divina Provvidenza. In questo contesto procediamo citando l’inizio, logico e chiaro, del trattato del libro famoso del padre gesuità Jean-Baptiste Saint- Jure: la Fiducia nella Divina provvidenza: segreto di pace e di felicità.

La Volontà di Dio ha fatto e governa tutte le cose. Trattando della Volontà di Dio, san Tommaso insegna, dopo sant’Agostino, che Essa è la ragione, la causa di tutto ciò che esiste. Infatti: «Il Signore – dice il Salmista – ha fatto tutto ciò che ha voluto, in cielo, sulla terra, nel mare e in tutti gli abissi”. È scritto anche nel libro dell’Apocalisse: «Degno siete, Signore Dio nostro, di ricevere gloria, onore e potenza, perché avete creato tutte le cose e per la Vostra Volontà furono e sono state create».

È dunque la Volontà divina che ha tratto dal nulla i cieli, coi loro abitanti e le loro magnificenze, la terra con tutto ciò che porta sulla sua superficie e rinserra nel suo seno: in una parola, tutte le creature visibili e invisibili, animate ed inanimate, ragionevoli e prive di ragione, dalle più elevate alle più basse.

Ora, se il Signore ha prodotto tutte queste cose, come dice l’apostolo san Paolo, seguendo il consiglio della Sua Volontà, non è sovranamente giusto e ragionevole, ed anzi assolutamente necessario, che siano da Lui conservate e governate, secondo il consiglio del Suo volere? E infatti: Cosa mai potrebbe sussistere, dice il Saggio, se Voi non lo voleste? o come esisterebbe ciò che da Voi non fosse creato?

Tuttavia le opere di Dio sono perfette, sta scritto nel Cantico di Mosè. Sono così compiuti in modo tale che il Signore Stesso, il Cui giudizio è retto e rigoroso, costatò, dopo averle create, che erano buone eppure molto buone. Ma è evidente che Colui che fondò la terra con la sapienza e stabilì i cieli con l’intelligenza, non poteva portare meno perfezione nel governo che nella formazione delle sue opere. Inoltre, come si degna sempre di ricordarci, se la Sua Provvidenza continua a prendersi cura di tutte le cose, le dispone con misura, numero, e peso, con giustizia e con misericordia. E nessuno può dirgli: Cosa fate? Infatti, se assegna alle Sue creature il fine che desidera, e sceglie di condurle ad esso con i mezzi che Gli piacciono, non può assegnare loro che un fine sapiente e buono, né dirigerli verso questo fine se non con mezzi altrettanto sapienti e buoni.

Non siate dunque degli sconsiderati, ci avverte l’Apostolo; ma studiate bene quale sia la volontà di Dio; affinché, compiendola, possiate ottenere l’effetto delle Sue promesse: cioè la felicità eterna, poiché sta scritto: Il mondo passa con la sua concupiscenza; ma chi fa la volontà di Dio rimane in eterno.

L’umiltà

+ In nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen.

  1. L’Umiltà in Genere
    Chi si esalta sarà umiliato; chi si umilia sarà esaltato. Queste parole le “grida la divina scrittura” dice san Benedetto, le grida così forte e chiaro si può dire, che non si può dubitare che, seguendole fedelmente si raggiungerà con sicurezza alle vette della santità.


Modificando il detto di Demostene, dichiara sant’Agostino: “Se mi chiedi qual è la virtù la più importante, rispondo l’umiltà; se mi chiedi qual è la seconda più importante, rispondo l’umiltà; se mi chiedi la terza, rispondo l’umiltà, e così via.” Lo stesso santo insegna che se vogliamo che l’edificio spirituale sia alto, si deve basare su fondamenta profonde; e più alto lo vogliamo, più profonde devono essere le fondamenta; e queste fondamenta sono l’umiltà.


Tuttavia l’umiltà non è fine a sé stessa, bensì mezzo per un fine, che è la carità, la Regina di tutte le virtù. L’umiltà opera in questo modo: removens prohibens, togliendo gli ostacoli, ossia gli ostacoli alla carità.


Si può definire la superbia come guardare un dono di Dio come se fosse qualcosa di proprio. I doni si distinguono in naturali come l’intelligenza, i talenti, la bellezza, una natura amichevole, e sovrannaturali: la virtù della speranza per esempio. Perché mi vanto dunque della mia natura amichevole ad esempio? “Cos’hai che non hai ricevuto? chiede san Paolo, “e se l’hai ricevuto, perche ti vanti come se non lo avessi ricevuto?”


Sul livello più profondo, la superbia consiste nel dirigere la volontà via da Dio verso sé stessi: per compiacersi non di Dio, Bene Infinito, donatore di tutti i doni, bensì di sé stessi, beni finiti. Questo era il dramma di Lucifero, il dramma di Adamo e di Eva, ed è il dramma pure di ognuno di noi.


Come si manifesta la superbia? Talvolta viene sentita direttamente: “sono molto più intelligente di lui, molto più virtuoso” eccetera, o solo indirettamente quando la scopriamo nascosta nell’anima. Spesso sono le passioni che ci rivelano la superbia.


Il senso di offesa
Il senso di offesa, quando veniamo criticati, ci manifesta la superbia. “Come si permette di trattarmi così? Trattare me! ” (e chi sono io?) Mi offendo se la critica è ingiusta, ma anche se è giusta. Poco importa come sono realmente: non mi piace che gli altri mi guardino in modo negativo. Ciò che voglio è che mi rispettino e mi apprezzino. Mi difendo: se la critica è ingiusta ne racconto tutta la storia, se la critica è giusta invece, mi invento qualcosa.


L’ira
L’ira deriva caratteristicamente dallo stesso senso dell’offesa, oppure ci prende semplicemente quando le cose non procedono secondo i propri progetti. Ho dimenticato qualcosa, comincia a piovere, un autista si sbaglia quando per strada, oppure tutto nella mia vita sembra fare una congiura contro di me: “Tutti sono contro di me” , “Ma io non lo sono”, “Eh – lo so”. La forma più stravagante dell’ira è quella contro Dio: “Mi son adirato contro Dio” Ma Dio non è buono? Non è più intelligente di me? Non è forse infinitamente buono ed infinitamente intelligente? Non mi manda prove solo per santificarmi, solo in vista della mia beatitudine eterna?


Le passioni connesse alle lodi
Qualcuno mi loda: finalmente son contento; nessuno mi loda: perché nessuno mi loda? Ho fatto una torta, una predica, un atto di Carità. Sto aspettando, ma tutti zitti. Offesa, ira, tristezza. Qualcun altro viene lodato. Di nuovo offesa, ira, tristezza. Dico qualcosa contro di lui per “dare il giusto equilibrio”, “per fare il quadro equilibrato”. O taccio: non voglio che lui sia lodato perché ritengo di avere la virtù che loro lodano in lui anche io, o ad un grado più alto di lui; o perché vorrei avere la virtù ma so di non averla a quel grado, o non di averla affatto, e semplicemente lo invidio. O penso: va bene: lui possiede queste qualità, ma io ho altre qualità, e infatti molte più di lui e molto più alte delle sue. Sono atteggiamenti poco gloriosi. In cielo mi rallegrerò e ringrazierò Dio per i beni e per le virtù degli altri: perché non cominciare quaggiù?


*


L’umiltà è la via sicura in paradiso. Perché è così difficile? Perché richiede un lavoro penoso su me stesso; perché richiede che io riconosca tutta la mia meschinità, malvagità, povertà di spirito, i miei difetti innumerevoli e vergognosi; richiede che io faccia guerra contro me stesso, che io rinunzii alle abitudini di una vita, che io rinunzii a me stesso; che io mi ammolli e mi abbandoni, che io cessi di pensare bene di me stesso, e di compiacermi in me stesso. Cosa ho e cosa sono che non ho ricevuto? Cosa ho fatto di buono che Lui non ha fatto in me? Il monaco Serafim da Sarov disse: “Sono inesprimibilmente deprecabile.” L’umiltà richiede che io scavi profondamente dentro me stesso le fondamenta profonde dell’umiltà, per alzare l’edificio della mia vita verso il cielo.

L’umiltà di sant’Agostino
Avendo meditato le parole di sant’Agostino sull’umiltà come fondamento dell’edificio spirituale, guardiamo adesso l’umiltà del santo stesso. Forse più potente di ogni sua riflessione a riguardo, è la testimonianza delle “Confessioni.” Considerato come santo già quando era in vita, scrisse quell’opera sicuramente in parte per palesare le profondità della propria malvagità prima della sua rinomata conversione. La santa sincerità e l’umiliante precisione con le quali enumera i peccati presentano il santo al lettore proprio come lui si presenta davanti a Dio: spogliato da ogni pretesa: un’anima peccatrice davanti alla Santità Stessa, un niente davanti all’Essere stesso, Somma di ogni Perfezione.


Questa visione di Dio e di sé stesso che si manifesta in ogni pagina del libro sembra come la risposta di Dio alla sua preghiera di conoscere sia l’uomo che Dio, di “conoscere me e conoscere Te”: “Domine Jesu, noverim me, noverim Te… oderim me, et amem Te… humiliem me, exaltem Te…: Signore Gesù, che io mi conosca, che io Te conosca… che io mi odii, e Te ami… che io mi umilii e Te esalti…”


Citiamo il commentario della prima frase di Rev. Nikolaus Gihr nell’opera ‘Il santo sacrificio della Messa’: O Dio, concedete che io Vi conosca: Noverim Te! Datemi una conoscenza intima delle Vostre adorabili perfezioni che sono senza misura né numero – della Vostra infinita grandezza e gloria; dei Vostri inconcepibili potere, saggezza, e bontà; della Vostra inesprimibile bellezza, dolcezza, ed amabilità; penetratemi di una profonda conoscenza delle “cose profonde della Vostra divinità, che solo lo Spirito Santo indaga” (1 Cor 2.10), ovvero delle opere e richezze della Vostra grazia e della Vostra gloria, dei Vostri decreti infinitamnte giusti e misericordiosi, delle dispensazioni meravigliose ed imperscrutabili della Vostra Provvidenza! Noverim me! Concedetemi inoltre una sana conoscenza di me stesso! “O mio Dio, illuminate le mie tenebre!” (salmo 17. 29); che la Vostra luce mi permetta di scorgere profondamente nell’abisso del mio nulla, della mia miseria, della mia aporea, mia fragilità, mia peccaminosità!”


Siccome sant’ Agostino spiega che solo la profondità delle sue fondamenta assicurano l’elevatura dell’edificio così solo l’umiltà dell’anima può assicurare la salita verso Dio: solo quella virtù può assicurare che Dio rivolga lo sguardo sull’anima e la chiami a Sé: Aspice me ut diligam te. Voca me, ut videam te. Et in aeternum fruar te. Amen.

+ In nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen.

La lotta contro il peccato (2). Brani patristici

+ In nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen.


Se diciamo che non abbiamo peccato, ci inganniamo, dice san Giovanni (Ep. 1.80). San Gregorio scrive: “Se sei esaltato per le tue conoscenze, richezze ecc., sai forse chi sei? Sei un peccatore. Sai cos’è il peccato? È ciò che è il più vile, il più misero, il male più grande del mondo, perché si oppone nella misura più alta al bene più grande. É proprio l’odio più grande di Dio, l’ingratitudine più grande, l’offesa più grande contro di Lui: è uccidere Cristo, è uccidere Dio, poiché se Dio potesse essere assassinato, l’arma sarebbe il peccato.’


La santa Chiesa di Dio chiama l’uomo nel tempo della vita terrena un viator, un viaggiatore, perché sta sulla via che lo conduce al Cielo. Ma questo viaggio non è solo un viaggio temporale, bensì in primo luogo un viaggio morale nel quale dobbiamo sempre avanzare nelle virtù.


Sant’Agostino scrive: Vedi che siamo viaggiatori. Cos’è dunque il viaggiare? In una parola è un progredire, affinché tu non lo disconosca e cammini troppo lentamente. Sii sempre scontento con ciò che sei, se vuoi arrivare a ciò che non sei ancora. Perché si rimane nello stesso posto dove si è contenti di essere. Se dici che basta così, sei perso. Sempre aggiungere, sempre viaggiare, sempre progredire. Mai soffermarti sulla via, mai tornare indietro. Si sofferma chi non va avanti; si torna in dietro chi torna al punto di partenza; chi apostata si svia dalla strada. Uno zoppo che cammina sulla strada è meglio di uno che corre velocemente, ma che si svia dalla strada.’


Piccoli peccati, se trascurati, divengono grandi sì come molte goccie riempiono un fiume e molti granelli fanno una massa. Qual è la differenza se una nave affonda sotto un’onda enorme o per mezzo di un’entrata graduale di aqua attraverso un buco trascurato? ‘Chi trascura le piccole cose, cade poco a poco’ (Ecclesiastico 19.1).


Dice san Gregorio: Se trascuriamo di curare piccola colpe, siamo insensibilmente portati a commetterne più grandi; e: Chi trascura di pentire e di evitare anche il minimo peccato, non cade subitaneamente dallo stato di grazie, ma poco a poco ne declina. Chi cade spesso in piccole cose deve considerare con serietà che talvolta pecchiamo più gravemente per una colpa piccola che non per una colpa più grande. Perché più è grand, più presto scopriamo che sia una colpa, ed in coseguenza più presto la correggiamo; mentre una piccola colpa si ritiene come un nonnulla, e per questo viene più fatalmente e più trascuratamente perpetuata. E spesso una mente abituata a colpe minori non teme colpe maggiori.


Dunque, prendiamo sul serio tutte le nostre mancanze e proviamo, coll’aiuto della Madonna Immacolata, a correggerne anche le più piccole, perché Dio ci ha comandato di essere prefetti. Amen.

+ In nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen.

La lotta contro il peccato (1).

+ In nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen.


Innanzi tutto, se siamo consapevoli di essere in peccato mortale o soggetti a tentazioni verso il peccato mortale, tutte le forze dell’anima dobbiamo concentrare nella lotta contro di esso, chiedendo l’aiuto di Dio senza tregua. Non basta dire: mi confesso dopo.


Ma se non ci siamo soggetti, dobbiamo lottare contro il peccato veniale. ‘Se non siamo affogati nel mare’, avverte sant’ Agostino, ‘ stiamo attenti di non essere sommersi nella sabbia.’ Perché i nostri peccati veniali possono essere tanti quanti i granelli di sabbia sulla spiaggia del mare ed essi ci spingono verso il peccato mortale, ossia verso la morte eterna.


Se ci vogliamo santificare, oppure se possiamo solo essere meno incerti della nostra salvezza, è essenziale confessarci spesso e fare un esame di coscienza ogni giorno.


Quell’ impazienza, quel tono di voce duro, quel pensiero cattivo; quella parola cattiva, quella parola in più, quella parola aggiunta alle pettegolezze di altrui; quel piccolo atto di disonestà, quella menzogna “al fin di bene” – come se i fini pottessero giustificare i mezzi – , quel tacere di un consiglio morale per rispetto umano; preghiere mancate, fatte male, raccorciate; autoindulgenza, divertimenti eccessivi, parole inutili; spreco di tempo, spreco di soldi, spreco di cibo; antipatie coltivate nel cuore, sensualità disordinate coltivate, offese (vere o immaginate) coltivate nel cuore, ingigantite, raccontate ad altri – tutti granelli di sabbia accumulandosi attorno all’anima, immobilizzandola, soffocandola.


I maestri della vita spirituale dicono che dopo il peccato mortale dobbiamo combattere in primo luogo il peccato veniale deliberato. Se il peccato mortale rompe l’unione a Dio, come tagliare il cordone che attacca uno scalatore di montagna ad un altro, se acceca la mente (conviventi non capiscono più che fanno male); il peccato veniale disturba l’unione a Dio come un cordone gradualmente logorato col contatto con la roccia tende a rompersi, e confonde la mente.


Vigilate! dice spesso il Signore. Siamo vigili! Facciamo un esame di coscienza ogni giorno, ogni sera prima di andare al letto: Cosa ho fatto oggi? Cosa ho fatto la mattina? Cosa ho detto il pomeriggio? Cosa ho pensato la sera? Il nostro compito è di progredire nella virtù ogni giorno della vita: da giorno a giorno, da confessione a confessione, da santa Comunione a santa Comunione: progredire nella virtù, progredire nell’amore verso Dio e verso il prossimo: con ogni giorno, con ogni confessione, con ogni santa Comunione.


L’illustre pittore Zeuxis disse: Dipingo per l’eternità. Dì anche tu: Dipingo per l’eternità: Dipingo l’icone della mia anima per l’eternità. L’icone, eikon in greco, significa immagine: l’anima è immagine di Dio: fatta secondo l’immagine ed assomiglianza di Dio. Sto creando, sto dipingendo un’immagine di Dio che io possa mostrare a Dio nell’ultimo giorno della vita, nell’ultimo giorno dell’universo, nella quale i beati del cielo e gli angeli possano vedere ed ammirare, lodare e glorificare Dio Stesso per tutta l’eternità.

+ In nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen

Cap. 21. La Santa Messa – un Sacrificio di Petizione.

Rev. Nicholas Gihr

Infine, che la Messa sia anche il più potente ed efficace Sacrificio di impetrazione, è incontestabilmente chiaro dalla dottrina e dalla pratica della Chiesa. Essa ha dichiarato che la Santa Messa non può essere offerta solo per la remissione dei peccati e la soddisfazione dovuta con la loro punizione, “ma anche per tutte le altre necessità, cioè per ottenere tutto ciò di cui abbiamo bisogno nell’ordine della grazia e della salvezza. Basta una rapida occhiata alle varie liturgie per convincerci che la Santa Messa è sempre stata considerata ovunque come il mezzo più efficace per ottenere assistenza in tutte le necessità e le preoccupazioni della vita. Ora ci resta solo da spiegare in che modo la Santa Messa agisce e quali effetti ha come sacrificio di petizione.

  1. Come Sacrificio di petizione la Santa Messa produce i suoi effetti attraverso la preghiera (per modum orationis vel impetrationis); l’offerta della Messa è, cioè, essenzialmente preghiera o vera petizione, e, quindi, proprio per indurre il cuore del Padre Celeste ad impartirci la ricchezza delle Sue grazie e benedizioni. Sull’altare, Gesù Cristo come Sommo Sacerdote si offre e intercede in nostro favore, presentando e offrendo all’Eterno Padre la sua dolorosa morte e tutti i suoi meriti, per indurlo a comunicarci i suoi doni. Sotto questo aspetto, il frutto irnpetratorio del Sacrificio Eucaristico origina ex opere operato; poiché ha il suo fondamento nella celebrazione del Sacrificio, negli atti e meriti di Gesù Cristo, e non nella devozione del sacerdote che celebra né dei fedeli per i quali viene offerto.

Gli effetti impetratori seguono infallibilmente, – o no? A questa domanda si risponde in vari modi, ma la differenza sta più nell’espressione che nella materia stessa. L’efficacia propiziatoria della Messa è infatti più certa di quella impetratoria; ma anche quest’ultima può essere chiamata infallibile – cioè, quando esistono tutte le condizioni necessarie. Nel caso in cui l’una o l’altra delle condizioni manchi, non otteniamo i favori desiderati. – Soprattutto, è necessario che l’oggetto della nostra petizione sia conforme alla volontà di Dio, cioè che si armonizzi con l’economia divina e l’ordine super-naturale della salvezza. E spesso non è così, in quanto i fedeli si sforzano di ottenere frutti speciali dalla Messa; “perché non sappiamo come dovremmo pregare per pregare come si conviene (Rm 8, 26). Ma quelle grazie che il nostro Salvatore vuole donarci e applicarci, le otteniamo sempre in modo infallibile, a condizione che non poniamo ostacoli sulla strada: Egli vuole procurarci solo tali favori, come Dio è disposto a concederci. Ciò che Cristo chiede in nostro favore, Egli lo ottiene sempre: la sua volontà non può mai essere incompiuta. Se Egli vive sempre nella gloria del Padre, per intercedere per noi: quanto più Egli, nel Suo carattere e ufficio di “Sommo Sacerdote di Dio misericordioso e fedele,” impiega in nostro favore il Suo onnipotente aiuto in quel momento e in quell’ora in cui Egli è misticamente immolato come vittima sull’altare! Allora Egli, come “nei giorni della Sua vita nella carne,” invierà preghiere e suppliche a Dio, e “a causa della Sua riverenza e dignità Egli sarà ascoltato” (Eb 5, 7). Sì, il Padre ascolta Lui (Gv 11, 42); perché nella Messa Cristo Gli offre sempre di nuovo il prezzo della Sua vita divino-umana, il Suo Sangue, le Sue ferite, il Suo amore, la Sua obbedienza, la Sua umiltà, – in breve, l’intero tesoro incommensurabile dei Suoi meriti, che Egli ha accumulato dal presepe alla Croce: non dovrebbe il Padre Celeste, a guardare il volto del Suo Cristo (Sal 83, 10), per amor Suo concederci favori e benedirci con ogni benedizione celeste? Il Signore non prega per le grazie, come noi; Egli ha piena pretesa su di esse, dal momento che le ha meritate. Poiché queste grazie sono tanto più l’effusione della più pura bontà e misericordia del Signore, più alto e più doloroso è il prezzo con cui Egli le ha acquistate per noi, così immeritevoli di favore.

Per ottenere una sovrabbondanza di grazia da Dio attraverso il Sacrificio Eucaristico, la Chiesa, il sacerdote e i fedeli offrono la Messa, unendo le loro richieste ad essa. Senza dubbio il risultato delle petizioni che sono portate e sostenute in virtù del Sacrificio Eucaristico, è meno ingannevole di quella di una semplice preghiera. Perché all’altare non siamo soli a gridare dal profondo della nostra miseria e povertà al trono di Dio, ma è Cristo, il nostro Capo e Mediatore, che prega e offre con noi e per noi. Sì, non ci limitiamo a implorare, ma allo stesso tempo offriamo al Padre Eterno il più prezioso dei doni – il Corpo e il Sangue del Suo amato Figlio, per muoverLo, con questa offerta, per impartirci, secondo la misura della Sua misericordia, ogni sorta di benedizione. Nonostante tutto ciò, la grazia implorata viene talvolta negata. Ma anche in questo caso, possiamo essere sicuri che la Messa non è stata del tutto priva di frutti ed effetti; al posto del dono desiderato, ne riceviamo un altro migliore e più fruttuoso per noi. Anche se non siamo ascoltati secondo il nostro desiderio, tuttavia questo condurrà alla nostra salvezza. ‘Il Signore o ci dà ciò che chiediamo, o ci concede qualcos’altro che sa che sarà più vantaggioso per noi”. – Perciò il frutto sacrificale che, secondo le nostre vedute ristrette, ci attendiamo non viene sempre concesso, ma ci viene donato un altro più adatto; quindi Dio non sempre dà le grazie della Messa nel momento in cui le desideriamo, ma in un altro momento migliore, quando piace a Lui. “Alcuni doni non ci vengono rifiutati, ma concessi in un momento più opportuno”. Se, quindi, non poniamo ostacoli sul cammino, ma ci prepariamo degnamente, otteniamo sempre qualche frutto salutare a causa del potere impetratorio del Sacrificio della Messa.

  1. In generale, si può dire che la Messa come Sacrificio di petizione ha esattamente gli stessi effetti della preghiera: sia la preghiera che il Sacrificio possono ottenere tutti i doni per noi ed evitarci ogni male. – L’oggetto di una preghiera di petizione può anche essere il frutto della petizione del Sacrificio Eucaristico, purché promuova direttamente o indirettamente l’onore di Dio e sia benefico per la nostra salvezza. È principalmente attraverso il canale della Messa che ci fluiscono doni soprannaturali o spirituali, che appartengono all’ordine della grazia; doni naturali e temporali, se qualcosa di spirituale per l’anima o qualcosa di materiale per il corpo, può essere richiesto e ottenuto solo in funzione della salvezza eterna e subordinatamente al nostro fine ultimo. Il Sacrificio della Messa attira sull’anima la luce e la rugiada del Cielo, affinché tutti i frutti dello Spirito Santo – “carità, gioia, pace, pazienza, benignità, bontà, longanimità, mitezza, fede, modestia, continenza, castità” (Gal 5, 22-23) possano in essa raggiungere la loro più bella fioritura e maturazione. La Messa ottiene la grazia, la forza e il coraggio di compiere buone opere, di vincere la carne e la sua concupiscenza, di disprezzare il mondo con le sue lusinghe e le sue insidie, di resistere agli attacchi di Satana, di sopportare non solo pazientemente, ma con gioia e ringraziando Dio, le difficoltà e i problemi, le sofferenze e i mali di questa vita, per combattere la buona battaglia, per portare a termine la nostra corsa e perseverare fino alla fine nella via della salvezza, e così conquistare la corona della vita e della gloria eterna.

Ma dalla Santa Messa non ci giungono solo tesori di grazia, non solo ricchezze soprannaturali e imperiture, ma anche benefici e benedizioni temporali. Tuttavia, sapendo che non può con maggior sicurezza portare al possesso del cielo, la fortuna o la sfortuna, la gioia o il dolore, la salute o la malattia, una vita lunga o breve, dovremmo rivolgere tali richieste a Dio solo condizionatamente, sottomettendo la nostra volontà alla sua paterna saggezza e bontà. “Mostra la tua via al Signore e confida in Lui, ed Egli agirà” (Sal 36, 5). Voi desiderate per mezzo della Messa ottenere il ripristino della salute, ma invece nostro Signore vi dà il dono della pazienza e del distacco da ciò che è terreno; non è questo un dono più prezioso? Nel Messale troviamo diverse preghiere: per l’assistenza, per la sicurezza nei pericoli, per la liberazione dalla sofferenza e dalla tribolazione; in queste preghiere, la Chiesa rivela allo stesso tempo lo spirito con cui prega, subordinare il temporale e terreno all’eterno e celeste.

Questi frutti impetratori della Messa ci vengono impartiti con generosità, più i nostri cuori sono aperti ad essi, più sono disposti a riceverli in modo degno; quindi dobbiamo preparare i nostri cuori a riceverli con una purificazione del nostro essere con la penitenza, ritirando i nostri affetti dalle cose terrene e infiammando i nostri desideri per i beni celesti.

  1. I pericoli e i conflitti del nostro pellegrinaggio terreno sono molteplici. I bisogni dell’uomo sono molti, la sua povertà è grande. Eppure, ecco! tutti coloro che sono stanchi e pesantemente carichi trovano all’altare ristoro, sicurezza e assistenza in tutte le necessità dell’anima e del corpo. La Santa Messa è un oceano di grazia: perché, allora, qualcuno dovrebbe andarvi nel bisogno? È una fonte inesauribile di benedizioni, dalla cui pienezza possiamo, per quanto nelle nostre possibilità e secondo il nostro bisogno, attingere grazia su grazia. Per mezzo di questo Sacrificio siamo diventati ricchi in tutte le cose, in modo che nessuna grazia ci manchi (1 Cor 1, 4-7). Quindi, dovremmo usare in tutta gratitudine e con santa gioia le inesauribili ricchezze della misericordia divina, presentate sull’altare e messe a nostra disposizione. Ma dovremmo sforzarci di acquisire non solo i beni terreni e deperibili, non semplicemente “la rugiada del cielo e la grassezza della terra e l’abbondanza di grano e vino” (Gn 27, 28), ma soprattutto di soddisfare la sete e il desiderio di beni soprannaturali ed eterni, di arricchirci con tesori che “né la ruggine né la tarma consumano, e dove i ladri non irrompono, né rubano” (Mt 6, 20). Preghiamo per ciò che conduce veramente alla nostra salvezza e felicità, per ciò che può far avanzare il regno di Dio dentro e intorno a noi. Come dice San Gregorio, “È volontà del Signore, che Lo amiamo al di sopra di tutto ciò che Egli ha creato, e che Lo imploriamo di concederci i beni eterni, piuttosto che quelli terreni”.

Non dovremmo mai “separare le nostre preghiere da Gesù Cristo, che prega per e in noi, e al quale noi rivolgiamo la preghiera; Egli prega per noi come nostro Sommo Sacerdote; Egli prega in noi come nostro Capo; noi Lo preghiamo come nostro Dio”. Questo avviene in modo perfetto durante la celebrazione della Santa Messa. Uniamo quindi le nostre richieste e suppliche con il Sacrificio e la mediazione di Gesù Cristo. Perché, sostenute dalla Sua immolazione e dai Suoi meriti, le nostre preghiere saranno più utili ed efficaci, avranno una risposta più rapida e perfetta. Ma la nostra preghiera deve essere fatta correttamente; deve essere fatta con fede e fiducia, con umiltà e perseveranza, in modo che possa penetrare le nubi e, in unione con il Sacrificio Eucaristico, salire al trono dell’Altissimo. “Riflettete su come Dio ascolta più facilmente le preghiere del sacerdote durante la Santa Messa che in qualsiasi altro momento. Egli impartisce in ogni momento le Sue grazie, tutte le volte che gli vengono chieste attraverso i meriti di Gesù Cristo, ma durante la Messa le dispensa in misura più abbondante; perché le nostre preghiere sono poi accompagnate e sostenute dalle preghiere di Gesù Cristo, e acquisiscono attraverso la Sua intercessione un’efficacia incomparabilmente più grande, perché Gesù è il Sommo Sacerdote che si offre nella Messa per ottenere la grazia per noi. Il tempo della celebrazione della Messa è l’ora in cui nostro Signore siede su quel trono di grazia al quale, secondo il consiglio dell’Apostolo, dovremmo avvicinarci per trovare misericordia e aiuto in tutte le nostre necessità. Anche gli angeli attendono con ansia il tempo della Santa Messa, affinché l’intercessione che poi ci fanno sia più utile e accettabile davanti a Dio; e ciò che non otteniamo durante la Santa Messa, non possiamo aspettarci che ci sia concessa in un altro momento” (S. Alfonso Maria de’ Liguori).

  1. Così il Santo Sacrificio della Messa è l’espressione più profonda e significativa di tutte le nostre richieste e intercessioni nelle preoccupazioni spirituali e temporali. Lo offriamo quando siamo gravati da avversità di ogni genere, implorando consolazione e assistenza da Colui che per noi ha sofferto tanto dolore e pena. Lo offriamo quando il Signore nella Sua giusta ira, provocato dai nostri peccati, ci visita con i Suoi castighi, colpisce i nostri campi con la siccità, distrugge i nostri raccolti con la pioggia e le inondazioni, e imploriamo dalla Sua paterna Bontà che a tempo debito doni alle nostre terre il sole e la pioggia necessari. Quando l’Angelo della Morte si muove tra noi in tempi di contagio, offriamo la Santa Messa, implorando in essa il Signore della vita e della morte che Egli trattenga gli orrori della morte. Offriamo il Santo Sacrificio a nome dei fedeli che alla presenza di Dio e della Chiesa si impegnano nel sacro vincolo del matrimonio, implorando per loro la grazia della fedeltà e dell’amore e tutte le benedizioni di un’unione cristiana per tutta la vita e fino alla morte. Lo offriamo quando i nostri giovani leviti sono scelti per il servizio dell’altare del Signore mediante l’imposizione delle mani; e quando quelli scelti tra i sacerdoti sono consacrati all’ufficio di capo pastore, in ciò imploriamo per loro l’assistenza del grande Pastore delle anime (1 Pt 2, 25), che in parole e azioni possano essere buoni pastori e degni dispensatori dei misteri di Dio, ed essere in grado di essere sottoposti al giudizio il giorno della resa dei conti. Lo offriamo per i nostri fratelli che il nostro Signore ha chiamato da questo mondo, implorando dal Giudice dei vivi e dei morti, che Egli sia misericordioso verso le loro anime e conceda loro il riposo eterno. Lo offriamo per tutti i fedeli, affinché Dio possa impartire loro grazia e benedizione e ammetterli al regno eterno del cielo. (Cf. Geissel I, p. 460 e segg.).

Segue il cap. 22 – I Partecipanti ai Frutti della Messa.

La generosità secondo san Francesco de Sales

In Nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen.

     San Francesco di Sales, nel suo Trattenimento parla mirabilmente della generosità nelle sue relazioni con l’umiltà, che deve sempre accompagnarla: «L’umiltà – egli dice – crede di non poter nulla, avuto riguardo alla cognizione della nostra povertà, della nostra fragilità… e, all’opposto, la generosità ci fa dire con San Paolo: Posso tutto in Colui che mi conforta.

L’umiltà ci fa diffidare di noi stessi e la generosità ci fa confidare in Dio… Vi sono alcuni che si compiacciono in un’umiltà falsa e sciocca, che impedisce loro di rimirare in loro stessi quello che Dio vi ha messo di buono. Hanno torto su tutta la linea, poiché i beni che Dio ha messi in noi vogliono essere riconosciuti… a gloria della divina bontà che ce li ha dati… L’umiltà che non produce la generosità è senza dubbio falsa…

     La generosità poggia sulla confidenza in Dio, ed essa imprende a fare generosamente tutto quanto le viene comandato… per quanto difficile possa essere… E cosa mai potrà impedirmi di arrivarci (dice essa), mentre sono certissima che colui che ha incominciato l’opera della mia perfezione, la compirà? (Fil 1, 6).

     Tale deve essere la generosità dei principianti. Tutti i santi parlano allo stesso modo. Anche Nostro Signore ha detto: «Chiunque dopo avere messo mano all’aratro volge indietro lo sguardo, non è adatto per il regno di Dio» (Lc 9, 62) .

     È necessario appartenere a quei tali di cui egli disse: «Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati»; essi gusteranno quaggiù come il preludio della vita eterna e la faranno santamente desiderare agli altri lavorando per la loro salvezza.

In Nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen

La magnanimità secondo san Giovanni della Croce

In Nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen.

5. San Giovanni della Croce si esprime allo stesso modo di santa Teresa d’Avila nel suo Prologo della Salita al Carmelo e nella Viva fiamma d’amore. Citeremo un passo della seconda opera da paragrafo 7 sulla strofa II, che descrive la virtù in questione. La intende cioè come l’amore che ricambia l’amore. La descrive come un cauterio, commentando che la piaga prodotta dal cauterio d’amore non si può curare con altra medicina, poiché lo stesso cauterio che la produce la cura: lo stesso che la cura, curante la produce; quindi ogni volta che il cauterio d’amore tocca la piaga d’amore, provoca una piaga d’amore ancor più grande, e così cura e risana quanto più piaga… La piaga è tanto grande che tutta l’anima è piaga d’amore. E così già tutta cauterizzata e fatta una piaga d’amore, è resa tutta sana nell’amore, poiché è trasformata in amore.

La magnanimità, vediamo chiaramente, non è più soltanto quella descritta da Aristotele, bensì la magnanimità infusa, cristiana, descritta da San Tommaso nella sua Somma Teologica. La magnanimità, egli dice, cerca le grandi cose degne d’onore, ma stima che in se stessi gli onori sono quasi un nulla. Non si lascia esaltare dalla prosperità, né abbattere dalle difficoltà. Ora, vi può essere quaggiù cosa più grande della vera perfezione cristiana? Il magnanimo non teme gli ostacoli, né le critiche, né il disprezzo, quando si tratta di sopportarli per una grande causa. Non si lascia intimidire affatto dagli spiriti forti, e non fa alcun caso di ciò che si dice. Fa assai più conto della verità che dell’opinione, spesso falsa, degli uomini. Se questa generosità non è sempre compresa da quelli che vorrebbero una vita più comoda, non cessa però di racchiudere in sé un valore vero e reale. E se questa generosità è unita all’umiltà, piace a Dio e non può restare senza ricompensa.

In Nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen.

La magnanimità secondo santa Teresa d’Avila

In Nomine Patris et Filii e Spiritus Sancti . Amen

  1. Santa Teresa (Cammino di perfezione, c. XIX), riportando queste stesse parole del Salvatore: «Se qualcuno ha sete venga a Me e beva», così si esprime: «Pensate che il Signore invita tutti. Egli è la stessa verità, dunque la cosa è fuori dubbio. Se il festino non fosse generale, non ci chiamerebbe tutti, oppure, chiamandoci, non direbbe: “Vi darò da bere”, ma direbbe invece: Venite tutti, non ci perderete nulla, ed io darò da bere a chi Mi piacerà. Ma poiché Egli dice senza restrizioni: “Venite tutti”, ritengo come cosa certa che tutti quelli che non resteranno per istrada riceveranno quest’acqua viva. Si degni Colui che ce la promise farci la grazia di cercarla come si deve: La chiedo nel Suo nome stesso!». Nello stesso capitolo (XIX) la Santa dice: «Quando Dio vuole che beviamo di quest’acqua viva (l’unione divina, essendo assolutamente soprannaturale, non dipende da noi) è per purificare l’anima nostra… Tutto ad un tratto l’avvicina a sé, ed in un momento le insegna più verità, le dà più lume sul nulla di tutte le cose di quel che non avrebbe potuto acquistare in molti anni». Poi soggiunge (c. XXI): «Ritorniamo a quelli che sono risoluti di camminare per questa via e di non arrestarsi prima d’aver raggiunto la mèta, vale a dire prima di essersi abbeverati a questa acqua viva. E in primo luogo, come si deve principiare? Ciò che è di maggiore importanza, anzi di massima importanza, è di prendere una ferma risoluzione, una determinazione assoluta, irremovibile, di non fermarsi finché non abbiamo raggiunto la sorgente, accada quel che può accadere, costi quel che può costare; per quanto possiamo essere oggetto di critica o morire per via, oppressi sotto il peso di mille ostacoli, per quanto infine il mondo intero dovesse andare in rovina».

In Nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen.

La magnanimità secondo santa Caterina e san Tommaso

In Nomine Patris et Filii e Spiritus Sancti . Amen

La cosa che qui più importa notare è la generosità, necessaria sin dal principio se vogliono arrivare all’unione intima con Dio e alla contemplazione penetrante e gustosa delle cose divine.

Nel «Dialogo» di Santa Caterina da Siena (c.LIII) si legge a tal riguardo: «Voi siete stati tutti invitati generalmente e particolarmente dalla mia Verità, quando, nell’ardore del Suo desiderio, gridava nel tempio: “Chi ha sete venga a me e beva… Sì che voi siete invitati alla fonte dell’acqua viva della grazia. Convienvi dunque passare per lui, che vi fa da ponte, e perseverare in modo che nessuna spina, né vento contrario, né prosperità, né avversità, né altra pena che poteste sostenere vi debba fare volgere il capo a dietro. Dovete perseverare infino che troviate me che vi dò acqua viva e ve la dò per mezzo di questo dolce e amoroso Verbo Unigenito mio Figliuolo».

San Tommaso dice lo stesso, commentando in San Matteo (5, 6) le parole: «Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati». «Il Signore – dice – vuole che abbiano fame e sete di questa giustizia che consiste nel rendere a ciascuno – e primieramente a Dio – ciò che gli é dovuto. Vuole che quaggiù non siano mai sazi… ma che il nostro desiderio cresca sempre più…Beati quelli che hanno questo desiderio insaziabile; essi riceveranno la vita eterna, e nel frattempo i beni spirituali in abbondanza nell’adempimento dei comandamenti, secondo la parola del Maestro (Gv 4, 34) «Mio cibo è far la volontà di Colui che mi ha mandato a compiere l’opera Sua».

Il Dottor angelico, nel suo Commentario sopra San Giovanni (7, 37), dice ancora: «Tutti quelli che hanno sete sono invitati quando Nostro Signore dice: Se qualcuno ha sete, venga e beva. Isaia (55, 1), aveva detto: Voi tutti che avete sete, venite alle acque vive. Chiama gli assetati, perché sono quelli che desiderano servire Dio. Il Signore non accetta un servizio forzato, ma ama colui che dà con gioia (2 Cor 9, 17). Chiama, non solo qualcuno, ma tutti quelli che hanno sete; e li invita a bere questa bevanda spirituale che è la sapienza divina, capace di colmare i nostri desideri; e questa divina sapienza vorremmo darla agli altri dopo averla trovata per noi.

Ecco il motivo per cui Egli ci dice: chi crede in me, scaturiranno dal suo seno – come dice la Scrittura – fiumi d’acqua viva» (Gv 7, 38). Così parla San Tommaso nel suo Commentario sopra San Giovanni.

Ma per giungere a questa sorgente sovrabbondante, é necessario aver sete, sete di virtù, e camminare generosamente per la via stretta dell’abnegazione, via spirituale che è stretta per i sensi, ma che, per lo spirito, diverrà immensa come Dio stesso al quale conduce, mentre il cammino della perdizione, largo sul principio per i sensi, si restringe in seguito sempre più per lo spirito e conduce alla Geenna.

In Nomine Patris et Filii e Spiritus Sancti. Amen

La magnanimità dei principianti

In Nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen

Per questa lettura ci appoggiamo sul libro “Le tre vie della vita interiore” parte 2a, di padre Reginald Garrigou-Lagrange OP.

Nello stato dei principianti, v’è un amor di Dio proporzionato: i principianti veramente generosi amano il Signore con un santo timore del peccato che fa loro fuggire il peccato mortale, ed anche il peccato veniale deliberato, con la mortificazione dei sensi e delle passioni disordinate, o delle concupiscenze della carne, di quella degli occhi e dell’orgoglio. A questo segno può riconoscersi che v’è in essi il principio di un amore profondo di volontà.

Molti, tuttavia, trascurano praticamente la mortificazione, che sarebbe assai necessaria, e sono simili ad un individuo che pretendesse incominciare l’ascensione di una montagna a mezza costa e non già dai piedi della montagna stessa. Salgono allora con l’immaginazione, ma non in realtà; saltano a pie’ pari ogni tappa; ma il loro primo entusiasmo si estinguerà ben presto come un fuoco di paglia. Crederanno di conoscere le cose spirituali e se ne distaccheranno dopo averle appena sfiorate. È quello che accade purtroppo assai spesso!

Se, invece, il principiante è generoso, se, senza voler precorrere la grazia e praticare indipendentemente dall’obbedienza una mortificazione eccessiva ispirata da un segreto orgoglio, vuole veramente progredire, non è raro che riceva, come ricompensa, consolazioni sensibili nella preghiera o nello studio delle cose divine. Il Signore vuole in tal modo conquistare la sua sensibilità perché egli vive ancora soprattutto di questa. La grazia detta sensibile perché ha la sua ripercussione sulla sensibilità, distoglie allora questa dalle cose pericolose e l’attira verso Nostro Signore e la Sua Madre Santissima. In quei momenti, il principiante generoso ama già Dio con tutto il cuore, ma non ancora «con tutta l’anima e con tutte le forze, né con tutto il suo spirito». Gli autori spirituali parlano spesso di questo latte della consolazione che viene allora somministrato.

Lo stesso San Paolo dice (1 Cor 3, 2): «Non è già come ad uomini spirituali che ho potuto parlarvi, ma come ad uomini carnali, come a fanciullini in Cristo. Vi ho dato a bere del latte; non vi ho dato nutrimento solido, perché non ne eravate capaci».

Ma che avviene allora generalmente? Quasi tutti i principianti, ricevendo queste consolazioni sensibili, se ne compiacciono troppo, come se fossero non già un mezzo, ma un fine. Cadono allora in una specie di golosità spirituale accompagnata da precipitazione e da curiosità nello studio delle cose divine, da orgoglio incosciente, che li porta a voler parlare di queste cose come se già fossero maestri. Allora – dice San Giovanni della Croce – riappariscono i sette vizi capitali, non più sotto la loro forma volgare, ma a riguardo delle cose spirituali. Sono altrettanti ostacoli alla vera e soda pietà.

E quale ne sarà la conseguenza? Secondo la logica della vita spirituale, sarà necessaria una seconda conversione, quella descritta da San Giovanni della Croce sotto il nome di purificazione passiva dei sensi «comune alla maggior parte dei principianti», per introdurli nella via illuminativa dei proficienti, dove Dio nutre l’anima con la contemplazione infusa».

Questa purificazione si manifesta con una aridità sensibile prolungata, nella quale il principiante viene spogliato dalle consolazioni sensibili, nelle quali troppo si compiaceva. Se in questa aridità vi è un vivo desiderio di Dio, del Suo regno in noi e il timore di offenderLo, è questo un segno che si tratta di una purificazione divina. E lo è ancora di più se a questo vivo desiderio di Dio si aggiunge la difficoltà di fare nell’orazione mentale considerazioni molteplici e ragionate, e l’inclinazione a rimirare semplicemente il Signore con amore. È questo il terzo segno che palesa come sta compiendosi la seconda conversione e che l’anima è elevata verso una forma di vita superiore che è quella della vita illuminativa o dei proficienti.

Se l’anima sopporta bene questa purificazione, la sua sensibilità si sottomette ognora più allo spirito. Non è raro, allora, che abbia da respingere generosamente tentazioni contro la castità e la pazienza, virtù che hanno la loro sede nella sensibilità e che si fortificano in questa lotta.

Durante questa crisi, il Signore, per così dire, lavora l’anima; scava assai più profondamente il solco da lui tracciato al momento della giustificazione o prima conversione. Estirpa le radici cattive, vale a dire i resti del peccato, «reliquias peccati». Mostra la vanità delle cose del mondo, della ricerca degli onori e delle dignità. Incomincia a poco a poco una vita nuova, come nell’ordine naturale quando un bambino diventa adolescente.

Ma questa crisi viene sopportata più o meno bene. Molti non vi si conducono con sufficiente generosità e possono divenire dei ritardatari. Altri seguono docilmente l’ispirazione divina e divengono dei proficienti.

In Nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen.

La magnanimità

In nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen

In queste serie di letture considereremo la virtù della Magnanimità, prima di tutto nella sua natura, e poi nel suo ruolo nel cammino verso la perfezione.

1. Natura
Appoggiandoci sull’analisi di padre Tanquerey nel suo Compendio di teologia ascetica e mistica e più precisamente sull’insegnamento di san Tommaso d’Aquino, intendiamo questa virtù come una delle quattro virtù integranti ed annesse della fortezza; la fortezza costituendo con la prudenza, la giustizia, e la temperanza le quattro virtù cardinali.

Le altre virtù integranti della fortezza sono la magnificenza, la pazienza e la costanza. Mentre la magnanimità e la magnificenza ci aiutano a fare le cose difficili; la pazienza e la costanza ci aiutano a ben soffrire.

Ebbene, la magnanimità, che si dice pure grandezza d’animo o nobiltà di carattere, è una nobile e generosa disposizione a intraprendere grandi cose per Dio e per il prossimo. Differisce dall’ambizione che è essenzialmente egoista e cerca di innalzarsi sopra gli altri con l’autorità e con gli onori; carattere distintivo della magnanimità è invece il disinteresse: è virtù che vuol prestare servizio ad altrui.Suppone quindi un’anima nobile, nutrito di alto ideale e di generose idee; un’anima coraggiosa che sa mettere la vita in armonia con le convinzioni.

Si manifesta non solo con nobili sentimenti ma soprattutto con le nobili azioni in tutti gli ordini: nell’ordine militare con azioni illustri; nell’ordine civile con grandi riforme e grandi impresi commerciali e simili; nell’ordine sovrannaturale con un alto ideale di perfezione tenuto costantemente di mira, con sforzi generosi per vincersi e superarsi, per acquistare sode virtù e praticare l’apostolato sotto tutte le forme; per fondare e dirigere opere di beneficenza, e per lavorare nel campo dell’azione cattolica; sempre senza badare al danaro, alla salute, alla fama e neppure alla vita.

Il difetto opposto è la pusillanimità che per eccessivo timore di cattiva riuscita, nicchia e rimane inoperosa. Per scansare passi falsi, si commette veramente la più grande della minchionerie, cioè non si fa nulla o quasi nulla e così si spreca la vita. O non è meglio esporsi a qualche sbaglio anziché restare in inerzia perpetua?

In Nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen.

La spiritualità del Nuovo Testamento. parte III

+ In nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen.

  1. LA SPIRITUALITÀ DEI SINOTTICI

    Nella prima parte di questa presentazione della spiritualità del Nuovo Testamento abbiamo considerato in genere la sua idea centrale che è quella del Regno di Dio; nella seconda parte ne abbiamo considerato la sua costituzione. Procediamo adesso guardando le condizioni per entrarci.
    c) Condizioni per entrare in questo regno
    Per entrarvi si deve far penitenza, ricevere il battesimo, credere al Vangelo e osservare i comandamenti. Ma a perfezionarvisi, l’ideale proposto ai discepoli è di accostarsi quanto più è possibile alla perfezione stessa di Dio. Essendo Suoi figli, una tal nobiltà c’impone doveri, onde dobbiamo accostarci quanto più è possibile alle divine perfezioni: “Estote ergo vos perfecti, sicut et Pater vester caelestis perfectus est: Siate perfetti come Vostro Padre celeste è perfetto” (Mt 5. 48).
    A conseguire ideale così perfetto occorrono due condizioni essenziali: la rinunzia a se stesso e alle creature, onde uno si distacca da tutto ciò che è ostacolo all’unione con Dio; e l’amore, onde uno si dà intieramente a Dio seguendo Gesù Cristo: “Si quis vult post me venire, abnegat semetipsum, et tollat crucem suam quotidie, et sequatur me: se qualcuno vuol venire dietro di me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua” (Lc 9.23).
    Ora la rinunzia ha vari gradi. Deve escludere per tutti quel disordinato amore di sè e delle creature che costituisce il peccato, e specialmente il peccato grave, ostacolo assoluto al nostro fine; il che è tanto vero che, se l’occhio destro ci scandalizza, non dobbiamo esitare a strapparlo: “Quod si oculis tuus dexter scandalizat te, erue eum et projice abs te: se il tuo occhio destro ti è occasione di scandalo, cavalo e gettalo via da te. ” (Mt 5.29).
    Ma per coloro che vogliono essere perfetti, la rinunzia sarà assai più intiera e comprenderà la pratica dei consigli evangelici: la povertà effettiva, il distacco dalla famiglia e la castità perfetta o continenza. Chi poi non volesse o non potesse arrivare a tanto, si contenterà della rinunzia interna alla famiglia e ai beni di questo mondo; praticherà lo spirito di povertà e l’interno distacco da tutto ciò che si oppone al regno di Dio nell’anima; può così assorgere ad alto grado di santità. Questi vari gradi risultano dalla distinzione tra precetti e consigli: per entrare nella vita, basta osservare i comandamenti; ma per essere perfetti, bisogna vendere i propri beni e darli ai poveri: “Si autem vis ad vitam ingredi, serva mandata… Si vis perfectus esse, vade, vende quae habes et da pauperibus: Se vuoi entrare entrare nella vita, osserva i comandamenti… se vuoi essere perfetto, va’ vendi quelli che possiedi, dallo ai poveri…” (Mt. 19.16-22)
    La perfetta rinuncia va sino all’amor della croce “tollat crucem suam: prenda la sua croce”; si finisce con amar la croce, non per se stessa, ma per ragione del divin Crocifisso che uno vuol seguire sino alla fine: “… et sequatur me: e Mi segua”. Si riesce anzi a trovare la perfetta letizia nella croce: Beati pauperes spiritu: beati i poveri in ispirito… beati mites: beati i miti… beati qui persecutionem patiuntur: beati i perseguitati… Beati estis cum maledixerint vobis: beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno, e mentendo diranno ogni sorta di male contro di voi per causa Mia.” (Mt 5. 1-12)
    + In nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen.

La spiritualità del Nuovo Testamento. part II

+ In nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen.

  1. LA SPIRITUALITÀ DEI SINOTTICI

    Nella prima parte di questa presentazione della spiritualità del Nuovo Testamento abbiamo considerato in genere la sua idea centrale che è quella del regno di Dio. Procediamo ora guardandone la sua costituzione.
    b) La costituzione del Regno di Dio
    Questo Regno interno ha un capo, che è Dio stesso. Ora questo Dio è nello stesso tempo Padre dei Suoi sudditi, non della comunità soltanto come nell’Antica Legge, ma di ogni anima in particolare. La Sua bontà è così grande che si estende anche ai peccatori finchè vivono sulla terra; ma la Sua giustizia colpisce i peccatori ostinati che verranno condannati al fuoco dell’Inferno.
    Questo regno fu fondato sulla terra da nostro Signore Gesù Cristo, Figlio dell’uomo e Figlio di Dio, che è Egli pure nostro Re: per diritto di nascita, perchè è il Figlio, l’Erede naturale, il solo che conosce il Padre come il Padre conosce Lui; e per diritto di conquista, perchè venne a salvare ciò che era perito e versò il sangue a remissione dei nostri peccati. È Re pieno di premure, che ama i piccoli, i poveri, i derelitti, che corre dietro la pecorella smarrita per ricondurla all’ovile, e che sulla croce perdona ai Suoi carnefici.
    Ma è pure Giudice dei vivi e dei morti; e nell’ultimo giorno farà la separazione dei buoni dai cattivi, i giusti amorosamente accogliendo nel Suo regno definitivo, e i reprobi condannando all’eterno supplizio. Non v’è dunque nulla sulla terra di più prezioso di questo Regno; è la perla preziosa ed il tesoro nascosto che bisogna acquistare ad ogni costo.

+ In nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen.

La spiritualità del Nuovo Testamento. part I.

+ In nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen.

In questa breve presentazione della spiritualità del Nuovo Testamento, che consiste essenzialmente nel trattamento di padre Adolfo Tanquerey nel suo ‘Compendio di teologia ascetica e mistica’, consideremo in primo luogo quella dei vangeli sinnotici, ovvero del vangelo di san Matteo, di san Marco a di san Luca; poi quella di san Paolo; e finalmente quella di san Giovanni.

  1. LA SPIRITUALITÀ DEI SINOTTICI.
    L’idea centrale dell’insegnamento di Gesù nei Sinottici è quella del Regno di Dio. A far capire la spiritualità che vi è annessa, ne esponiamo:
    a) la natura,
    b) la costituzione, e
    c) le condizioni per entrarvi. a) La natura del Regno
    Il Regno di Dio predicato da Gesù Cristo nulla ha di terreno, contrariamente a ciò che nei loro pregiudizi pensavano i Giudei, ma è tutto spirituale, opposto a quello di Satana, capo degli angeli ribelli.
    Si presenta sotto tre forme diverse:
  2. il Paradiso o il Regno riserbato agli eletti: “Venite, benedicti Patris mei, possidete paratum vobis regnum a constitutione mundi: Venite benedetti del Padre Mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo” (Mt 25.34);
  3. il Regno interno quale già si trova sulla terra, vale a dire la grazia, l’amicizia, la paternità divina offerta da Dio e accettata dagli uomini di buona volontà;
  4. infine il Regno esterno che Dio fonda a perpetuare l’opera Sua sulla terra.
    Queste tre forme non costituiscono che un solo e medesimo Regno; perchè la Chiesa esterna non è fondata se non perchè il regno interno possa pacificamente svilupparsi, e questo è, a così dire, il complesso delle condizioni che schiudono il Regno celeste.

+ In nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen

Evitare il Purgatorio (2)

+ In Nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen.

« Credi tu », dichiara il nostro Signore Benedetto a santa Gertrude la Grande, « che il Mio Corpo Immacolato ed il Mio Sangue Preziosissimo qui sull’altare non siano sufficientemente potenti per condurre coloro che sono sulla via della perdizione ad un migliore corso di vita? » Santa Gertrude, incoraggiata e rincuorata da queste parole, implorò l’Onnipotente Salvatore tramite il Suo Sacratissimo Corpo e il Suo Preziosissimo Sangue durante la Santa Messa allora in via di essere offerta dalla Sua eterna oblazione di Sé sull’Altare per la salvezza dei peccatori, di riportare allo stato di grazia almeno una parte di coloro che furono sulla via di perdizione, e Nostro Signore le ha gentilmente rassicurato che così sarebbe.

Chiediamo dunque per l’intercessione di santa Gertrude e della Beatissima Vergine Maria, Rifugio dei peccatori, la conversione dei peccatori mortali durante la Santa Messa con fiducia e profonda devozione. Chiediamo la propria conversione. Chiediamo la remissione dei propri peccati, la diminuzione o anche la cancellazione totale, di tutto ciò che avremmo meritato nelle fiamme divoratrici del Purgatorio, perché « le nostre iniquità (come leggiamo nel Salmo 39) si sono moltiplicate sopra i capelli del capo », e come leggiamo altrove nelle Sacre Scritture, « Le nostre trasgressioni… sono più numerose delle sabbie del mare » – le nostre trasgressioni che ci sono conosciute, che ci sono conosciute ma dimenticate, le trasgressioni che non ci sono conosciute: per « attingere acque con gioia dalle Fonti del Salvatore » (Is 12), cioè dalle sue piaghe gloriosissime, le acque che « si aprono alla casa di Davide e agli abitanti di Gerusalemme » ( Zac 13 ), « le fonti d’acqua che zampillano per la vita eterna » (Gv 4). « Corriamo alle acque, noi che abbiamo sete e non abbiamo denaro » (Is 55). Perché Nostro Signore Gesù Cristo ci dice: « Chi ha sete , venga » ( Ap 22), e « chi vuole, attinga gratuitamente l’acqua della vita ».

Perché questa sorgente d’acqua è così vasta ed abbondante che basta a lavare i peccati di innumerevoli mondi. Quest’acqua di grazia Egli ci dona in tutti i Santi Sacramenti e nella Santa Comunione, ma mai con maggiore generosità che nella Santa Messa, afferma padre Martin von Cochem, dal cui libro deriva la materia che abbiamo presentata sopra, poiché come dichiara il Concilio di Trento: « I frutti di quella oblazione cruenta sono ricevuti in abbondanza in questa oblazione incruenta. »

+ In Nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen.

Evitare il Purgatorio (1)

+ In Nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen.

Continuiamo guardando il carattere espiatorio della Santa Messa. Per comprendere la necessità dell’espiazione, ricordiamo che la conseguenza di ogni peccato è duplice: la colpa e la pena del peccato. La colpa è rimessa con la contrizione e la confessione; la pena (o punizione temporale) è rimessa con la contrizione in confessione e la penitenza data in confessione, che normalmente, però, rimetteranno la pena solo in parte. Quanto più profonda la contrizione, quanto più sincera la confessione, quanto più severa la penitenza: tanto più largamente sarà rimessa questa pena. Ma che dire del resto della sanzione? Deve essere pagato con lagrime, preghiere, veglie, digiuni, elemosine, confessioni, sante Comunioni, sante Messe e Indulgenze qui sulla Terra; e ciò che non sarà stato pagato prima della morte sarà pagato dalle fiamme del Purgatorio dopo la morte. Il venerabile Luigi da Grenada, il dotto e santo domenicano del XVI secolo, sostiene che l’adulto medio trascorre dai trenta ai cinquanta anni in Purgatorio.

Ma se vogliamo, come è del tutto naturale, come Dio desidera nella sua economia di salvezza, e come Gli è proprio appropriato nella Sua infinita bontà e nel Suo infinito amore verso di noi, che noi evitiamo le fiamme del Purgatorio e che usiamo la nostra vita per santificarci, affinché alla morte passiamo subito nella Visione dell’Eterna e Santissima Trinità, allora che cosa possiamo fare? A parte le pratiche a cui abbiamo appena accennato, bisogna assistere alla Messa in ispirito di penitenza, in ispirito di riparazione per i nostri peccati.

Il Concilio di Trento dichiara dogmaticamente: « Se qualcuno dice che il Sacrificio della Messa non è un sacrificio propiziatorio Anathema Sit »; dichiara inoltre che otteniamo la misericordia e troviamo la grazia: «… se ci avviciniamo a Dio contriti e pentiti, con cuore sincero, retta fede, timore e riverenza. Poiché il Signore è placato dalla sua oblazione, concedendo la grazia ed il dono del pentimento, perdonando anche i delitti ed i peccati efferati… ». Quanto ai peccati veniali aggiunge: « Cristo ha istituito la Santa Messa nell’Ultima Cena affinché la sua virtù salutare si applichi alla remissione di quei peccati che quotidianamente commettiamo ». Il metodo con cui la colpa e la pena del peccato saranno rimesse è, come abbiamo detto sopra, mediante la Santa Messa che risveglia la contrizione nel nostro cuore.

Assistere poi alla Santa Messa in spirito di riparazione con piena fiducia nella misericordia di Dio ha l’effetto di ridurre in misura grande il nostro debito verso Dio, come i debiti di quelle persone verso il loro padrone nella parabola, che l’amministratore del padrone riduce incommensurabilmente in un solo atto di misericordia. Si narra infatti che, assistendo con le opportune disposizioni alla Santa Messa in suffragio delle anime sante del Purgatorio, i quattro anni di purgatorio ai quali una determinata anima era stata condannata per giusta ira di Dio, furono commutati in due anni e mezzo.

Scrive un dotto commentatore: « ammesso che i fedeli assistano alla Messa per ottenere questa remissione, essa è concessa immediatamente ed in pieno vigore ». « Tale è la potenza della Santa Messa », afferma un altro pio autore, « che i nostri peccati si sciolgono davanti ad essa come la cera davanti al fuoco, e le pene che abbiamo guadagnate sono allontanate da noi ». L’Infinita Misericordia di Dio ci concede di offrire spiritualmente il Sacrificio della Messa proprio come il nostro sacrificio: « Pregate, fratelli, che il mio e il vostro sacrificio sia gradito a Dio Padre Onnipotente… ». Anche se come peccatori ci siamo fatti nemici di Lui fino ad un grado maggiore o minore, tuttavia la nostra offerta del Sacrificio dell’Immacolato e Divino Agnello di Dio al Padre attira sulle nostre anime il Divin Favore, per la remissione di tutte le nostre offese, anche se, come insegna il Concilio di Trento, i nostri peccati fossero dei più gravi.

+ In Nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen.

La Sepoltura di Gesù

+ In Nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen.

Ver. 57. Venuta la sera, giunse un uomo ricco di Amimatea, chiamato Giuseppe, il quale era divenuto anche lui discepolo di Gesù. Egli andò da Pilato e gli chiese il corpo di Gesù. Allora Pilato ordinò che gli fosse consegnato. Giuseppe, preso il corpo di Gesù, lo avvolse in un candido lenzuolo e lo depose nella sua tomba nuova, che si era fatta scavare nella roccia; rotolata poi una grande pietra sulla porta del sepolcro, se ne andò.

La sera si stava avvicinando, ma non era ancora venuta, ed era necessario che fosse sepolto prima della sera, quando iniziò il sabato (in cui dovevano riposarsi).

Un certo uomo ricco: Perché un uomo povero non avrebbe avuto il coraggio di fare una richiesta del genere, dice S. Girolamo.

Chiamato Giuseppe. Cristo venne al mondo da Giuseppe, il promesso sposo della Vergine, e fu sepolto da un altro Giuseppe. Giuseppe significa « aumentato », cioè per grazia di Dio. Poiché, come il Patriarca Giuseppe abbondava in castità e affetto per suo padre, così Giuseppe, il marito della Vergine, eccelleva in castità; e questo Giuseppe, ancora una volta, era eminente per il suo tenero amore per Cristo, suo padre spirituale, quando ora era morto. S. Marco lo chiama nobile Consigliere (βουλευτής). Si suppone che sia stato un consigliere di Gerusalemme, dal momento che ha vissuto e fatto il suo luogo di sepoltura lì. Maldonato suppone di aver preso parte al Consiglio sulla presa e l’uccisione di Cristo, ma che non era d’accordo con il resto. Il quale anche lui era discepolo di Gesù, e così desiderava svolgere gli ultimi uffici per il suo Maestro.

Ver. 58. È venuto da Pilato. « Venne coraggiosamente », dice S. Marco, perché sebbene, per paura dei giudei, fosse un discepolo segreto, eppure intraprese senza paura questo difficile lavoro; poiché era sia rafforzato da Cristo che spinto dalla Beatissima Vergine. « Da questo possiamo vedere », dice Vittore di Antiochia, « la sua grande risoluzione e audacia, perché ha quasi sacrificato la propria vita per amore di Cristo, attirando su di sé i sospetti dei suoi nemici, i giudei »; e S. Crisostomo, « L’audacia di Giuseppe è altamente da ammirare, quando per amore di Cristo incorse in pericolo di morte e si espose all’odio generale ». S. Luca e S. Marco dicono, « che anche lui stesso aspettava il Regno di Dio ». Sperava, cioè, attraverso Cristo, nell’amore celeste, e così ha rischiato il pericolo per amor Suo.

E pregò il corpo di Gesù. S. Anselmo (Dial. De Pass.) Dice che è stato rivelato a se stesso dalla Beatissima Vergine che Giuseppe ha dato questo motivo, tra gli altri, per la sua richiesta, che Sua Madre stava morendo di dolore per il suo unico Figlio, e che era irragionevole che la Madre innocente dovrebbe morire così come il Figlio; ma che sarebbe stata una consolazione per lei seppellirlo. Concede dunque a lei, per quanto afflitta, questo favore. È probabile, inoltre, che egli abbia affermato la santità e l’innocenza di Gesù, che Pilato conosceva bene, e che quindi il Suo Corpo non avrebbe dovuto essere gettato via con quelli dei criminali nella Valle dei Cadaveri, adiacente al Golgota, ma era degno di onorevole sepoltura, che era pronto a fornire…

Quindi (avendo sentito e approvato le ragioni di Giuseppe) Pilato comandò che il corpo fosse consegnato. Affinché potesse in tal modo dargli una sorta di soddisfazione per averLo condannato a morte, e anche alleviare la sua stessa condotta dandogli un’onorevole sepoltura, come se Lo avesse condannato per costrizione…

S. Marco aggiunge: « Ma Pilato si meravigliò se fosse già morto », perché i ladri non erano ancora morti, e anche (dice Eutimio) perché si aspettava che Gesù sarebbe morto lentamente essendo un Uomo Divino, superando di gran lunga gli altri in resistenza. « Ma quando seppe dal centurione che era morto, diede il corpo a Giuseppe » (Marco XV. 45).

Ver. 59. E quando Giuseppe ebbe preso il corpo, lo avvolse in un panno di lino pulito. Un simile tessuto si adattava bene a questo corpo purissimo. Sindone è un panno tessuto del lino più fine e delicato, così chiamato da Sidone, dove è stato realizzato per la prima volta. I giudei vi avvolgevano i cadaveri, si legavano mani e piedi con bende e la testa con un tovagliolo (Giovanni XI. 44). Così fece Giuseppe con Cristo (Giovanni XIX. 40). S. Girolamo da questo condanna i sontuosi funerali dei ricchi e aggiunge: « Ma possiamo prendere questo per significare, in senso spirituale, che colui che riceve Gesù in una mente pura lo avvolge in un panno di lino pulito ».

Per questo il corpo di Cristo nella Messa è posto solo in un panno di lino molto pulito e fine. Questo si chiama corporale, dal Corpo di Cristo che contiene al suo interno, come in una tomba. S. Giovanni aggiunge che Nicodemo portò mirra e aloe per ungere e profumare il corpo (Giovanni XIX. 39). Perché questi impedivano ai corpi di putrefarsi.

Misticamente: Eutimio desidera che noi profumiamo di questi unguenti quando riceviamo il corpo di Cristo nel nostro petto, come in una nuova tomba. « Anche noi », dice, « quando riceviamo il Corpo di Cristo all’altare, ungiamoLo con odori dolci, cioè mediante atti virtuosi e contemplazione… ».

Ver. 60. E lo depose nella sua tomba nuova, che aveva scavato nella roccia. S. Giovanni aggiunge (XIX. 41) che era in un giardino. Era « una nuova tomba », per timore che chiunque altro che vi era stato sepolto potesse essere supposto (dice S. Crisostomo) o fingere (S. Girolamo) di essere risorto. S. Agostino dice misticamente: come nessuno prima o dopo di Lui fu concepito nel grembo della Vergine, così nessuno prima o dopo di Lui fu sepolto in questa tomba.

Nella roccia. « Perché se fosse stato costruito con molte pietre e le fondamenta fossero crollate, si sarebbe potuto dire che il corpo fosse stato portato via », dice S. Girolamo. Beda, in Marco XV., descrive completamente la sua forma: « Che era così alta che un uomo difficilmente poteva toccarne la parte superiore. Il suo ingresso era a est. A nord c’era il luogo in cui giaceva il Signore, rialzato sopra il resto del pavimento e aperto a sud ». Anche Adrichomius lo descrive, e aggiunge « che Giuseppe ha dato la sua tomba a Cristo, che fu così sepolto nella tomba di uno sconosciuto ».

« Colui che non aveva una casa Sua quando era vivo (dice Teofilatto), non ha una Sua tomba, ma è posto nella tomba di un altro, ed essendo nudo è vestito da Giuseppe ». « È sepolto », dice S. Agostino (Serm. CXXXIII. De Temp.), « Nella tomba di un altro, perché è morto per la salvezza degli altri. Perché aveva bisogno di una tomba tutta Sua, che non aveva alcuna vera causa di morte in se stesso? Perché aveva bisogno di una tomba sulla terra, il cui seggio era per sempre in cielo? Che cosa aveva a che fare con una tomba, che per lo spazio di tre giorni ha riposato nel Suo letto piuttosto che giaceva morta nella tomba? »

Anagogicamente: Cristo significava così che Lui e i Suoi erano estranei sulla terra e che il paradiso era il loro vero paese. S. Antonio, S. Efrem, S. Francesco e altri preferirono essere sepolti nella tomba di un altro, e non nella propria, secondo il modello di Cristo. Qui, quindi, si è adempiuta la profezia di Isaia (XI. 10), « E il Suo sepolcro sarà glorioso ». Da qui anche l’abitudine dei pellegrinaggi a Gerusalemme per tanti secoli. Da qui l’erezione da parte di S. Elena della Chiesa del Santo Sepolcro, con il suo splendore ineguagliabile, che racchiude sotto lo stesso tetto anche il luogo della crocifissione, della risurrezion. Da qui il desiderio di Goffredo di Buglione, e di altri re dopo di lui, di seppellire nello stesso luogo, e anche l’istituzione di un ordine cavalleresco.

Infine, quella tomba era in un giardino, perché Adamo aveva peccato in un giardino. Quindi anche Cristo ha iniziato la Sua Passione in un giardino e l’ha completata venendo seppellito in un giardino. E anche questo per espiare la sentenza pronunciata su Adamo; e, inoltre, che potesse formare e piantare un bellissimo giardino, fiorente con i fiori e i frutti di tutte le virtù, cioè la Sua Chiesa. Notate qui che il corpo di Cristo fu deposto nel sepolcro, come sulla Croce, con la testa e il viso rivolti in modo da guardare lontano da est e verso ovest. Così Beda e Adrichomius.

Osserva, Cristo, non appena spirò, discese con la sua anima nel Limbus Patrum e rallegrò i patriarchi manifestando loro Se Stesso e la Sua Divinità. Liberò anche le anime del Purgatorio e diede loro il primo giubileo generale. Egli manifestò anche loro la Sua Divinità e li rese benedetti (vedere 1 Piet. Iii. 19). Anche i diavoli, e gli empi all’inferno, condannò alla punizione perpetua, come il loro Signore, il loro giudice e il loro trionfante Vincitore. L’anima di Cristo vi rimase fino al terzo giorno, quando uscì con i Patriarchi e altri santi, riprese il suo corpo e risuscitò nella gloria. Quindi fece riprendere i loro corpi ai Patriarchi e risorgere insieme a Lui. L’ordine, il modo e il tempo in cui queste cose sono avvenute è menzionato all’inizio del cap. xxviii. Osservate, la Divinità di Cristo, la Persona Divina del Verbo, è sempre rimasta ipostaticamente unita sia al Suo corpo nella tomba che alla Sua anima nel Limbus.

E rotolò (aiutato dai suoi servi e da Nicodemo) una grande pietra alla porta del sepolcro. Che nessuno possa portare via il corpo; o, piuttosto, la Sapienza Divina così lo ordinò, affinché gli ebrei dopo la risurrezione non negassero il fatto, e sostenessero che gli Apostoli, che avevano rubato il corpo, avevano inventato coraggiosamente il racconto. E per la stessa ragione Dio ha voluto che il suo corpo fosse sepolto da coloro, come Giuseppe e Nicodemo, che erano degni di credito, e che fosse sigillato e sorvegliato dagli ebrei, affinché in questo modo la Sua Morte e la successiva Risurrezione potessero essere chiaramente noto a tutti. Ora il corpo del Signore, mentre era ancora nella tomba, diede davvero un’indicazione e un preludio (per così dire) della Sua risurrezione, rimanendo incorrotto per tre giorni; essendo in verità un corpo vergine e santo, plasmato dallo Spirito Santo, e come tale dimora per sempre.

+ In Nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen.

La fine di Giuda

+ In Nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen.

Poi Giuda, che Lo aveva tradito, quando vide che era stato condannato, si pentì e riportò le trenta monete d’argento ai sommi sacerdoti ed agli anziani, dicendo: ‘Ho peccato, perché hotradito sangue innocente’, ma quelli dissero: ‘Che ci riguarda? Veditela tu’. Ed egli, gettate le monete d’argento nel temiop, si allontanò e andò ad impiccarsi.

Giuda, quando vendette Cristo, non si aspettava che sarebbe stato ucciso, ma si sarebbe limitato ad essere preso, per dare a loro una certa soddisfazione, o in qualche modo sfuggire, come prima, dalle loro mani. Ma trovandoLo condannato a morte, ha sentito la gravità del suo peccato. E pentendosi, quando era troppo tardi, di ciò che aveva fatto, si condannò da solo e si impiccò. « Il diavolo è così astuto », dice S. Crisostomo, « che non permette a un uomo (a meno che non sia molto vigile) di vedere in anticipo la grandezza del suo peccato, per timore che debba pentirsi e rifuggire da esso. Ma non appena un peccato è completamente compiuto, gli permette di vederlo, e così lo travolge di dolore e lo spinge alla disperazione. Giuda rimase impassibile davanti ai numerosi avvertimenti di Cristo; ma quando l’atto fu compiuto, fu portato a un pentimento inutile ».

Che era stato condannato. Da Caifa, cioè, e da tutto il Consiglio, e che presto sarebbe stato condannato da Pilato per la loro autorità e per la loro urgente importunità.

Si pentiva non con un pentimento vero e genuino, poiché questo include la speranza del perdono, che Giuda non aveva; ma con un pentimento forzato, tortuoso e disperato, frutto di una coscienza malvagia e rimpianto, come i tormenti dei perduti.

Riportò i trenta pezzi o d’argento ai sommi sacerdoti: ossia per rescindere il suo patto. Come se avesse detto: « Restituisco i soldi; da parte vostra, restituite a Gesù la libertà ». Così S. Ambrogio (in Luc. XXII), « Nelle cause pecuniarie, quando il denaro viene restituito, la giustizia è soddisfatta ». E S. Ilario, « Giuda ha restituito i soldi che avrebbe potuto esporre la disonestà degli acquirenti ». E S. Ambrogio: « Benché il traditore non fosse stato assolto, tuttavia l’impudenza dei giudei fu smascherata; poiché, sebbene svergognati dalla confessione del traditore, insistettero malvagiamente sull’adempimento del patto ».

Ho peccato in quanto ho tradito il Sangue innocente: perché cosa c’è di più innocente dell’Agnello immacolato? cosa è più puro della purezza di Gesù Cristo?

Ma dissero, che cosa ci importa? Veditela tu: Esegui ciò che hai iniziato. Sopporta la punizione della colpa che possiedi. Non abbiamo colpa in noi stessi. Ma è colpevole di morte lui in quanto falso Cristo, e quindi insistiamo su questo. Ora, poiché si rifiutavano di riprendersi il denaro, Giuda lo gettò nel tempio e si impiccò, disperando della vita di Gesù e della sua stessa salvezza. Perché sicuramente non avrebbe agito in questo modo se i sommi sacerdoti avessero ritirato i soldi e liberato Gesù. Fino a un certo punto, quindi, il suo pentimento era giusto, ma quando lo spingeva alla disperazione era sbagliato. « Guarda come erano riluttanti », dice S. Crisostomo, « a vedere l’audacia della loro condotta, che ha notevolmente aggravato la loro colpa. Perché era una chiara prova che erano stati portati via da un’audace ingiustizia, e non avrebbero desistito dai loro malvagi disegni, nascondendosi scioccamente nel frattempo sotto un mantello di finta ignoranza ».

E gettate le monete d’argento nel tempio, se ne andò e si impiccò. Li portò prima alla casa di Caifa, o certamente a quella di Pilato, dove i capi dei sacerdoti stavano perseguendo il loro caso; e poi, rifiutandosi di prenderli, li gettarono nel tempio perché i sacerdoti li raccogliessero. Alcuni dei sommi sacerdoti erano probabilmente lì, ma comunque gettandoli nel tempio li dedicò, come prezzo del Santissimo Sangue, a usi sacri e pii, se i sacerdoti si rifiutavano di riprenderli.

Se ne andò e si è impiccò. Giuda poi aggiunse al suo peccato precedente l’ulteriore peccato di disperazione. Non era un peccato più odioso, ma uno più fatale per se stesso, come spingerlo nelle profondità dell’inferno. Avrebbe potuto, nel suo pentimento, chiedere (e sicuramente aver ottenuto) perdono a Cristo. Ma, come Caino, ha disperato il perdono; e si è impiccato lo stesso giorno, appena prima della morte di Cristo. Perché non sopportava il pesante rimorso di una coscienza accusatrice. Così S. Leo. Davide aveva profetizzato riguardo a lui: « Che un’improvvisa distruzione », ecc. (Sal. XXXV. 8). Così S. Leone, « O Giuda, tu eri il più malvagio e miserabile degli uomini, perché il pentimento non ti ha richiamato al Signore, ma la disperazione ti ha trascinato verso la tua rovina! » E ancora: « Perché diffidi della bontà di Colui che non ti ha respinto dalla comunione del Suo Corpo e Sangue, e non ti ha rifiutato il bacio della pace quando sei venuto a prenderlo? »

Alcuni dicono che Giuda si sia impiccato a un fico, l’albero proibito della tradizione ebraica e quello del malaugurio.

Ora era l’avarizia che spingeva Giuda a questo destino. « Ascolta questo », dice S. Crisostomo; « Ascoltatelo, dico, avidi. Riflettete nella vostra mente su ciò che ha sofferto. Poiché entrambi ha perso i suoi soldi, ha commesso un crimine e ha perso la sua anima. Tale era la dura tirannia della cupidigia. Non gli piaceva il suo denaro, né questa vita presente, né quella che deve venire. Li ha persi tutti in una volta, e avendo perso la buona volontà anche di coloro ai quali lo aveva tradito, finì per impiccarsi ».

Questa confessione di Giuda, quindi (non a parole, ma nei fatti), era una chiara prova dell’innocenza di Cristo, e sicuramente avrebbe dovuto impedire ai giudei di ucciderLo, se avessero avuto solo la minima quantità di vergogna. Ma la loro ostinata malizia non poteva essere frenata nemmeno da questo strano presagio.

Simbolicamente: Beda osserva (in Atti I.), « La sua punizione conveniva. La gola che aveva pronunciato la parola di tradimento fu strozzata dal cappio. Colui che aveva tradito il Signore degli uomini e degli angeli era sospeso a mezz’aria, aborrito dal Cielo e dalla terra, e le viscere che avevano concepito l’astuto tradimento si spezzarono e caddero ». S. Bernardo, anche, Dice: « Giuda, quel collega dei poteri dell’aria, scoppiò a pezzi nell’aria, come se né il Cielo avrebbe ricevuto né il la terra sopporta il traditore di Colui che era vero Dio e uomo, e che venne per operare la salvezza in mezzo alla terra ».

+ In Nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen.

Consiglio contro Gesù

+ In Nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen.

Venuto il mattino, tutti i sommi sacerdoti e gli anziani del popolo tennero consiglio contro Gesù per farLo morire.

« Vedi qui », dice S. Girolamo, « l’ansia dei Sacerdoti per il male », i loro piedi erano pronti a spargere sangue. Erano spinti dal loro odio amaro di Cristo e dall’istigazione di Satana. Era la mattina di venerdì, solo poche ore prima della Sua crocifissione, quando Caifa, che lo aveva già processato e condannato la sera prima, convocò così presto il grande Concilio del Sinedrio. Era per ottenere la Sua condanna da parte di tutto il Corpo, che avrebbe assicurato la successiva condanna da parte di Pilato.

S. Leone dice: « Questa mattina, o giudei, hanno distrutto il vostro tempio e altari, vi hanno portato via la Legge e i Profeti, vi hanno privato del vostro regno e sacerdozio, e hanno trasformato tutte le vostre feste in guai senza fine ».

Per metterLo a morte. Ovvero, come potevano farlo senza ostacoli o tumulti, e anche con quale tipo di morte, come, ad esempio, quella della Croce, la più ignominiosa di tutte. Alcuni membri del Consiglio erano probabilmente seguaci e amici di Cristo; e questi molto probabilmente si sono assentati, o non sono stati convocati, o mandati via altrove, per paura di difenderLo. Ma se qualcuno di loro era presente, o pronunciava una sentenza a Suo favore, o erano costretti dal clamore degli altri a tacere; come Nicodemo e Giuseppe di Arimataea. Notate che questo malvagio Consiglio ha sbagliato non solo di fatto, ma anche di fede. Perché ha pronunciato che Gesù non era il Cristo né il Figlio di Dio, ma che era colpevole di morte, poiché aveva affermato falsamente di essere entrambi: tutte le affermazioni sono errate ed eretiche.

E quando Lo ebbero legato, Lo portarono via e Lo consegnarono a Ponzio Pilato, il governatore. « Perché », come dice S. Girolamo, « era l’usanza ebraica di legare e consegnare al giudice coloro che avevano condannato a morte ». Ecco allora Sansone legato da Dalila, Cristo dalla sinagoga. Origene dice in verità: « Legarono Gesù che scioglie i legami; io vado avanti »; che scioglie le catene, e dice: « Rompiamo i loro legami a pezzi. Poiché Gesù era legato affinché potesse liberarci prendendo su di Sé i legami e la punizione dei nostri peccati ».

Hanno portato. Caifa, ovvero, e tutti gli altri membri del Consiglio, per schiacciare con il peso della loro autorità sia Gesù che Pilato allo stesso modo. Perché se Pilato si fosse rifiutato di ratificare la loro sentenza, avrebbero potuto accusarlo di mirare alla sovranità di Giuda, e di essere quindi un nemico di Cesare, e così costringerlo in questo modo, anche contro la sua volontà, a condannarlo a morte.

Consegnato a Ponzio Pilato. Perché? Alcuni pensano, da quanto si dice nel Talmud, che agli ebrei fosse proibito mettere a morte qualcuno. Ma il fatto era che i romani avevano tolto ai giudei il potere della vita e della morte. Anania fu deposto dal Sommo Sacerdozio per aver ucciso il Signore e altri, senza il consenso del governatore romano. La lapidazione di S. Stefano fu solo uno scoppio di furore popolare.

C’erano anche altri motivi:

  1. Per rimuovere da se stessi il discredito della Sua morte, come se fosse nata solo dall’invidia;
  2. Disonorarlo il più possibile, facendoLo condannare da Pilato alla morte ignominiosa della crocifissione, la punizione dei ribelli. Loro stessi Lo avevano condannato per blasfemia, che era stata punita con la lapidazione;
  3. DisonorarLo maggiormente facendoLo morire come profano, anche da uno che profanava egli stesso la santa festa della Pasqua.

Ma ai giudei fu inflitta una punizione di rappresaglia; poiché come hanno consegnato Cristo a Pilato, così sono stati consegnati a loro volta per essere distrutti da Tito e Vespasiano.

+ In Nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen.

Il Ringraziamento

+ In nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen.

Oggi concludiamo le nostre meditazioni sulle quattro finalità della santa Messa, che sono l’Adorazione, l’Espiazione, la Petizione, ed il Ringraziamento. Osorio dice: « Se qualcuno ti ha conferito un grande dono, sei tenuto a manifestare ampia riconoscenza per non sembrare ingrato al tuo benefattore. Ciò è particolarmente vero se abbiamo richiesto il dono. Se l’abbiamo chiesto e l’abbiamo ricevuto, è giusto che dovremo esserne grati ».

Ma cosa abbiamo effettivamente ricevuto da Dio? Quale vantaggio? Tutto ciò che abbiamo – la famiglia, gli amici, i beni, la salute, la conoscenza, la vita, l’essere e tutto ciò che siamo, ma soprattutto la vita soprannaturale attraverso il Battesimo, con la promessa della vita eterna. Ma non è pur vero che Dio si è dato a me morendo per me sulla croce, affinché Lo possedessi per sempre in Cielo? E non è vero che L’ho ricevuto personalmente, e Lo ricevo personalmente nel Santissimo Sacramento dell’Altare? Allora come non ringraziarLo per questo, per i beni finiti che mi dà, per avermi elevato alla vita soprannaturale ed eterna, e per il Bene infinito che è Lui stesso?

La più grande forma di ringraziamento è la santa Messa. La Messa è il ringraziamento per eccellenza: per questo è chiamata la santa Eucaristia, che significa ringraziamento. I testi della santa Messa offrono una espressione sublime di ringraziamento. Nel Gloria preghiamo: Noi Vi lodiamo, Vi benediciamo, Vi adoriamo, Vi glorifichiamo, Vi rendiamo grazie per la Vostra gloria immensa, Signore Dio, Re del cielo, Dio Padre Onnipotente.

Qui rendiamo grazie a Dio come al Signore di tutti, come al Padre divino, il Principio senza principio, non per i benefici che ci ha dato, ma per un fine ancora più nobile e sublime, per un fine che è del tutto trascendente, e questo per la Sua Stessa gloria. Gratias agimus tibi propter magnam gloriam tuam. Ci annientiamo, per così dire, davanti a Sua Maestà infinita; e, come una mera partecipazione lontana al Suo proprio Essere e alla Sua propria Gloria, Lo ringraziamo per Sé Stesso.

Al Prefazio preghiamo: « Rendiamo grazie al Signore nostro Dio: È veramente degno e giusto, conveniente e salutare, che noi, sempre e in ogni luogo, Vi rendiamo grazie… ». Qui ancora enumeriamo gli attributi del Dio assolutamente trascendente: il Signore Santo, il Padre, Iddio Onnipotente ed Eterno.

Tale è dunque l’espressione del nostro ringraziamento verso Dio. Ma basta esprimerGli il nostro ringraziamento? Basterebbe passare tutta la vita in ginocchio ringraziandoLo? Basterebbe offrire ogni nostra azione in ringraziamento a Dio per ogni benedizione che ci ha elargito nella vita e che ci promette per tutta l’eternità, culminando nel dono stesso di Sé? È davvero una pratica eccellente fare tutto ciò che facciamo con una santa intenzione come il ringraziamento, la riparazione o l’amore di Dio. Ma è sufficiente per rendere grazie per ciò che è Infinito?

Solo l’Infinito può confrontarsi con l’Infinito. Questo vale per tutte le finalità della Messa. Possiamo adorare Dio adeguatamente solo unendoci all’atto di adorazione che Egli compie nel santo Sacrificio sul monte Calvario perpetuato nella santa Messa. Possiamo adorarLo adeguatamente solo unendo la nostra offerta di noi stessi alla Sua offerta di Sé a Dio Padre in quell’atto di adorazione. Possiamo solo espiare i nostri peccati con i quali abbiamo infinitamente offeso il Dio Infinito unendoci all’infinito atto di espiazione compiuto da Dio stesso. Possiamo chiederGli adeguatamente benefici e soprattutto quelli della nostra eterna salvezza e quella degli altri unendoci all’infinito atto di supplica che Egli fa a Dio Padre nel Santo Sacrificio della Messa, con cui Dio dona Dio a noi, come solo Dio può. Lo stesso vale per il ringraziamento: « che cosa renderò al Signore per tutte le cose che mi ha reso? » (Sal 115,12); « offri a Dio un sacrificio di lode e rendi i tuoi voti all’Altissimo ». (Sal 49,14). Dice sant’Ireneo: « Perché questa santa Messa è stata istituita affinché non appariamo ingrati verso il nostro Dio ». Vale a dire, come spiega padre Martin von Cochem: « Se non fosse per il sacrificio della Messa, non avremmo nulla al mondo intiero con cui rendere adeguatamente grazie a Dio per i benefici che da Lui abbiamo ricevuto ».

La preghiera prima che il celebrante riceva la santa Comunione esprime il sentimento di ringraziamento che dovrebbe essere nostro per tutto ciò che abbiamo ricevuto, culminando nel dono che Dio ci fa di Sé Stesso. « Cosa posso offrirVi in cambio di tutto ciò che ho ricevuto? » In ringraziamento per aver ricevuto Dio, offriamo Dio a Dio: Dio viene offerto in ringraziamento a Dio.

Scrive Segneri: « Fu l’abbondanza del Suo amore che Lo indusse non solo a caricarci di benefici, ma a mettere alla nostra portata i mezzi migliori per ringraziarLo di quei benefici. Apprezziamo dunque i nostri privilegi e avvantaggiamocene! Quando ascoltiamo la Messa, Cristo, immolatoSi per noi a Dio Padre, diviene nostro, e con Lui otteniamo il possesso dei suoi infiniti meriti e siamo in grado di offrirli a Dio Padre per alleggerire il pesante carico che grava su di noi ».

Concludiamo con la preghiera dello stesso padre Martin von Cochem, sulla cui opera si basa questa serie di articoli: « Lode e grazie a Voi, o Signore Gesù Cristo, da me stesso e da tutte le cose create, che per il Vostro purissimo amore per noi avete istituito la santa Messa e ne avete fatto per noi un canale di innumerevoli misericordie e grazie. Come doveroso riconoscimento dei Vostri favori, offro a Voi e per Voi alla Santissima Trinità tutta la lode e il ringraziamento a Voi resi in tutte le sante Messe fino alla fine dei tempi. Prego ed imploro i cori degli Angeli e tutta la compagnia dei redenti di lodare e magnificare il Vostro Santissimo Nome insieme a noi per tutta l’eternità. Amen.

+ In nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen.

I misteri della Santa Messa (2)

+ In Nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen.

Ora la sublime gloria della Santa Messa è oggetto di tale odio da parte di Satana, che ispirò i due apostati Lutero e Calvino a denunciarla, privando così i loro seguaci e tutti i membri delle sette protestanti successive dei suoi effetti salutari. L’infelice Martin Lutero racconta nei suoi scritti come gli apparve il diavolo e affermò che la Messa era un atto di idolatria, senza riflettere che se fosse stata veramente idolatria, il diavolo non avrebbe mai voluto che fosse abolita, ma avrebbe preferito che si perpetuasse e si celebrasse sempre più frequentemente fino alla fine dei tempi; che se fosse stato veramente idolatra, tutti gli Apostoli e tutti i martiri, tutti i santi e Confessori che avessero mai offerto o ascoltato la Santa Messa con la massima pietà e devozione, sarebbero stati condannati all’Inferno per aver così gravemente offeso la Divina Maestà.

L’odio del diavolo per il Santo e perpetuo Sacrificio è sfociato di nuovo oggi in un ritorno alle eresie protestanti in seno alla Santa Chiesa stessa, così che la maggioranza dei cattolici (almeno in Europa) non sanno più a cosa partecipano la domenica, o in quelle occasioni in cui si degnano di presenziare alla Santa Messa.

Noi, tuttavia, che conosciamo il privilegio a cui prendiamo parte parte (come celebranti, come assistenti o come comunicanti) dobbiamo meditare nuovamente sui suoi misteri, attraverso una comprensione sempre più profonda della sua natura sacrificale, e così assistere e viverla per renderci meno indegni dell’amore di Nostro Signore, che l’ha stabilito per la salvezza delle nostre anime. Amen.

+ In Nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen.

I misteri della Santa Messa (1)

+ In Nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen.

Nel varcare la soglia della Chiesa, mi rendo conto di ciò che sta per accadere alla mia presenza alla Santa Messa? – misteri che superano del tutto i poteri di comprensione dell’intelletto creato.

Il primo mistero lo possiamo descrivere così: che il Dio Infinito, esistente al di fuori del tempo e dello spazio, diviene presente nel tempo e nello spazio davanti a noi. La seconda è che lo fa in unione con una natura umana. Il terzo è che nella Sua Divinità e nella Sua Umanità Egli compie un atto di parola. La quarta è che lo fa parlando attraverso una persona umana, il celebrante. Il quinto è che una Persona Divina e infinitamente perfetta agisce così per mezzo di una persona umana e peccatrice. Il sesto è che tramite le parole che pronuncia assume l’aspetto di pane e vino. Il settimo è che le sostanze del pane e del vino divengono proprio Lui. L’ottava è che l’aspetto del pane e del vino rimane, sebbene senza pane e vino sottostanti, ma tutto sospeso nell’aria. Il nono è che per la separazione dell’apparenza del pane e dell’apparenza del vino, il Suo Sacratissimo Corpo e il Suo Preziosissimo Sangue si separano. Il decimo è che questa separazione rende presente la Sua morte (avvenuta a Gerusalemme per la separazione del Sacratissimo Corpo e del Preziosissimo Sangue). L’undicesimo è che questa morte è la stessa morte numerica, identica al sacrificio che Egli ha offerto sul Monte Calvario. Il dodicesimo è che in tal modo il sacrificio passato e presente in due tempi distinti vengono resi uno. La tredicesima è che, rendendo presente il Santo Sacrificio del Monte Calvario, Egli applica più profondamente e più ampiamente per tutta l’umanità le Grazie acquistate con la Sua morte.

Quanti altri misteri si svolgono durante la Santa Messa? Che dire del frammento dell’Ostia Consacrata messo nel Preziosissimo Sangue dopo la Consacrazione? Che dire del segno di croce che il celebrante si fa con la patena? Quanti sacri misteri, quanti segreti nascosti anche ai cori angelici, conosciuti solo dall’Eterno Cuore di Dio! Quale gloria ineffabile, quale abbondanza di munificenza divina, quali grazie superne riversate sul mondo e su tutti i presenti tramite il compimento di tali misteri sublimi e insondabili!

Afferma san Bonaventura: « La Santa Messa è piena di misteri come l’oceano è pieno di gocce, come il cielo è pieno di stelle, come le corti del Cielo sono pieni di angeli ». Nostro Signore rivelò a santa Mechtilde: « Io solo conosco e comprendo perfettamente che cos’è questa offerta che quotidianamente Io faccio di Me Stesso per la salvezza dei fedeli: essa supera la comprensione dei cherubini e dei serafini e di tutte le schiere del cielo ».

Accontentiamoci di quest’unica infallibile Verità del dogma cattolico: la Messa è il Santo Sacrificio del Monte Calvario. Come tale racchiude in sé tutti i misteri della salvezza, oltre a tutti i misteri che servono a renderlo presente sull’altare.

+ In Nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen.

Il modo di adorare Dio nella Santa Messa

+ In Nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen.

Ora, il modo in cui il celebrante e i fedeli presenti offrono questo atto a Dio (i primi sacramentalmente ed i secondi spiritualmente) comporta un’unione particolarmente intima con l’offerta che il Nostro Beatissimo Signore Gesù Cristo fa a Dio Padre. Poiché Egli dà al celebrante ed ai fedeli questo atto o tributo di gloria e di adorazione come proprio, affinché possano così ripagare di persona il debito che hanno con la Divinità Infinita. Per questo, come conclude un pio commentatore, la loro oblazione è quella di un Dio, e la lode e l’onore ne sono infiniti.

Nella Santa Messa il celebrante prega in nome della Chiesa: Vi offriamo, o Dio, un sacrificio di lode; recita il Gloria: Gloria in excelsis Deo: noi Vi lodiamo, Vi benediciamo, Vi adoriamo, Vi glorifichiamo; nella Prefazione prega: Sanctus, Sanctus, Sanctus: Santo, Santo, Santo, Signore Dio degli eserciti… Osanna in excelsis… Osanna in excelsis; nel Prefazio il sacerdote parla anche degli spiriti celesti che lodano la Maestà di Dio e concelebrano con Lui.

Molti infatti sono i testimoni dell’adorazione offerta alla Divina Vittima al momento della Divina Immolazione. Scrive santa Brigida: « Tutti gli angeli, dei quali erano tanti quanti sono i granelli in un raggio di sole, Lo adoravano. Erano presenti anche un gran numero di anime sante che si unirono nel lodare Dio e adorare l’Agnello ».

Sappi dunque, o devoto cristiano, che stai in mezzo agli angeli quando ascolti la santa Messa, quando offri a Dio Padre l’Immacolata Vittima alla Sua Infinita Gloria, per pagare a Lui il debito del tuo onore in modo conveniente alla Sua Divina Maestà. Facciamolo, dunque, con i necessari sentimenti di devozione e di pietà, per supplire alla gloria che in passato non gli abbiamo reso nella povertà della nostra Fede e Carità; per riparare alle bestemmie che gli vengono offerte « di continuo e tutto il giorno » nelle parole del profeta Isaia (52); in una parola fare, per intercessione della Beata Vergine Maria, tutto ciò che è in noi, per onorare, lodare, ed adorare l’Eterna Maestà di Dio, mediante l’offerta della Divina ed Immacolata Vittima. Amen.

+ In Nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen.

L’Adorazione di Dio nella Santa Messa

+ In Nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen.

Ora la Santa Messa ha 4 finalità: lode, petizione, ringraziamento ed espiazione. Queste quattro finalità corrispondono ai quattro tipi di preghiera vocale che esistono, e costituiscono la preghiera dell’uomo perfetto, l’Uomo-Dio a Dio. Nella Santa Messa i fedeli uniscono le loro preghiere, le loro preghiere imperfette, a questa Sua perfetta preghiera, perché siano presentate, e degnamente presentate, davanti al Volto dell’eterna Maestà di Dio.

Oggi esamineremo la finalità della lode, altrimenti nota come « adorazione ». Ora l’adorazione è l’onore supremo dovuto all’infinita eccellenza e dignità di Dio. Nostro Signore Benedetto rivelò a santa Mechtilde : « Se vuoi onorarMi, lodaMi e magnificaMi in unione con quella gloria più eccelsa con cui il Padre nella Sua onnipotenza e lo Spirito Santo nella Sua benignità Mi glorificano da tutta l’ eternità, in unione con quella suprema gloria, con la quale nella Mia insondabile sapienza glorifico il Padre e lo Spirito Santo da tutta l’eternità, e con la quale lo Spirito Santo nella sua ineffabile bontà magnifica il Padre e Me Stesso da tutta l’eternità ».

Come glorifichiamo allora Dio? La gloria di Dio è l’unico scopo dell’intera creazione. Tutto nel creato glorifica Dio nella misura in cui può riflettere o imitare qualcosa delle infinite perfezioni di Dio. L’uomo in particolare è capace di riflettere o imitare Dio in questo mondo mediante la sua conoscenza soprannaturale e il suo amore per Dio: mediante la sua Fede e Carità. Poiché mediante la sua conoscenza e amor di Dio può imitare la conoscenza e l’amor di Dio per se stesso.

Ma come può glorificare adeguatamente Dio, come adorare adeguatamente Dio che è infinito e divino, al Quale è dovuta la gloria infinita e divina? Egli può glorificare e adorare adeguatamente Dio solo in unione a quell’atto di Gloria e di Adorazione Infinita e Divina fatta a Lui da Dio Figlio nel Santo Sacrificio della Messa. Questo atto di sacrificio, che come tale è l’atto principale dell’adorazione, è stato stabilito dal nostro Signore Benedetto proprio allo scopo che l’uomo potesse glorificarLo e adorarLo come gli è dovuto.

+ In Nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen.

Il modo in cui avviene l’espiazione nella Santa Messa

+ In Nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen.

Ma l’assistenza alla santa Messa come espia i nostri peccati? Non lo fa direttamente: solo i sacramenti del battesimo, della confessione, e dell’estrema unzione effettuano il perdono direttamente. Lo fa indirettamente, cioè suscitandone nei nostri cuori una sincera contrizione. Questo è uno dei poteri più sublimi della Santa Messa che non occorre mai dimenticare. Come si può convertire un peccatore indurito? Prova a discutere con lui; prova a toccargli la coscienza indurita come l’incudine dai colpi del martello di innumerevoli peccati; prova a parlargli: si addormenterà; prova ad allarmarlo con il pensiero dell’Inferno: riderà.

San Vincenzo Ferreri scrive che è un miracolo più grande che un peccatore moribondo si converta, che risuscitare un morto alla vita. Ma se almeno possiede la Fede, portiamolo alla Santa Messa affinchè si versi sul suo capo il Sangue dell’Agnello Innocente. Avviciniamolo a Gesù, che confidò a santa Gertrude la Grande: « Credi… e non dubitare mai che ogni giorno desidero con lo stesso amore e con la stessa forza di essere immolato sull’altare per ogni peccatore come ho sacrificato Me Stesso in croce per la salvezza del mondo. Perciò non c’è nessuno, per quanto grave sia il peso del peccato, che non possa sperare nel perdono, se offre al Padre la Mia Vita e la Mia Morte Immacolata, purché creda che così possa ottenere il frutto benedetto del perdono ».

Nostro Signore Benedetto chiede con queste parole al peccatore l’offerta del cuore, ma quanto sarà più efficace l’offerta, se costituisce l’offerta del Signore di Sé Stesso, a cui partecipa il peccatore nella Santa Messa?

In termini simili s’indirizza Nostro Signore a santa Mechtilde: « Tanta è la mia longanimità quando vengo all’ora della Messa, che non vi è presente un peccatore per quanto grande, con il quale non sopporto pazientemente, ed al quale, purché lo desideri, non concedo volentieri il perdono dei peccati ».

Uniamoci dunque alla finalità espiatoria della Messa ogni volta che ci assistiamo, chiedendo la contrizione e il perdono dei nostri peccati: in tutta la Messa, ma in particolar modo nel momento della consacrazione; durante il Confiteor e il triplice battito del petto; quando il celebrante prega che Dio Onnipotente che abbia pietà di voi, vi perdoni i vostri peccati e vi conduca alla vita eterna… che il Signore Onnipotente e Misericordioso ci conceda il perdono, l’assoluzione, la remissione dei peccati; quando prega il Kyrie eleison; quando prega la colletta, la preghiera segreta, ed altre preghiere che implorano il perdono; quando alza l’Ostia Immacolata e il Calice di Salvezza, quando prega tre volte: « Agnello di Dio, che togli i peccati del mondo, abbi pietà di noi… donaci la pace. »

« … Affinché possiamo caricare i nostri peccati sull’Agnello Immacolato, come vittima immolandosi sull’altare, presentato lì dalla Sua Madre Immacolata: affinché Egli possa espiarne tutti nella Sua infinita bontà. In questo modo imitiamo il celebrante all’inizio della santa Messa, mentre si inchina davanti all’altare nel Confiteor in spirito di umiltà e di abbassamento completo: presentandosi come carico dei peccati dell’umanità davanti al Padre Eterno, scrive Marchantius, rappresentando così Cristo sul Monte degli Ulivi quando si prostrò sotto il peso dei peccati del mondo intiero che Gli erano stati posti addosso, e quando, cadendo sul volto, il Suo sudore divenuto come gocce di sangue, pregò il Padre celeste nell’Opera divina della salvezza del mondo. Amen.

+ In Nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen.

L’ Espiazione in genere

+ In Nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen.

Stiamo esaminando le quattro finalità della Santa Messa: lode, espiazione, petizione, e ringraziamento. Presentata la prima, quella della lode, procediamo a presentare la seconda, quella dell’espiazione.

Il Concilio di Trento afferma che Nostro Signore ha istituito la Messa: « …affinché lasciasse alla Chiesa un sacrificio visibile, per cui si renda presente quel sacrificio cruento e se ne applichi la virtù salutare ai peccati quotidiani che commettiamo ». In un altro passo si afferma: « Questo sacrificio è veramente propiziatorio. E se uno si avvicina a Dio contrito e pentito, sarà placato dalla sua offerta e, concedendo la grazia e il dono della penitenza, perdonerà anche i crimini ed i peccati efferati ».

Tale è l’insegnamento costante della Chiesa. Viene espresso dall’apostolo san Giacomo nella sua liturgia: « Vi offriamo questo sacrificio incruento, o Signore, per i nostri peccati e per l’ignoranza del popolo ». Egualmente viene espresso da sant’Atanasio nelle parole: « L’offerta del sacrificio incruento è l’ espiazione dei nostri delitti ». Papa Alessandro I dichiara: « Con l’offerta di questa vittima, il Signore si placa, e perdona tutti, anche i peccati più gravi », e papa san Giulio: « Tutti i peccati e le iniquità sono cancellati dall’offerta di questa oblazione ».

Le parole di san Giacomo ci ricordano che i nostri peccati possono essere di due tipi diversi: i peccati di cui possiamo essere consapevoli e i peccati che ignoriamo di aver commesso. Il re Davide esprime questa verità nel Salmo 24 con la preghiera: « I peccati della mia giovinezza e della mia ignoranza non ricordate » e ancora nel Salmo 18: « Chi può comprendere i peccati? Dai miei segreti purificatemi, o Signore, e da quelli degli altri risparmiate il Vostro servo ».

Il commentatore Marchantio afferma: « Il Santo Sacrificio della Messa offerto a Dio Onnipotente serve ad espiare i peccati mortali, ma preminentemente i peccati segreti, quelli cioè che, dopo un attento esame di coscienza, non possiamo ricordare alla mente. » Dice san Gregorio: « La principale causa di timore per il giusto sta nei peccati di cui non è cosciente, come dice san Paolo: perché, anche se non sono consapevole di colpa alcuna, non per questo sono giustificato. Il mio Giudice è il Signore ». (1 Cor. 4) San Gregorio aggiunge: « Il Signore ha occhi più acuti di me ».

Carissimi fedeli, noi che cerchiamo di condurre una vita buona, che esaminiamo la coscienza ogni giorno, che talvolta possiamo pensare che le cose ci vadano bene moralmente o spiritualmente, soprattutto se siamo lodati, non lasciamoci cullare da un falso senso di sicurezza. Penso che sappiamo tutti quanto grande possa essere la sorpresa lo scoprire (forse perché qualcuno ce lo fa notare) che ci siamo comportati in un modo non cristiano in un campo o nell’altro, e che non abbiamo mai pensato di esaminare.

In vista del fatto dei peccati sconosciuti o dimenticati, è salutare includere tutti questi peccati, almeno implicitamente, nella confessione, ma anche assistere alla Santa Messa con l’intenzione di espiarli – non solo i peccati di cui siamo consapevoli, principalmente mortali, ma anche questi.

+ In Nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen.

Le Cerimonie Del Rito Romano

+ In Nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen.

Continuando le nostre riflessioni sulla santa Messa, ci riferiamo oggi ad un brano tratto dal libro « La santa Messa » pubblicato all’inizio del settecento da padre Martin von Cochem, Francescano.

L’eccellenza della santa Messa si riconosce dalle cerimonie prescritte per celebrarla. Ne citiamo solo le più importanti: il sacerdote fa sopra di sé sedici segni di croce, si rivolge sei volte verso il popolo, bacia l’altare otto volte, undici volte alza gli occhi al cielo, si batte il petto dieci volte, fa dieci genuflessioni, giunge le mani cinquantaquattro volte, abbassa la testa ventun volte e sette volte le spalle, si prostra otto volte, benedice l’offerta trentun volte col segno della croce, posa ventidue volte le mani sull’altare, prega stendendole quattordici volte e congiungendole trentasei volte, mette la mano sinistra stesa sull’altare nove volte e la porta undici volte sul petto, alza le due mani verso il cielo quattordici volte, undici volte prega a voce bassa e tredici ad alta voce.

Il sacerdote deve osservare ancora una quantità di altre prescrizioni, che portano a cinquecento il numero delle cerimonie. Aggiungete a questa cifra quelle delle rubriche e vedrete che il sacerdote che dice la Messa secondo il rito della Chiesa cattolica romana è obbligato a novecento cerimonie differenti.

Ciascuna di queste ha la sua ragione d’essere, il suo significato spirituale, la sua importanza, ed ognuno fa compiere con la fede richiesta l’ineffabile Sacrificio dell’altare. Perciò papa san Pio V ha ordinato a tutti i cardinali, arcivescovi, vescovi, prelati, e sacerdoti di dire la Messa senza cambiare nulla, senza aggiungere o togliere la minima cerimonia. La più piccola negligenza e’ grave, sia perché ha per oggetto l’atto più grande e più santo del nostro culto, sia perché costituisce una disobbedienza formale all’ordine del papa.

Non si può immaginare d’altronde né un movimento di mano più degno, né una disposizione del corpo più edificante di quelli prescritti dalla Chiesa. Si assiste con più raccoglimento di spirito ad una s. Messa nella quale sono osservate tutte le cerimonie che a quella in cui esse sono violate, e perciò il sacerdote che celebra con esattezza coscienziosa ha diritto alla vostra gratitudine perché, lungi dal distrarvi nella vostra devozione, la facilita. Egli fa sì che le vostre preghiere siano più efficaci e contribuisce in larga parte al loro merito.

+ In Nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen.

La Potenza della santa Messa

+ In Nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen.

Per presentare la potenza della santa Messa, citiamo la storia seguente dal libro « La santa Messa » da padre Martin von Cochem.

Nella sua Storia della Spagna Mariana si parla di un guerriero spagnolo di nome Pascal Vives che aveva una grande devozione per la santa Messa e assisteva quotidianamente a una o più messe. Accadde, mentre serviva sotto lo stendardo del conte di Castiglia, che un gran corpo di Mori, che in quel tempo aveva conquistata la maggior parte della Spagna, pose l’assedio al castello del conte. La guarnigione, essendo totalmente impreparata a resistere a un assedio, fu ridotta in una grande angoscia, e il conte decise di fare una sortita con tutti gli uomini, e di rischiare la vita nel tentativo di respingere i Mori.

La mattina dell’indomani ascoltò la messa con tutti i soldati e, affidandosi all’aiuto divino, partì contro i nemici. Ma Pascal Vives rimase in chiesa e udì otto s. Messe, una dopo l’altra, pregando con fervore che la vittoria fosse dalla parte del conte. Mentre così pregava e i suoi compagni combattevano, ecco! Pascal Vives montato sul suo destriero fece un valoroso assalto ai Mori, abbattendoli da ogni parte. Chiamando i soldati a seguirlo senza paura, ruppe le file del nemico, ne portò via le bandiere e provocò un grande scompiglio tra di loro. La battaglia durò quasi quattro ore, cessando solo nel momento in cui terminò l’ottava Messa, alla quale aveva assistito Pascal. I Mori furono completamente sconfitti. La vittoria fu universalmente attribuita all’eroico coraggio di Pascal, e il conte ordinò che ne avesse tutto l’onore.

Ma quando tutto fu finito, Pascal era scomparso. Fu cercato in tutto il campo di battaglia, ma non fu trovato da nessuna parte. Il fatto era che era rimasto in chiesa, e lì rimase quasi tutto il giorno, perché si vergognava di lasciarla, temendo che i soldati lo prendessero in giro per un vigliacco, e il conte lo congedasse dal suo servizio. Non gli era giunta alcuna notizia della battaglia, e non sapeva quale parte avevesse preso il sopravvento.

Subito il conte, ritenendo molto probabile che Pascal fosse andato in chiesa per rendere grazie a Dio Onnipotente per la vittoria, ordinò ai seguaci di andarvi a cercarlo. Pascal fu quindi trovato e condotto alla presenza del conte e dei suoi ufficiali. Quando tutti cominciarono a complimentarsi con lui per la sua abilità e a comunicargli che la vittoria che avevano ottenuto era, sotto Dio, da attribuire a lui, era perfettamente stupito e non sapeva cosa dire. Dopo un breve spazio, illuminato interiormente da Dio, confessò la verità, dichiarando di non aver preso parte alla gara, ma di essere stato per tutto il tempo in chiesa, dove aveva ascoltato otto s. Messe.

I soldati non credevano a quello che diceva, insistendo di averlo visto con i propri occhi nel bel mezzo della mischia e di averlo sentito invitarli a combattere valorosamente. Allora Pascal rispose: « Se è proprio come dite voi, il valoroso cavaliere che portava le mie sembianze doveva esser stato il mio angelo custode, perché vi assicuro che oggi non sono uscito dalla chiesa. Lodate Dio con me e rendetegli grazie di cuore per avervi inviato un angelo, per mezzo del quale avete potuto vincere il nemico, ma imparate da questo quanto è gradito a Dio che assistiamo alla Messa e quanto è vantaggioso per noi, perché io sono convinto che se non avessi ascoltato quelle Messe il mio angelo non sarebbe apparso e non vi avrebbe condotto alla vittoria ».

Con queste ed altre parole esortava i soldati ad essere molto ferventi nell’ascoltare la Messa. C’è da sperare che questo avvenimento avrà lo stesso effetto su coloro che lo leggeranno e li renda per il futuro più assidui nella loro partecipazione alla Messa. Soprattutto i grandi peccatori che hanno fatto poca penitenza dovrebbero fare questo. Sappiamo che la giustizia divina è così severa che nessun peccato resterà impunito; deve essere espiato in questo mondo o nell’altro. È molto meglio per te, o peccatore, espiare i tuoi peccati di tua iniziativa in questo mondo che lasciare che sia il giusto giudice a castigarti per loro nel prossimo. E se non puoi fare penitenze difficili, scegli quella facile di ascoltare la Messa, per cui potrai saldare tutti i tuoi debiti.

+ In Nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen.

Il ministro dell’Antico e del Nuovo Testamento

+ In Nomine Patris et Filli et Spiritus Sancti. Amen.

Nelle nostre meditazioni sulla Santa Messa, abbiamo iniziato confrontando il Tempio con la chiesa. Le continuiamo oggi confrontando il ministro sacerdotale dell’Antico Testamento con quello del Nuovo.

Per comprendere la dignità del sacerdozio, ci si rivolge, quindi, prima all’Antico Testamento, riferendosi al brano dell’Ecclesiastico 50 sul sommo sacerdote Simeone: « Egli rifulse nei suoi giorni come la stella mattutina in mezzo a una nuvola, e come la luna piena. E come il sole quando splende, così risplendeva nel tempio di Dio. Come l’arcobaleno che illumina le nuvole luminose, e come le rose nei giorni di primavera, come i gigli che stanno sull’orlo dell’acqua, come l’incenso profumato nel tempo dell’estate. Come un fuoco fulgido, come l’incenso che arde nel fuoco, come un vaso massiccio d’oro adorno di ogni pietra preziosa, come un ulivo che germoglia e un cipresso che si erge in alto, quando indossava il manto della gloria e si vestiva con la perfezione della potenza, quando salì al santo altare, onorò il vestibolo della santità. E quando tolse le porzioni dalle mani dei sacerdoti, stette lui stesso presso l’altare… e intorno a lui c’era l’anello dei suoi fratelli… e come il cedro del Libano, come rami di palme… nella loro gloria. E le oblazioni del Signore erano nelle loro mani davanti a tutta la comunità d’Israele, e terminato il suo servizio sull’altare per onorare l’offerta del Re Altissimo, stese la mano per fare una libagione e offrì il sangue dell’uva. Effuse ai piedi dell’altare un odore divino all’altissimo Principe… poi tutto il popolo… si prostrò con la faccia a terra per adorare il Signore Dio Vostro e per pregare l’Onnipotente Dio Altissimo, ed i cantori alzarono le voci e nella grande casa il suono della soave melodia aumentò, ed il popolo in preghiera supplicò il Signore Altissimo, fin quando il culto del Signore non fosse compiuto ed avessero terminato il loro ufficio. Poi, sceso, alzò le mani sull’assemblea dei figli d’Israele per dare gloria a Dio con le labbra e per glorificare il Suo Nome… ».

Come la dedicazione del Tempio, così anche il sacerdozio e l’ufficio sacerdotale dell’Antica Dispensazione non sono che una pallida immagine e prefigurazione di quelli della Nuova. Perché qui il sangue versato non è quello dell’uva, ma il Sangue Preziosissimo e Adorabile del nostro Signore e Salvatore Gesù Cristo, in quanto le preghiere della nuova Dispensazione hanno effettuato la trasformazione del sangue dell’uva nel Sangue stesso di Dio.

Se la stella del mattino, la luna, l’arcobaleno, le rose, i gigli, la primavera, l’estate, l’oro e tutte le pietre preziose, gli ulivi, i cipressi, il cedro del Libano e le palme sono immagini delle glorie dell’ufficio sacerdotale del Tempio, quanto più sono immagini delle glorie dell’ufficio sacerdotale delle nostre chiese, quale esercitato nel Santo Sacrificio della Messa: glorie incomparabili, innumerevoli, ineffabili, e che trascendono intieramente la comprensione di ogni intelligenza creata.

+ In Nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen.

La Casa e il Ministro della Santa Messa

+ In Nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen.

Nel considerare i Santi Misteri della Messa, è opportuno iniziare meditando sulla dignità della casa in cui vengono eseguiti ed il ministro dal quale vengono eseguiti. Poiché il Nuovo Testamento è nascosto nell’Antico, e l’Antico è rivelato nel Nuovo, guarderemo prima il Tempio e il Sacerdozio dell’Antico Testamento per farci un’idea della Chiesa e del sacerdozio del Nuovo.

Il Tempio dell’Antico Testamento e la Chiesa del Nuovo

Nel terzo libro dei Re leggiamo come il re Salomone, in occasione della Dedicazione del Tempio, offrì 22.000 buoi e 12.000 montoni. Furono macellati, purificati, smembrati e posti sull’altare. Mentre il re pregava, il fuoco cadde dal cielo e li consumò. Il Tempio fu riempito da una nuvola, nella quale apparve la gloria del Signore. Il popolo cadde per terra e adorò il Signore. Il re alzò le mani al Cielo e gridò: « Si deve dunque pensare che Dio dimora davvero sulla terra? Perché se il Cielo e il Cielo dei Cieli non possono contenerVi, tanto meno questa casa che ho costruito ».

Se tale è la gloria del Tempio di Gerusalemme, che dire della gloria delle nostre chiese? Il Tempio è consacrato dal sacrificio di animali e dall’offerta di pane e vino; nell’Arca dell’Alleanza c’era il pane. Le nostre chiese invece sono consacrate dall’olio santo e dal crisma, dall’acqua santa e dall’incenso; sono santificati da ripetuti Segni di Croce e infine dal Santissimo Sacrificio della Messa; innumerevoli sono le preghiere nell’Antica cerimonia per la Dedicazione di una chiesa.

Nel Tempio viene offerto il sacrificio di animali, qui l’Unigenito Figlio di Dio; nel Tempio si offrono pane e vino e si riserva il pane, qui si offre l’Unigenito Figlio di Dio sotto le sembianze di pane e vino, e sotto le sembianze di pane si conserva nel tabernacolo; là nel Tempio Dio dimora in senso spirituale, qui dimora sacramentalmente e Realmente nel Corpo, nel Sangue, nell’ Anima e nella Divinità: « Quam terribilis est locus iste (Genesi, 28): Quanto è terribile questo luogo, questo non è altro che la Casa di Dio e la Porta del Paradiso. » Così è detto del Tempio, e ancora con le parole di Davide: « Adorerò nel Vostro santo tempio, a Voi salmeggerò davanti agli angel i» (Salmo 137).

Ma quanto più terribile e maestosa è la chiesa, che diviene successivamente Nazaret, Betlemme, il Calvario, e il luogo dove Dio stesso dimora in tutta la Sua pienezza di Signore Risorto, la chiesa alla quale discende dal cielo per morire, accompagnato da migliaia di puri spiriti celesti, che si prostrano in adorazione davanti a Lui, offrendoGli anche il tributo delle nostre povere preghiere e intercedendo per noi nella più abietta oblazione di sé stessi. Con quale riverenza non dovremmo dunque entrare in chiesa, con quale cura evitare ogni stoltezza, ogni discorso superfluo e frivolo, gli sguardi curiosi e i pensieri irriverenti e vuoti?

+ In Nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen.

L’uomo davanti a Dio (2)

+ In nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen.

Nella prima parte di questa meditazione ci siamo chiesti chi siamo dal punto di vista della nostra sostanza che è il nulla; dal punto di vista della qualità sono misero quanto al corpo e nobile quanto all’anima secondo la quale devo dunque vivere; rispetto alla relazione sono figlio di Adamo e dunque peccatore; rispetto all’occupazione sono obbligato a vivere santamente secondo il mio status di vita.

In quinto luogo, mi pongo la domanda per quanto riguarda la sofferenza. Chi sei tu? vale a dire, che cosa soffri? Rispondi: nel corpo soffro la fame, la sete, la malattia, le continue afflizioni, sicché non ho neanche il più piccolo intervallo di tempo in cui non ho molte cose da sopportare. Quanto all’anima mia, ho afflizioni, dolori e ansie, angosce, collere, sdegno, tenebre, paure, ecc. Sembro essere per così dire il bersaglio a cui le afflizioni scagliano i loro dardi e mi trafiggono con le loro frecce. Sii dunque irremovibile nella pazienza, affinché tu possa sopportare pazientemente e generosamente ogni cosa e ottenere la corona eterna della pazienza in Cielo.

Sesto, per quanto riguarda il luogo. Chi, ovvero dove sei? Rispondi, io sono sulla terra, posto tra il paradiso e l’inferno, in modo tale che se vivo santamente, posso passare in Paradiso, se malvagiamente, all’Inferno. Vivi dunque attentamente, prudentemente e santamente, affinché non l’Inferno, ma il Paradiso ti accolga, quando questa breve vita mortale sarà finita.

Settimo, per quanto riguarda il tempo. Chi sei tu? Quando sei nato? Quanto tempo hai vissuto? Quando morirai? Risposta: nato ieri, oggi vivo, domani morirò. « Poiché siamo di ieri e non sappiamo nulla; tutti i nostri giorni sulla terra non sono che un’ombra » (Giobbe 8,9). Perciò disprezza tutte le cose temporali, che volano via come un uccello. Amate e bramate le cose celesti, che durano in eterno con Dio e gli angeli. Così tu, essendo eterno, sarai eternamente felice e dimorerai nelle delizie eterne. Perché come dice S. Gregorio: « Per essere eterni e felici eternamente, imitiamo l’eternità. E questa è per noi una grande eternità, anche l’imitazione dell’eternità ».

Infine, per quanto riguarda la postura e l’abbigliamento. Chi sei tu? ovvero, che postura o vestiti hai? Rispondi, sto in piedi, mi siedo, mi sdraio; indosso l’abito del cristiano, del sacerdote, del vescovo, del religioso. Bada dunque a vivere secondo la tua abitudine. Perché non è l’abito che fa il cristiano, o il monaco, ma la purezza di vita, l’umiltà, la carità.

Che Dio ci aiuti ad amarLo e che Dio abbia misericordia di tutti noi!

+ In nomine Patris et Filii e Spiritus Sancti. Amen.

L’uomo davanti a Dio (1)

+ In nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen.

In queste mese di ottobre nel quale celebriamo la festa di san Francesco che ha chiesto a Dio « Chi sei Tu e chi sono io?” meditiamo sulle riflessioni di Cornelio a Lapide sulla domanda a san Giovanni Battista « Chi sei tu? » nel commentario sul vangelo di san Giovanni: « Questa è la testimonianza di Giovanni, quando i Giudei gli inviarono da Gerusalemme sacerdoti e leviti a interrogarlo: Tu, chi sei? ».

Chi sei tu? Sembra che almeno tacitamente i capi dei sacerdoti abbiano chiesto a san Giovanni se fosse il Cristo o no; perché Giovanni risponde: ‘Io non sono il Cristo’. Inoltre, sapevano che Giovanni era figlio del sacerdote Zaccaria, e quindi sacerdote Egli stesso. Quando dunque dicono « chi sei tu? » chiedono virtualmente: quale ufficio hai ricevuto da Dio? Con quale scopo Dio ti ha mandato a predicare e battezzare? Perché Dio era solito affidare i maggiori uffici ai sacerdoti.

Moralmente, ognuno si chieda spesso: chi sono?

In primo luogo, per quanto riguarda la nostra sostanza. Ascolta la tua coscienza che risponde a te stesso: il nome di Dio mio Creatore è, IO SONO QUELLO CHE IO SONO (Esodo, 3). Il mio nome dunque come creatura è « Io sono quello che non sono », perché non sono nulla di me stesso, ma dal mio nulla sono stato generato da Dio e fatto uomo. Perciò il mio corpo e la mia anima non sono miei, ma di Dio, che me li ha dati, anzi prestati. Come soleva dire san Francesco: « Chi siete Voi, o Signore? Chi sono io? Voi siete un abisso di saggezza e longanimità, e ogni bontà. Io sono un abisso di ignoranza, debolezza, di ogni male e miseria. Voi siete un abisso dell’essere, io del nulla ». Onde quando Cristo apparve a santa Caterina da Siena, disse: « Benedetta sei tu sai chi sono io e chi sei tu. Io sono Colui che è, tu sei colei che non è ».

In secondo luogo, per quanto riguarda la qualità. Chi? ovvero, di che specie sei? Risposta: per quanto riguarda il mio corpo, sono debole, misero e miserabile; quanto alla mia anima, quanto alla mia ragione, sono simile agli angeli; quanto al mio appetito sensibile e alla mia concupiscenza, sono come le bestie. Perciò seguirò la mia ragione, e così mi assimilerò agli angeli.

In terzo luogo, per quanto riguarda la relazione. Chi? ovvero, di chi sei figlio? Rispondi, io sono il figlio di Adamo, il primo peccatore, e quindi essendo nato nel peccato, vivo nel peccato e devo morire nel peccato, a meno che la grazia di Cristo non mi liberi dai miei peccati e mi santifichi e mi salvi.

In quarto luogo, per quanto riguarda l’occupazione. Chi sei tu? Di quale mestiere sei? Sono falegname, fornaio, governatore, pastore, avvocato. Vedi dunque di esercitare te stesso nella tua chiamata, qualunque essa sia, come richiede la legge di Dio, vale a dire, in modo tale che tu viva sobriamente, rettamente e devotamente in questo mondo presente, aspettando la beata speranza e la venuta della gloria del grande Dio, affinché tu possa così passare attraverso le cose temporali, da non perdere, ma guadagnare le cose eterne. Lavora, studia, vivi per l’eternità. Come san Bernardo soleva spesso dire a se stesso: « Bernardo, dimmi, perché sei qui? ». E con questo pungolo, per così dire, si mosse allo zelo per tutte le virtù.

+ In nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen.

4. L’Imitazione del Bambino Gesù

+ In Nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen.

In questo tempo natalizio accogliamo il Signore nella Sua semplicità, nella Sua innocenza, e nella Sua umiltà. AmiamoLo così, ed amandoLo imitiamoLo così. ‘Imparate da me’ ci dice, ‘Che sono mite ed umile di cuore.’

L’imitazione di Cristo è l’unico scopo della vita umana: per questo siamo stati creati, ossia secondo la Sua immagine; questo è il fondamento della nostra dignità, della nostra eccellenza come uomini; questo è la misura della nostra gloria eterna in cielo. Bisogna imitarLo in tutto ciò che sappiamo di lui: in tutto ciò che faceva ed era – ed era anche un bambino.

Nostro Signore Gesù Cristo ci insegna che bisogna divenire come bambini per entrare nel regno di Dio – come bambini innanzitutto verso Dio: per mezzo della semplicità e dell’innocenza nella preghiera e nella confessione, dicendo tutto a Lui ed al Suo ministro con una grande semplicità, senza nascondere niente; per mezzo della nostra umiltà, sapendo che Lui è tutto e noi non siamo niente.

Bisogna divenire come bambini anche verso il prossimo, nella semplicità e nell’innocenza dei nostri rapporti con lui, ed anche nel pregare per i nostri nemici (ovvero per coloro che ci offendono), senza mai parlare male di loro. Bisogna anche essere umili con tutti e non cercare il nostro interesse nel primo luogo, ma piuttosto la gloria di Dio in tutte le cose.

E così, carissimi fedeli, abbiamo meditato sulla Gloria di Dio nell’arco dei cieli come la luce increata ed eterna, annunciata dagli angeli alla notte della Sua natività, e poi apparso in terra come un piccolo Bambino.

Questo Bambino bisogna amare ed imitare per poterci avvicinare a Lui senza paura, per provare, nelle parole di nuovo di don Guéranger, ‘meno spavento all’annuncio terribile che ci fa il Vostro profeta il quale, superando i secoli con la rapidità della Vostra parola, ci preannunzia già l’avvicinarsi di quel giorno terribile in cui Voi verrete all’improvviso, ardente nel Vostro furore con le labbra piene d’indignazione e la lingua simile ad un fuoco divoratore. Oggi non facciamo che sperare, e aspettiamo una Venuta del tutto pacifica: siateci propizio nell’ultimo giorno; ma ora lasciate che Vi diciamo con uno dei Vostri pii servi, il venerabile Pierre de Celles…:

Sì, venite, o Gesù, ma nelle fasce, non nelle armi; nell’umiltà, non nella grandezza; nella mangiatoia, non sulle nubi del cielo; nelle braccia della Madre Vostra , non sul trono della Vostra Maestà; sull’asina, e non sui Cherubini; verso di noi, e non contro di noi; per salvare e non per giudicare; per visitare nella pace e non per condannare nel furore. Se venite così, o Gesù, invece di fuggire da Voi, è verso di Voi che correremo’.

Anzi, carissimi amici, se noi avremo vissuto semplici, innocenti, umili come bambini Lui ci accogliera come bambini, e ci dirà: ‘Lasciate che i bambini vengano a me, non glielo impedite, perché di questi è il Regno di Dio.’

+ In Nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen.