3. La Natività Spirituale

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Ogni Natale brilla una nuova luce della gloria di Dio quando il Bambino Gesù in modo spirituale nasce di nuovo nel mondo – il santo Natale non essendo solamente una ricorrenza o celebrazione della Sua nascita passata, bensì una nuova nascita nel senso spirituale.

Questa nuova luce, questa nascita spirituale del Signore avviene in noi: portando agli occhi della mente ed ai cuori nuove grazie divine, e meglio ci saremo preparati, più ricche ed abbondanti saranno.

Ora il Nostro Signore Gesù sarebbe potuto venire in questo mondo da adulto, come Adamo, ma è venuto da bambino. Perché? Forse proprio perché voleva nascere in noi, nelle menti e nei cuori, e voleva essere accolto da noi ed in noi come un bambino.

Desiderebbe dunque che noi Lo accogliamo come un Bambino, che noi ci relazioniamo a Lui come ad un bambino: un desiderio che Lui esprime nel passo del vangelo di san Marco: ‘Chi avrà ricevuto uno di questi piccoli in nome mio, riceve me.’

Quali sono le virtù che Lui ci ha manifestate nella Sua vita terrena che sono proprio quelle di un bambino? Forse sopratutto la semplicità, l’innocenza, l’umiltà. Cristo come Dio è semplice ed innocente: è la semplicità e l’innocenza stesse, la semplicità essendo Un Dio; l’innocenza essendo la Bontà e la santità stesse.

Anche come Uomo, Cristo è semplice ed innocente: le Sue parole e la Sua dottrina sono semplici e comprensibili a tutti, pure ai bambini; e non c’è pretesa, né pericolo, né il più piccolo inganno in Lui. Come Uomo è pure l’umiltà in persona – Lui Che si è spogliato di sé Stesso ovvero della Sua gloria divina per divenire uomo e schiavo, per essere crocifisso per noi. Ma a Natale vediamo l’umiltà di Nostro Signore in modo particolare: Gli angeli cantano l’inno della sua Gloria in cielo e Lui nasce come un bambino in terra e per terra.

Ecco la gloria del Signore nel più alto dei cieli,’ dice don Guéranger: ‘chi potrà vederla e non morire? Ora, contemplate lo stesso Signore sulla terra, nei giorni in cui ci troviamo. Lo racchiude il seno d’una vergine, colui che neanche i cieli potevano contenere. Il Suo splendore, lungi dall’oscurare gli Angeli, non è nemmeno percettibile ai mortali. Nessuna voce fa risuonare attorno a lui le celesti parole: Santo, Santo, Santo è il Signore Dio degli eserciti! Gli Angeli non dicono più: Tutta la terra è piena della sua gloria; perchè la terra è il teatro del suo abbassamento, d’un abbassamento così profondo che gli uomini stessi lo ignorano…

‘O Dio dell’Antica Alleanza, quanto sei grande, e chi non tremerebbe davanti a te? O Dio della nuova Alleanza, quanto Vi siete fatto piccolo, e chi non Vi amerebbe? Guarite il mio orgoglio, principio di tutte le mie ribellioni; insegnatemi a stimare ciò che Voi stimate. Voi creaste il mondo una seconda volta con la Vostra Incarnazione; e in tale creazione più eccellente della prima, operate nel silenzio, trionfate nell’annientamento. Anch’io voglio umiliarmi sul Vostro esempio, ed approfittare delle lezioni che un Dio è venuto a darmi da un luogo così eccelso. Abbassate dunque, o Gesù , tutte le mie alture; è questo uno dei fini della Vostra Venuta. Io mi offro a Voi, come al mio Signore: fate di me ciò che Vi piacerà.’

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2. La luce dell’Incarnazione nelle tradizioni patristiche e liturgiche

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Per illustrare il mistero della concezione e del parto verginali della Madonna, adopera la Chiesa di nuovo, nella tradizione patristica e liturgica, l’immagine della luce.

Quanto alla tradizione patristica scrive san Bernardo: ‘Siccome lo splendore del sole riempie e penetra una finestra di vetro, senza infrangerla, e trapassa la sua forma solida con impercettibile sottigliezza, né nuocendola entrando, né rompendola uscendo: così il Verbo di Dio, lo Splendore del Padre, entrò nella camera verginale ed uscì dal grembo chiuso.’

Quanto alla tradizione liturgica, il prefazio delle s. Messa della Madonna utilizza l’immagine di luce per rappresentare la Natività di Colui Che è sia Figlio di Dio che Figlio della Vergine Immacolata: ‘… virginitatis gloria permanente, lumen aeternum mundo effudit, Jesum Christum, Dominum nostrum’: mentre la gloria della verginità permaneva, versava sul mondo la luce eterna: Gesù Cristo, Nostro Signore.’

Similmente, ma in modo più sviluppato, il prefazio del santo Natale dichiara: ‘Quia per incarnati Verbi mysterium, nova mentis nostrae oculis lux tuae claritatis effulsit: ut dum visibiliter Deum cognoscimus, per hunc in invisibilium amorem rapiamur.’ ‘Per il mistero del Verbo Incarnato una nuova luce della Vostra gloria ha brillato agli occhi della nostra mente: così mentre conosciamo Dio visibilmente, tramite Lui siamo rapiti all’amore delle cose invisibili’: in altre parole, noi, vedendo Dio Stesso nella Sua umanità, nella forma di Nostro Signore Gesù Cristo, siamo rapiti all’amore per Lui nella Sua Divinità. Questo passaggio dalla Umanità alla divinità che deve essere il nostro più fervoroso desiderio in ogni preghiera mentale, viene espresso nella parola del Signore Ego sum Janua, Io sono la porta, nella quale parola ci invita di passare attraverso della Sua sacratissima umanità, per entrare nella Sua Divinità.

Questo stesso prefazio si recitava, fino alle innovazioni liturgiche, anche nella festa del Corpus Domini (tra altre) per esprimere lo stesso passaggio dalle cose visibili alle cose invisibili. Si fà notare inoltre che il sacro concilio di Trento si serve di un linguaggio simile per parlare dei tratti della s. Messa come quello del silenzio del canone romano: ‘con cui le menti dei fedeli siano attratte da questi segni visibili della religione e della pietà, alla contemplazione delle altissime cose che sono nascoste in questo sacrificio.’

Quando il prefazio dice ‘una nuova luce della Vostra gloria’, parla della manifestazione della divinità in forma umana a Natale. Anteriormente, la luce di Dio aveva brillato sul mondo in altri modi: nella fede del popolo eletto e nelle grazie su di esso elargite; ma, con la nascità del bambino Gesù, ha brillato una nuova luce sul mondo, la luce per eccellenza, la stessa Luce increata di Dio.

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1. La Luce della Natività

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Noi cattolici non vogliamo riempire le menti ed i cuori col buio, bensì con la luce: non con le tenebre dell’ignoranza e del peccato, che non erano mai più fitte di oggi, né nel mondo né nella Chiesa, ma con la luce della Fede e della carità; non col non-essere ma coll’essere; non col falso ma col vero, non col male ma col bene, con la bontà, e con la santità. Vogliamo alzare i cuori e rivolgere gli occhi alla luce eterna che sta per sorgere per noi nell’arco dei cieli, e splende nelle tenebre: e le tenebre non l’hanno superata, e le tenebre non l’hanno spenta.

In questa luce, in questo sole, ha posto Dio il Suo tabernacolo (salmo 19): posuit in sole tabernaculum suum: ovvero nel sole della Sua Divinità ha posto il tabernacolo della Sua umanità: il tabernacolo in cui è venuto abitare in mezzo a noi in terra (habitavit in nobis – il termine greco originale significando l’abitare in un tabernacolo, in una tenda).

Il termine ‘tabernacolo’ in questo salmo viene inteso anche della Beatissima Vergine Maria: che fu se stessa ‘posta nel sole’, in Dio, così che venne, nelle parole di san Bernardo ‘immersa nella luce inaccessibile.’ Ed in questo tabernacolo che è la Madonna, il vero cielo terrestre, Dio, nelle parole di sant’ Agostino ‘si unì alla natura umana come uno sposo ad una sposa’ e nella frase del libro Ecclesiastico (24.6) messa dalla Chiesa nella bocca della Madonna: ‘Ho fatto nei cieli che sorgesse la luce inestinguibile: ‘Ego feci in caelis, ut oriretur lumen indeficiens.’

Quanto all’uscire dal seno immacolato della Madonna, la Chiesa canta nel responsorio di Avvento le parole seguenti: ‘egressus eius sicut a principio dierum aeternitatis’: il Suo uscire fu come dal principio dei giorni dell’eternità, dove la generazione dalla Madonna viene paragonata con la generazione dal Padre Divino Che è il Principio dentro della Santissima Trinità, ‘il Principio senza principio’da Cui pocede il Figlio Divino fuori tempo nel mistero insondabile ed ineffabile della vita di Dio. In un altro posto, la santa Madre Chiesa applica alla nascita una frase simile del Cantico dei cantici (4.16): ‘Emissiones tuae paradisus’: le vostre emissioni – ciò che voi generate – è il paradiso.

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3. L’Intercessione degli Angeli per Noi

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Gli Angeli pregano Dio e offrono al Padre il sacrificio del Figlio diletto; lo fanno anche per noi. Scrive san Giovanni Crisostomo: “Quando il sacerdote all’altare offre il Sacrificio Stupendo e Sublime, gli angeli stanno accanto a lui, e tutt’intorno all’altare sono schierati cori di spiriti celesti che alzano la voce in onore della Vittima immolata. Così non sono solo gli umili mortali che invocano Dio: gli angeli si inginocchiano davanti a Lui, gli arcangeli supplicano a favore degli uomini. È il loro tempo più propizio, si può dire, quando la sacra Vittima è a loro disposizione. Per mezzo di Lui sollecitano le loro petizioni. Possiamo immaginarli parlare così: «Preghiamo, o Signore Dio, per coloro che Vostro Figlio ha tanto amato da morire per loro; supplichiamo per coloro per i quali Egli versò il Suo Preziosissimo Sangue; imploriamo la grazia per coloro per i quali ha offerto il Suo Sacratissimo Corpo in Croce».

Gli angeli offrono il sacrificio per noi; offrono anche le nostre preghiere a Dio. Ricordiamo il passo dell’Apocalisse: “Un angelo venne e si fermò davanti all’altare con un turibolo d’oro e gli fu dato molto incenso perché offrisse delle preghiere di tutti i santi sull’altare d’oro che è davanti al trono di Dio. E il fumo dell’incenso delle preghiere dei santi salì davanti a Dio dalla mano dell’angelo».

Ora l’angelo in questione può essere san Michele che è particolarmente incaricato di portare a Dio le preghiere dei fedeli; può invece simboleggiare una moltitudine di angeli, come tutti quelli che sono presenti; o addirittura può significare Nostro Signore Stesso, il Grande e Divino Angelo – “angelo” significando colui che è inviato da Dio, il che è particolarmente vero per Nostro Signore Benedetto. Infatti è Nostro Signore Stesso che offre il Sacrificio della Messa nella propria Persona per la salvezza e per il bene del popolo; ma è sufficientemente attestato che gli angeli che sono presenti ed offrono il sacrificio, offrono con esso le preghiere del popolo a Dio. Il testo della Messa che ricorda questo passo dell’Apocalisse recita: “Ti preghiamo umilmente, Dio onnipotente: ordina che [queste offerte] siano portate per le mani del Vostro angelo santo al Vostro sublime altare, al cospetto della Vostra Divina Maestà.”

P. Martin di Cochem commenta; «Facciamo dunque ciò che è in noi nell’ascoltare ogni giorno la Messa, affinché le nostre preghiere siano portate in Cielo nelle mani pure degli angeli, e supplichiamo l’Altissimo che le accolga benevolmente perdonando la nostre tante mancanze per la devozione degli spiriti celesti ai quali ci associamo”. San Leonardo da Porto Maurizio ci esorta: “Perché non imitate gli angeli che, nella celebrazione della Messa, scendono a migliaia dal Cielo e si accostano in adorazione ai nostri altari per intercedere per noi?” Deo Gratias!

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2. Come gli Angeli Assistono il Signore

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Ma non è infatti sorprendente che gli angeli accompagnino e assistano nostro Signore qui sulla terra, quando ricordiamo i principali eventi della sua vita terrena: All’incarnazione venne l’arcangelo Gabriele; alla Sua nascita apparve nel cielo una grande moltitudine di angeli; altri parlavano ai pastori. Allo stesso modo, gli angeli Lo servirono all’inizio del Suo ministero pubblico; un angelo venne da Lui nell’orto di Getsemani; altri erano presenti nella Tomba e all’Ascensione. Sicuramente molti furono presenti anche alla Sua morte, come grandi artisti hanno rappresentato nei loro quadri, sebbene ciò non sia raccontato nei Vangeli. Quindi non dobbiamo stupirci di sentire nella liturgia dell’apostolo san Giacomo: “Tutti tacciano e tremino di timore, e ritraggano i pensieri dalle cose terrene, perché il Re dei re, il Signore dei signori sta per venire per essere immolato sull’altare e per essere dato in pasto ai fedeli. I cori degli angeli gli vanno davanti con maestà e potenza, coprendosi il volto e cantando cantici di gioia e di esultanza».

Ma se così adorano Nostro Signore quando entra nella chiesa, come Lo adoreranno nel momento della sua immolazione? Leggiamo della loro azione durante la Santa Messa come di “concelebrazione”, tanto intimamente assistono e si uniscono ai sacri misteri che si compiono sull’altare. Tremunt potestates: le potenze del cielo tremano. Santa Brigida ebbe il privilegio di assistere in ispirito a ciò che avvenne nell’alto dei Cieli durante la consacrazione. Ella narra come vide l’Ostia Santissima, sotto le sembianze di un Agnello, avvolta dalle fiamme e circondata da angeli innumerevoli come particelle di polvere in un raggio di sole, adorarLo e servirLo come facevano anche una moltitudine innumerevole di Beati. Udì le stelle del firmamento e tutte le potenze del Cielo che facevano dolce melodia mentre si muovevano sui loro percorsi prestabiliti… l’armonia risuonava in lungo e in largo: con essa si mescolavano le voci di innumerevoli spiriti celesti, cantando in toni di ineffabile dolcezza. I cori angelici rendevano umile riverenza al sacerdote; i diavoli tremavano di paura e fuggivano sgomenti. P. Martin von Cochem annota nel suo libro sulla Santa Messa, da cui queste considerazioni sono principalmente tratte: «Come i nemici di Cristo caddero a terra quando pronunciò le parole: “Sono io”, così quando le parole sono pronunciate: “Questo è il Mio Corpo” i demòni si voltano e fuggono.” Deo Gratias!

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1. La Presenza degli Angeli alla santa Messa

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Innanzitutto dovremmo notare che gli angeli ci osservano mentre ci dirigiamo verso la Messa e mentre la assistiamo. Dice sant’Agostino: “Ogni passo che facciamo sulla strada per la Santa Messa è contato da un angelo e riceverà da Dio la più alta ricompensa sia in questa vita che nell’eternità”. Santa Gertrude la Grande vide come gli angeli osservavano e annotavano la devozione con cui i fedeli assistevano alla liturgia.

Gli angeli ci osservano nel cammino verso la Messa e nella Messa, ma sono presenti alla Messa principalmente per pregare Dio e per presentarGli le nostre preghiere. Scrive san Paolo (Ebrei 12,22-29) «Voi vi siete invece accostati al monte Sion e alla città del Dio vivente, alla Gerusalemme celeste ed a miriadi di angeli, adunanza festosa… al Mediatore della Nuova Alleanza e al sangue dell’aspersione…” Il testo si applica bene alla Santa Messa dove il Sangue del Salvatore viene asperso sui fedeli, circondati come sono da molte migliaia di angeli. Possiamo quindi pregare con le parole del Re Davide: “Vi canterò lodi, o Signore, davanti agli angeli. Adorerò il Vostro santo tempio e darò gloria al Vostro Nome” (salmo 137).

Santa Mechtilde scrive che 3.000 angeli dal 7 ° coro (i Troni) sono sempre in devota presenza intorno ad ogni tabernacolo dove è custodito il Santissimo Sacramento. Senza dubbio molti di più sono presenti al Santo Sacrificio. “Non dimenticare, o uomo, dice San Giovanni Crisostomo, in quale compagnia sei al momento di questo solenne sacrificio. Stai in mezzo a Serafini, Cherubini e altri alti spiriti di alto rango.” Lo stesso santo ci ammonisce ad imitare questi spiriti eterei con le seguenti parole: “Dal profondo, dal cuore, trai una voce, fa mistero della tua preghiera. Non vedi che anche nelle case dei Re ogni tumulto è posto lontano, e grande da tutte le parti è il silenzio? Anche tu dunque, entrando come in un palazzo, non quello della terra, ma ciò che è molto più terribile, quello del Cielo, mostra grande decoro. Sì, perché sei unito ai cori ed in comunione con gli arcangeli e canti con i serafini e tutte queste tribù mostrano molto buon ordine cantando con grande soggezione quel canto mistico ed i loro sacri inni a Dio, il Re di tutti. Con questi, poi, ti associa quando preghi ed emula il loro ordine mistico». Deo Gratias!

+ In Nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen.

La pace

+ In nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen.

Il Signore dice: ‘Io nutro per voi penso pensieri di pace e non di afflizione’ Queste parole esprimono il desiderio del Signore che noi siamo in pace. Perciò, se non siamo in pace: se soffriamo afflizione, tenebre, disturbi, o profondi affanni, non conduciamo ancora pienamente la vita che per noi il Signore vuole, e bisogna chiedersi come possiamo vivere meglio secondo la Sua volontà in tutti gli aspetti della vita, o forse in un aspetto particolare. Perché quando viviamo secondo la Sua volontà siamo in pace, e più viviamo secondo la Sua volontà, più profonda è la pace.

Il Signore non vuole l’afflizione per noi, bensì la pace: il profeta Simeone dichiara che Iddio è venuto per illuminare coloro che erano nelle tenebre e nell’ombra della morte, per indirizzare i loro nostri piedi sulla via della pace; similmente, la parola con la quale il Signore iniziò l’opera della Redenzione, tramite l’amabasciata dell’Arcangelo san Gabriele, era ‘Ave’, che significa Pace e Gioia; il coro degli angeli nel cielo alla natività del Signore cantavano ‘Pace agli uomini di buona volontà’. Così anche alla fine della vita terrena, alla vigilia della Sua uscita da questo mondo, il Signore dice agli apostoli: ‘La pace vi lascio, la Mia pace vi do; e, Risorto dalla morte, annunzia loro: ‘La pace sia con voi.’

Che cos’è la pace? Sant’Agostino la definisce come ‘la tranquillità dell’ordine’. Uno stato sarà in pace in se stesso quando è ordinato, quando i rapporti tra i suoi membri sono ordinati; sarà in pace con altri stati quando i rapporti con essi sono ordinati; un’anima sarà in pace in se stessa quando è ordinata; e sarà in pace col mondo esterno, con Dio e col prossimo, quando agisce verso di loro in maniera ordinata.

Quando è ordinata un’anima? Quando è ben’ordinata? Quando le sue facoltà operano come devono. Le facoltà dell’anima sono la conoscenza, la volontà, e le facoltà dei sensi, ovvero (semplificando) le emozioni e la fantasia. La conoscenza opera come si deve quando conosce Dio, e le cose nel loro rapporto a Dio: questa è la Fede; la volontà opera come deve quando vuole bene a Dio, quando ama Dio, e tutti gli uomini in Dio: questa è la Carità; le emozioni operano come devono quando sono controllate, regolate, moderate dalla ragione (ovvero dalla conoscenza e dalla volontà) cosicché la Carità, la speranza, la gioia si indirizzino ai beni veri: ciò che è davvero buono; e l’odio, la paura, la tristezza si indirizzino ai mali veri, come il peccato. Quando l’anima è ben ordinata in questo mondo, possiede la pace.

E’ troppo facile perdere la pace quando pecchiamo, quando ci sbagliamo, quando qualcuno ci ferisce, anche con solo una parola. Perdiamo la pace: siamo assaliti da disturbi, ansia, persino l’orrore. Perdiamo fiducia in Dio, ci allontaniamo da Lui. Bisogna vedere i tempi attuali anche come tempi di prova e di tentazione: tentazione di perdere la pace. Bisogna offrire la sofferenza a Dio, cacciare escludere i pensieri negativi dall’anima, e riempirla piuttosto con atti di Fede, Speranza e di Carità verso Dio. Questo è vero anche nel caso del peccato: ci confessiamo, andiamo avanti serenamente col proponimento di ammigliorarci.

Nostro Signore Gesù Cristo, Principe della pace, ci dice: ‘Vi do la Mia pace: non come la dà il mondo: Io ve la do.’ Perché il mondo non dà ha la pace, ed il cuore del figlio del mondo non possiede la pace, perché le facoltà della sua anima non sono ordinate e non funzionano come si devono. La sua conoscenza conosce esclusivamente le cose di questo mondo: conosce le cose terrene; la sua volontà vuole e ama solo il proprio benessere; le sue passioni (staccate dalla ragione e dalla volontà) tumultuano, cercando le proprie gratificazioni e tormentandolo. Il figlio del mondo cerca la gioia e la felicità costanti, e trova l’afflizione; l’uomo di Dio cerca la volontà del Signore sempre e trova la pace: il suo premio in terra è la pace, che è la condizione della più grande gioia e felicità possibili quaggiù, ma che nasce sopratutto dal combattimento, dalla pazienza, dalla negazione di se stessi, e dal portare la croce; il suo premio in cielo sarà la Beatitudine eterna.

Chiediamo la grazie di acquistare queste benedizioni per l’intercessione della Madonna, Regina della pace, mentre indirizziamo i nostri piedi sulla via della pace. Amen.

+ In nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen.

Mezzi di Perfezione secondo sant’Alfonso

+ In nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen.

In questo articolo citiamo i mezzi di perfezione consigliati da sant’Alfonso.

A. Gli Atti più Importanti:

1) Fuga di ogni peccato volontario, benché veniale. Se per disgrazia commettiamo qualche difetto, guardiamoci bene dall’innervosirci con noi stessi. Piuttosto pentiamoci e facciamo atti di amore a Cristo, promettendogli, col Suo aiuto, di non peccare più;

2) Desiderio di raggiungere la perfezione dei santi, e soffrire tutto per la gloria di Dio. Se non avvertiamo questo desiderio, preghiamo Gesù Cristo che ce lo conceda, altrimenti non faremo alcun passo sulla via della perfezione;

3) Decisione seria di giungere alla perfezione. Chi non ha tale fermezza, risulta fragile e perdente nelle prove. La persona decisa, invece, con l’aiuto di Dio che non le manca mai, è sempre vincente;

4) Due ore, o almeno una, di meditazione al giorno, e non lasciarla mai, senza una vera necessità, anche se avvertiamo sensi di noia, aridità, o altro;

5) Comunione frequente;

6) Mortificazioni esterne come digiuni. Per quello essenziale di avere un direttore spirituale, in quanto tali mortificazioni, fatte senza il consiglio del direttore, sono occasioni di vanagloria e di intralcio alla santità;

7) Preghiera incessante a Gesù Cristo per tutte le nostre necessità, ricorrendo all’intercessione del nostro angelo custode, dei santi e particolarmente dell divina Madre Maria, Mediatrice di tutte le grazie. Dalla preghiera dipende ogni bene.

B. Petizioni di Preghiera

Bisogna anzitutto chiedere ogni giorno a Dio il dono della perseveranza nella Sua grazia. Questa grazia l’ottiene solo chi la chiede; cho non la chiede, non la ottiene e si danna;

Chiediamo a Lui il Suo santo amore ed una perfetta uniformità alla Sua volontà; ma chiediamo tutto e sempre per i meriti di Gesù Cristo.

Queste preghiere dobbiamo farle la mattina, appena svegli, e poi rinnovarle nella meditazione, durante la partecipazione all’ Eucarestia, nella visita al S.mo Sacramento, e la sera nell’esame di coscienza. Particolarmente nelle tentazioni dobbiamo chiedere aiuto a Dio di resistere, in modo particolare se sono contro la castità, invocando i Nomi di Gesù e Maria. Chi prega vince; chi non prega resta sconfitto.

C. Rimedi alle Tentazioni e Desolazioni di Spirito

Contro le tentzioni, due sono i rimedi: la rassegnazione e la preghiera. La rassegnazione perché, anche se le tentazioni non vengono da Dio, tuttavia è Lui che le permette per il nostro bene. E per moleste che siano, non ci dobbiamo innervosire ma piuttosto rassegnarci alla volontà di Dio che le permette, ed affidarci alla preghiera, l’arma più forte e sicura per vincere i nemici.

I cattivi pensieri, per quanto blasfemi e ripugnanti, non sono mai peccato, se vi manca il nostro deliberato consenso.

Nell’assalto delle tentazioni è di grande efficacia rinnovare il proposito di voler morire anziché offendere Dio; come anche segnarci col segno della croce, con l’acqua benedetta, e confidarle al confessore. Ma il rimedio più efficace resta la preghiera a nostro Signore Gesù Cristo ed alla Madonna.

Nelle desolazioni di spirito, poi, riconosciamoci meritevoli dell’ essere trattati così e rassegniamoci alla volontà di Dio, abbandonandoci tra le sue braccia.

Quando Dio ci offre delle consolazioni, prepariamoci subito alle tribolazioni. Se poi manda desolazioni, umiliamoci e rassegniamoci alla Sua volontà. Profitteremo più con le desolazioni che con le consolazioni.

+ In nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen.

La Fiducia


In Nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen.


‘Osservate i gigli del campo come crescono: non lavorano né filano, ma vi dico che neppure Salomone in tutta la sua gloria fu mai vestito come uno di essi. Se dunque Dio veste così l’erba del campo che oggi è e domani sarà gettata nel forno, quanto di più farà per voi, gente di poca fede?’ – quanto di più farà per noi perché infatti vagliamo più di essi, essendo più belli nel possesso di un’anima immortale: non destinati ad essere buttati nel forno all’indomani come essi, nel fuoco eterno dell’Inferno, ma ad entrare nel Paradiso, per conoscere ed amare Dio colla nostra anima immortale e per essere felici con Lui per sempre. In breve allora, se Dio cura così i gigli del campo che, come tutti gli spendori di questo modo quaggiù, appassiscono, passano e periscono, quanto di più si occuperà dei Suoi figli immortali che siamo noi.


‘Non vi affannate dunque’, dice il Signore, o, in molti altri brani: ‘non abbiate paura.’ Non vuole che noi dubitiamo ed esitiamo ‘come un’onda nel mare instabile e senza sostanza’ nella parola di san Giacomo; non vuole che siamo come san Pietro che sta sul mare e dubita, e comincia ad affondare. Vuole piuttosto che abbiamo la fiducia e la pace del cuore, mentre il demonio vuole il contrario. Lui è per così dire il mercante degli affanni, della paura, dei dubbi, dell’ansia, e dell’orrore senza volto e senza nome, che cerca di riempire i nostri cuori e le nostre menti di questi per farci dimenticare Dio e per spingerci verso la sfiducia verso Dio e verso la disperazione.Ma noi dobbiamo rigettare la paura ed agire secondo la nostra intelligenza e la nostra fede, perché ‘la paura infatti non è altro che rinunzia agli aiuti della ragione’ (Sapienza 17.11). Bisogna essere ragionevoli, realisti, e maestri delle nostre emozioni; bisogna sapere che le cose e gli avvenimenti di questo mondo non esistono per tormentarci o per farci paura, ma per prepararci alla vita eterna. Le difficoltà, le incertezze, e le sofferenze non sono altro che prove per purificarci: affinché possiamo essere uniti a Lui in terra nella speranza, e in Cielo nella Visione, una volta purificati dalle nostre imperfezioni; sono prove per farci crescere nella virtù: nella pazienza, nella perseveranza, nella rassegnazione, nel rinunzio, e nell’umiltà.


‘Perché avete paura, uomini di poca fede?’ chiede nostro Signore Benedetto, quando i discepoli Lo svegliono durante la tempesta sul mare. Le parole significano che non c’è nessun motivo per cristiani di aver paura, anche se, come in questo brano, la tempesta è così violenta che la barca della nostra vita viene travolta dalle onde ed il Signore non ci sembra far niente. Perché il Signore è con noi ‘in tribulatione’, ossia tramite la fede, ed anche tramite la Divina Grazia, se siamo nello stato di Grazia. La vita quaggiù non è una bonaccia, ma spesso una tempesta. La tranquillità è il Cielo che è quel porto al di là del mare vasto ed inquiete di questo mondo: là ci riposeremo; qua lottiamo, qua viaggiamo verso il riposo.


E dunque noi, che il Signore chiama ‘uomini di poca fede’ dobbiamo crescere nella fede: dobbiamo vedere le prove e tutte le cose di questa terra alla luce radiante della fede, e dobbiamo avere fiducia: faccendo ciò che possiamo, pregando con fervore, e lasciando il resto a Lui senza preoccuparcene. ‘Getta sul Signore il tuo affanno, ed Egli ti darà sostegno (salmo 54); ‘Manifesta al Signore la tua via, confida in Lui, ed Egli compirà l’opera… sottometteti al Signore e preghi Lui’ (salmo 36).


In una parola, bisogna mettere Dio al centro della nostra vita e delle nostre azioni, vedendo tutto alla Sua luce. Bisogna in questo modo ‘cercare anzitutto il Regno di Dio e la Sua giustizia, e tutte queste cose ci saranno date in più’: il nostro benessere terreno, la pace in questa vita e la felicità nella prossima. Amen.


In Nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen.

Consigli per Santificarsi

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Un vecchio catechismo ci dà dei consigli diversi per progredire verso la perfezione: ‘non guardarsi intorno camminando per strada, evitare discorsi inutili, non urlare, non ridere in modo chiassoso, non lamentarsi subito per la sfortuna, possibilmente non mangiare fuori pasto, non dormire troppo a lungo, ritirarsi ogni tanto in solitudine, non parlare di se stessi senza motivo, e non contraddire nessuno, per quanto possibile.’ Se siamo disordinati, aggiungiamo, negligenti, trascuranti, trascurati, perfezioniamoci anche là. Utili sono anche i piccoli atti di mortificazione: renunziare ai nostri capricci, a piccoli piaceri a tavola (non prendendo sempre tutto ciò che ci piace) a regolare la temperatura di casa così che divenga sempre assolutamente perfetta per i nostri gusti.

Padre di Caussade nei suoi scritti sull’abbandono alla divina Provvidenza esprime la santità in termini della ‘docilità all’ordine di Dio’: ‘In realtà’ lui scrive ‘la santità si reduce ad un’unica cosa: la fedeltà all’ordine di Dio. Questa fedeltà è altrettanto accessibile a tutti, sia nel suo esercizio pratico sia nel suo esercizio passivo.

‘La pratica attiva della fedeltà consiste nel compimento dei doveri che ci sono imposti sia dalle leggi generali di Dio e della Chiesa; sia dallo stato particolare che abbiamo abbracciato. Il suo esercizio passivo consiste nell’accettare amorevolmente tutto ciò che Dio ci invia ad ogni istante.’

Sant Alfonso Maria de’ Liguori, invece, nel suo piccolo libro’ La pratica di amare Gesù Cristo’ che lui descrive come ‘la più devota ed utile di tutte le altre’ opere, riassume i tratti principali della via della perfezione e della santificazione nei seguenti tre appunti:

1) Nelle tribolazioni della vita: malattie, dolori, povertà, perdita di parenti o beni, persecuzione di ogni tipo, desolazione dello spirito: sopportazione con pazienza, rassegnazione, uniformità alla volontà di Dio;

2) Dolcezza con tutti: con superiori, suddetti e qualsiasi persona, anche quando un altro ci ingiuria, o quando occorre richiamare qualcuno;

3) Mai arrabiarsi, mai invidiare, cercare il gusto di Dio in tutto, e mai noi stessi, umiltà, distaccco di tutto il creato per attaccarsi solo a Dio

In una parola, tutta la santità, secondo sant’ Alfonso, consiste nell’amore di Dio.

Un’ultima parola sulla sofferenza. Abbiamo visto che la vita spirituale che conduce alla santità esige una lotta ed il sacrificio. E questo è davvero nostro compito come battezzati. San Pietro scrive (1.2.5): ‘Anche voi venite impiegati come pietre vive per la costruzione di un edificio spirituale, per un sacerdozio santo, per offrire sacrifici spirituali graditi a Dio, per mezzo di Gesù Cristo.’

Il sacrificio di cui parliamo coinvolge il distacco da se stessi e l’aderenza a Dio. Questo processo viene espresso da Nostro Signore con le parole seguenti: ‘Se qualcuno vuol venire dietro a Me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e Mi segua’ (Mt 16.24).

Ma allo stesso tempo che questa via della seguela di Cristo è una via di sacrifizio e di morte, è una via che conduce alla Risurrezione ed alla vita; e allo stesso tempo che ci svuotiamo di noi stessi ci riempiamo di Lui Stesso che ci dà la vera vita e la vera felicità. E se seguiamo Cristo in questa vita, Lo seguiremo alla vita eterna, alla nostra Beatitudine ad alla gloria del Suo Santissimo Nome. Amen.

Deo Gratias!

La Pazienza

+ In Nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen.

  1. La Natura della Pazienza


In varie domeniche dell’anno liturgico, la liturgia romana ci propone il tema della carità. Cos’è la carità? Alcuni ritengono che sia il dare soldini ai mendicanti per strada, invece è qualcosa di ben diverso. La carità è Dio: Deus caritas est:
– La carità nel primo luogo è quell’amore che costituisce la natura di Dio Stesso;
– in secondo luogo è quell’amore con la quale Egli ci ama;
– in terzo luogo è l’amore con il quale noi amiamo Lui ed il prossimo in Lui.


La carità è un amore sovrannaturale, che, come tale, richiede da parte dell’uomo il battesimo e lo stato di Grazia. Il Dalai Lama, ad esempio, tra tutte le sue virtù, non possiede la carità; qualcuno nello stato di peccato mortale non possiede la carità. Il Dalai Lama si deve fare battezzare ed il peccatore si deve convertire: altrimenti non potranno amare Dio come Egli lo vuole: ovvero con la carità, e non si potranno salvare.


‘Nella sera della vita saremo esaminati sulla carità’, dice san Giovanni della Croce. Questo esame, carissimi amici, è un affare di importanza vitale, perché determinerà la nostra eternità. Se qualcuno muore senze la carità (ovvero nello stato di peccato mortale) sarà condannato all’Inferno; se muore con la carità, invece, raggiungerà il Paradiso, ed il grado della sua carità determinerà il suo grado di gloria in Paradiso: il grado secondo cui potrà conoscere ed amare le infinite perfezoni di Dio per tutta l’eternità.


‘La Carità è paziente’ dice san Paolo, ed è su questa virtù che ci vogliamo soffermare oggi. La pazienza è un’alta virtù che san Paolo pone subito dopo la carità, come per dire che ne sia il componente principale. Nei proverbi 16.32 leggiamo che ‘il paziente è meglio del forte’, e ‘chi domina la propria anima è meglio del conquistatore di città.’ San Gregorio Magno, che regnava sulla santa Chiesa dall’ anno 590 all’anno 604, spiega che il paziente è meglio del forte in quanto è maestro non su città bensì su se stesso; espone la parola del Signore nel vangelo di san Luca ‘Nella pazienza possederete le vostre anime’ nello stesso senso: il paziente possiede la sua anima in quanto ne è il maestro, sottomettendola, come si deve, sotto la ragione.


Lo stesso papa insegna che per essere pazienti non basta un comportamento esterno: occorre anche la pazienza interna; non basta neanche uno spirito di tolleranza, ma anche uno spirito benigno – è per questo, infatti, che se reagiamo pazientemente ad un contrattempo o ad un’offesa, occorre che rimaniamo pazienti anche dopo: quando l’idea del contrattempo, e sopratutto dell’offesa, ci torna in mente. Lui spiega che il demonio si indegna molto se qualcuno reagisce ad un’offesa con pazienza. E perciò torna all’attacco più avanti per vindicarsi col ricordo dell’offesa, spingendo la persona con violenza a perdere controllo di se stesso, ed a peccare.


Così è la pazienza. È un tipo di carità che si può esercitare verso Dio e verso il prossimo spesse volte al giorno; è un tipo di mortificazione, si può dire, tramite la quale combattiamo le tre concupiscenze e le sottomettiamo alla ragione per possedere le nostre anime, un tipo di mortificazione, inoltre, per sopportare un male che Dio ci manda, piuttosto di un male scelto da noi: per questo è anche più meritevole. Santa Teresa d’Avila dice che è meglio sopportare con pazienza tutte le contrarietà ed avversità di una giornata, che non digiunare a pane ed acqua per tutto un anno.
Fiat! Fiat!


+ In Nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen.

La Pazienza e la Sofferenza

+ In Nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen.


San Paolo esprime un altro aspetto della carità con le parole: ‘omnia suffert’: tutto soffre, ciò che ricorda la Passione del Signore che viene evocata nel vangelo del giorno stesso in cui la liturgia ci presenta il brano di san Paolo sulla carità: ‘Il Figlio dell’Uomo sarà consegnato ai pagani, schernito, oltraggiato, coperto di sputi, e dopo averLo flagellato, Lo uccideranno…’ La pazienza, come abbiamo visto, è un componente della carità: tutte e due virtù hanno un aspetto sofferente. La vera carità si mostra e si colma nella sofferenza: così anche la vera pazienza.


La parola ‘pazienza’ deriva dalla radice ‘pati’ che significa soffrire. È qualcosa di doloroso, come ogni tipo di mortificazone; pur essendo quasi insignificante in confronto con la Passione del Signore, deriva il suo bene dalla sua unione con essa.


Come scrive una certa madre superiora ormai beatificata: ‘MirateLo bene pendere su da quel tronco, tutto spasimante per vostro amore; e poi paragonate il vostro dolore di capo col Suo, trafitto da mille pungentissime spine; mettete al confronto il vostro dolore di stomaco col Suo: Egli ha tutte le ossa fuori del suo luogo; o che spasimo doveva sentire tutta la Sua santissima vita fatta una sola piaga! La vostra stanchezza confrontatela: Egli non ha dove posare il Suo divin capo, e tutta la Sua santissima vita sta tutta pendente da tre chiodi ed Egli è tutto una sola piaga. Ci viene detta una parola aspra e pungente, ci viene fatto un torto, un’ingiuria; quell’anima che porta impressa nel suo cuore la Passione di Gesù Cristo, subito si acquieta, anzi si consola nel vedersi partecipe dei Suoi disonori.’


Siamo nati nel Peccato Originale; abbiamo peccato personalmente; abbiamo contratto cattive abitudini. Dio ci manda prove per lavorare su noi stessi, per ammorbidire quei sassolini acuti e fastidiosi che siamo noi, per noi stessi e per altri. Chiediamo a Lui la grazia di essere docile alla Sua divina Volontà: per migliorarci e perfezionarci sulla via dura di questa vita, affinchè, nelle Sue parole, nella pazienza possiamo possedere le nostre anime. Amen.


+ In Nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen.

La Via della Perfezione

+ In nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen

Con la conversione (la prima, o anche la seconda) viene spesso un gran desiderio della perfezione. Il convertito si precipita nella lettura della vita dei santi, nella preghiera, sopratutto vocale, volendo ad ogni costo precipitarsi subito, catapultarsi per così dire, verso la santità con tutte le forze dell’anima.

La via della santificazione, però, è lenta: è organica come ogni tipo di sviluppo attraverso il tempo ed ogni tipo di progresso. Come scrive il cardinal Gasparri nel suo catechismo: ‘una piantina non può divenire un albero nello spazio di una notte; un’alta montagna non si può scalare in pochi minuti’. Ci vuole tempo, e bisogna ricordarsi che questa vita non è come il volo di un catapulto, bensì un cammino verso una meta: un cammino, una via, una strada, un viaggio, un impegno in cui tutto conta per l’eternità, in cui ogni passo, sprofondandosi costantamente nell’eternità, si guadagna un significato eterno.

La precipitazione ci ruba la pace dell’anima, spesso comporta con sè l’impazienza e la frustrazione alle cadute inevitabili (anche per coloro pieni di buona volontà) e non è sovrannaturale. La motivazione e l’atteggiamento che ci devono accompagnare sulla via della perfezione sono piuttosto quelli della speranza, tramite cui vediamo tutto alla luce della Fede e ci affidiamo a Dio, la forza, il coraggio, la pazienza, la perseveranza, il portare la croce. La via della perfezione è una sfida: abbiamo il coraggio di accettarla e di abbracciarla con calma: perché Dio lo vuole, e se ci mettiamo la nostra buona volontà, Egli ci aiuterà a raggiungere la meta di questa via che è Lui Stesso: la nostra eterna beatitudine.

Man mano che avanziamo sulla via di perfezione, una crescente carità si manifesterà tanto nella preghiera quanto in tutte le azione che compiamo.

La preghiera si semplifica: la preghiera vocale, come del santo rosario, si mantiene, ma si ci aggiunge la preghiera mentale: la meditazione o la contemplazione. A coloro che iniziano la pratica della preghiera mentale viene raccomandato trovare uno spazio quottidiano di 20-30 o almeno 10 minuti per essa.

La meditazione si fà idealmente su un brano del vangelo, caratteristicamente sul Signore Stesso, leggendolo lentamente, assaporandone il contenuto, e lasciandoci eventualmente anche toccare o commuovere da esso. La contemplazione, invece, comincia con uno slancio del cuore verso Dio, o presente nel tabernacolo in chiesa o nello spirito a casa ad esempio, ed un atto di unione spirituale con Lui. Ne segue un tempo di unione consapevole a Lui.

Di fatti caratteristica della vita di coloro che pregano in questo modo contemplativo è ‘la pratica della presenza di Dio’. E’ vero che Dio è presente dapertutto, ma è presente nell’anima dei giusti in modo speciale. Sant’ Agostino dice che Egli è più vicino a noi che noi non siamo a noi stessi. La pratica della presenza di Dio è la consapevolezza di questa Sua presenza. La pratica comincia con uno sforzo regolare per poi divenire automatica. La beata Elisabetta della santa Trinità scrive: ‘il mio cuore è sempre con Lui: car mon coeur est toujours avec Lui.

Abbiamo detto che una maggiore carità si manifesta nell’azione di colui che tende alla perfezione. Infatti questa carità comincia ad estendersi in tutte le sue azioni: il compimento di tutti i doveri dello stato di vita: del lavoro, della famiglia, verso i dipendenti, verso il prossimo, dove il soggetto prova ad essere perfetto in tutto, per amore di Dio. Questo si fà con la pratica di tutte le virtù: con la carità si prova ad essere amichevoli a tutti; con la pazienza ad accettare tutte le difficoltà con perfetta rassegnazione; con la moderazione regolando le passioni: la rabbia, la paura, la tristezza, l’affetto disordinato.

+ In nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen

Mezzi di Perfezione secondo Sant’Alfonso

+ In nomine Patris et Filii Spiritus Sancti. Amen.

In questo articolo citiamo i mezzi di perfezione consigliati da sant’Alfonso.

A. Gli Atti più Importanti:

1) Fuga di ogni peccato volontario, benché veniale. Se per disgrazia commettiamo qualche difetto, guardiamoci bene dall’innervosirci con noi stessi. Piuttosto pentiamoci e facciamo atti di amore a Cristo, promettendogli, col Suo aiuto, di non peccare più;

2) Desiderio di raggiungere la perfezione dei santi, e soffrire tutto per la gloria di Dio. Se non avvertiamo questo desiderio, preghiamo Gesù Cristo che ce lo conceda, altrimenti non faremo alcun passo sulla via della perfezione;

3) Decisione seria di giungere alla perfezione. Chi non ha tale fermezza, risulta fragile e perdente nelle prove. La persona decisa, invece, con l’aiuto di Dio che non le manca mai, è sempre vincente;

4) Due ore, o almeno una, di meditazione al giorno, e non lasciarla mai, senza una vera necessità, anche se avvertiamo sensi di noia, aridità, o altro;

5) Comunione frequente;

6) Mortificazioni esterne come digiuni. Per quello essenziale di avere un direttore spirituale, in quanto tali mortificazioni, fatte senza il consiglio del direttore, sono occasioni di vanagloria e di intralcio alla santità;

7) Preghiera incessante a Gesù Cristo per tutte le nostre necessità, ricorrendo all’intercessione del nostro angelo custode, dei santi e particolarmente dell divina Madre Maria, Mediatrice di tutte le grazie. Dalla preghiera dipende ogni bene.

B. Petizioni di Preghiera

Bisogna anzitutto chiedere ogni giorno a Dio il dono della perseveranza nella Sua grazia. Questa grazia l’ottiene solo chi la chiede; cho non la chiede, non la ottiene e si danna;

Chiediamo a Lui il Suo santo amore ed una perfetta uniformità alla Sua volontà; ma chiediamo tutto e sempre per i meriti di Gesù Cristo.

Queste preghiere dobbiamo farle la mattina, appena svegli, e poi rinnovarle nella meditazione, durante la partecipazione all’ Eucarestia, nella visita al S.mo Sacramento, e la sera nell’esame di coscienza. Particolarmente nelle tentazioni dobbiamo chiedere aiuto a Dio di resistere, in modo particolare se sono contro la castità, invocando i Nomi di Gesù e Maria. Chi prega vince; chi non prega resta sconfitto.

C. Rimedi alle Tentazioni e Desolazioni di Spirito

Contro le tentazioni, due sono i rimedi: la rassegnazione e la preghiera. La rassegnazione perché, anche se le tentazioni non vengono da Dio, tuttavia è Lui che le permette per il nostro bene. E per moleste che siano, non ci dobbiamo innervosire ma piuttosto rassegnarci alla volontà di Dio che le permette, ed affidarci alla preghiera, l’arma più forte e sicura per vincere i nemici.

I cattivi pensieri, per quanto blasfemi e ripugnanti, non sono mai peccato, se vi manca il nostro deliberato consenso.

Nell’assalto delle tentazioni è di grande efficacia rinnovare il proposito di voler morire anziché offendere Dio; come anche segnarci col segno della croce, con l’acqua benedetta, e confidarle al confessore. Ma il rimedio più efficace resta la preghiera a nostro Signore Gesù Cristo ed alla Madonna.

Nelle desolazioni di spirito, poi, riconosciamoci meritevoli dell’ essere trattati così e rassegniamoci alla volontà di Dio, abbandonandoci tra le sue braccia.

Quando Dio ci offre delle consolazioni, prepariamoci subito alle tribolazioni. Se poi manda desolazioni, umiliamoci e rassegniamoci alla Sua volontà. Profitteremo più con le desolazioni che con le consolazioni.

+ In nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen.

La Trasfigurazione e l’Agonia nell’Orto

+ In nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen.

Durante la Sua vita terrena, Nostro Signore Gesù Cristo nascondeva la Sua divinità, rivelandola solo due volte: al Battesimo ed alla Trasfigurazione. Al secondo avvenimento leggiamo: ‘Fu trasfigurato davanti a loro; il Suo volto brillò come il sole e le Sue vesti divennero candide come la luce… una nube luminosa Lo avvolse con la sua ombra. Ed ecco una voce che diceva: ‘Questo è il Figlio Mio prediletto nel quale Mi sono compiaciuto.’ Qua la divinità del Signore si manifesta nella luce che è quella increata di Dio, ed, in modo trinitario, nella voce del Padre e nella nube dello Spirito Santo.

Il Signore manifesta la Sua divinità sul Monte Tabor, come più avanti manifesterà la Sua umanità nell’Orto di Getsemani. I testimoni sono gli stessi, i discepoli privilegiati: san Pietro, ed i fratelli san Giovanni e san Giacomo. Testimoniando gli avvenimenti sul Monte Tabor e nell’orto di Getsemani imparano in modo più potente e più eloquente che non con parole: ovvero che Gesù Cristo è allo stesso tempo Dio e Uomo, per poter prendere coraggio quando soffrirà, e speranza quando morirà.

Nell’Orto degli Ulivi, commenta Teofilatto, Gesù ‘porta con Sé solamente i tre discepoli che avevano contemplato la Sua gloria sul Monte Tabor, affinché coloro che videro la Sua potenza mirassero anche la Sua tristezza e scoprissero, in quella afflizione, che Egli era vero uomo. E poiché aveva assunto tutta quanta l’umanità, assunse anche i tratti caratteristici dell’uomo: il timore, l’angoscia, la naturale tristezza: è infatti logico che gli uomini vadano alla morte contro la propria volontà.’

Se il Signore manifesta la Sua divinità ai discepoli per rinforzarli quando Lui soffrirà, bisogna constatare che non saranno all’altezza di questo compito nel tempo della Passione. Perché quando li lascierà nell’Orto, chiedendoli di pregare e di vegliare con Lui, si addormenteranno, mentre Lui veglia, prega, e viene preso dalla tristezza, dall’angoscia, e dall’agonia, fino a venire bagnato di un sudore di sangue alla vista dei peccati che gli uomini avevano commessi e che commetterebbero fino alla fine dei tempi, e alla vista dei peccatori che non si sarebbero convertiti malgrado tutte le Sue sofferenze.

Va dai Suoi discepoli e li trova che dormono, e dice: ‘Così non siete stati capaci di vegliare neppure un’ora con me?’ Mi sono rivelato a voi, e voi sapete che sono Dio. Vi ho creati; Mi sono appena dato a voi nella santa Comunione; vi ho promesso il cielo. Adesso porto su di Me tutti i vostri peccati assieme a quelli dell’umanità intiera, e vi chiedo di vegliare un’ora con Me: non per soffrire con Me le pene che voi anche avete meritato, ma solo per tenerMi compagnia, come si farebbe ad un amico – e non siete stati capaci? Era troppo per voi?’

Non cerca una risposta, perché sa tutto, come san Pietro Glielo dirà, ma cerca di toccare la coscienza, di far chiedersi i discepoli : ‘Potevo vegliare? per ammettere che non lo avevano voluto e per fare il proponimento in seguito di vegliare per il futuro.

‘Non siete stati capaci di vegliare neppure un’ora con Me?’ E’ la domanda che risuona attraverso i secoli e viene rivolta anche a noi. Il Signore ha rivelato anche a noi la Sua divinità e la Sua umanità: non agli occhi del corpo, bensì a quelli dello spirito: nella Fede. Si è rivelato come Luce divina che abbiamo professato nel credo: lumen de lumine; si è rivelato come Figlio del Padre: ex Patre natum ante omia saecula; si è rivelato nel Suo rapporto allo Spirito Santo: qui ex Patre Filioque procedit; si è rivelato come uomo che ha sofferto e che è morto per noi: crucifixus etiam pro nobis, sub Pontio Pilato passus.

E noi, dunque, sapendo chi è Lui, abbiamo vegliato un’ora con Lui? – quell’ora della santa Messa domenicale, quando si immola per noi di nuovo: crucifixus etiam pro nobis. Abbiamo vegliato con Lui davanti al tabernacolo quando gli altri L’hanno abbandonato? Gli abbiamo tenuto compagnia là nel tabernacolo nel Suo stato di immolazione, come Corpo privo di sangue? Siamo stati capaci di vegliare con Lui per quell’ora che è la nostra vita povera e breve quaggiù, nel senso che ci ammonisce: ‘Vegliate perché non sapete nè il giorno nè l’ora’?, nel senso di condurre una buona vita nella Sua Grazia e nella Sua presenza, senza addormentarci nel peccato?

Lui ci pone questa domanda per toccare le nostra coscienza, affinché possiamo dire anche noi: ‘Sì, avrei potuto vegliare ma non l’ho fatto; adesso però voglio vegliare e non addormentarmi più, come i discepoli ai quali è tornato ben due volte il Signore e ha trovato che dormivano. Sì, voglio vegliare, assistere alla santa Messa con attenzione, andare a trovarLo in chiesa, meditare la Sua Passione e tutto ciò che ha sofferto per amore di noi. Amen.

+ In nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen

Mezzi di Perfezione secondo sant’Alfonso

+ In nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen.

In questo articolo citiamo i mezzi di perfezione consigliati da sant’Alfonso.

A. Gli Atti più Importanti:

1.) Fuga da ogni peccato volontario, benché veniale. Se per disgrazia commettiamo qualche difetto, guardiamoci bene dall’innervosirci con noi stessi. Piuttosto pentiamoci e facciamo atti di amore a Cristo, promettendogli, col Suo aiuto, di non peccare più;

2.) Desiderio di raggiungere la perfezione dei santi, e soffrire tutto per la gloria di Dio. Se non avvertiamo questo desiderio, preghiamo Gesù Cristo che ce lo conceda, altrimenti non faremo alcun passo sulla via della perfezione;

3.) Decisione seria di giungere alla perfezione. Chi non ha tale fermezza, risulta fragile e perdente nelle prove. La persona decisa, invece, con l’aiuto di Dio che non le manca mai, è sempre vincente;

4.) Due ore, o almeno una, di meditazione al giorno, e non lasciarla mai, senza una vera necessità, anche se avvertiamo sensi di noia, aridità, o altro;

5.) Comunione frequente;

6.) Mortificazioni esterne come digiuni. Per quello essenziale di avere un direttore spirituale, in quanto tali mortificazioni, fatte senza il consiglio del direttore, sono occasioni di vanagloria e di intralcio alla santità;

7.) Preghiera incessante a Gesù Cristo per tutte le nostre necessità, ricorrendo all’intercessione del nostro angelo custode, dei santi e particolarmente dell divina Madre Maria, Mediatrice di tutte le grazie. Dalla preghiera dipende ogni bene.

B. Petizioni di Preghiera

Bisogna anzitutto chiedere ogni giorno a Dio il dono della perseveranza nella Sua grazia. Questa grazia l’ottiene solo chi la chiede; cho non la chiede, non la ottiene e si danna;

Chiediamo a Lui il Suo santo amore ed una perfetta uniformità alla Sua volontà; ma chiediamo tutto e sempre per i meriti di Gesù Cristo.

Queste preghiere dobbiamo farle la mattina, appena svegli, e poi rinnovarle nella meditazione, durante la partecipazione all’ Eucarestia, nella visita al S.mo Sacramento, e la sera nell’esame di coscienza. Particolarmente nelle tentazioni dobbiamo chiedere aiuto a Dio di resistere, in modo particolare se sono contro la castità, invocando i Nomi di Gesù e Maria. Chi prega vince; chi non prega resta sconfitto.

C. Rimedi alle Tentazioni e Desolazioni di Spirito

Contro le tentzioni, due sono i rimedi: la rassegnazione e la preghiera. La rassegnazione perché, anche se le tentazioni non vengono da Dio, tuttavia è Lui che le permette per il nostro bene. E per moleste che siano, non ci dobbiamo innervosire ma piuttosto rassegnarci alla volontà di Dio che le permette, ed affidarci alla preghiera, l’arma più forte e sicura per vincere i nemici.

I cattivi pensieri, per quanto blasfemi e ripugnanti, non sono mai peccato, se vi manca il nostro deliberato consenso.

Nell’assalto delle tentazioni è di grande efficacia rinnovare il proposito di voler morire anziché offendere Dio; come anche segnarci col segno della croce, con l’acqua benedetta, e confidarle al confessore. Ma il rimedio più efficace resta la preghiera a nostro Signore Gesù Cristo ed alla Madonna.

Nelle desolazioni di spirito, poi, riconosciamoci meritevoli dell’ essere trattati così e rassegniamoci alla volontà di Dio, abbandonandoci tra le sue braccia.

Quando Dio ci offre delle consolazioni, prepariamoci subito alle tribolazioni. Se poi manda desolazioni, umiliamoci e rassegniamoci alla Sua volontà. Profitteremo più con le desolazioni che con le consolazioni.

+ In nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen.

Il Servo Iniquo

+ In nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen.

“Il regno di Dio è simile ad un Re che volle regolare i suoi conti con i suoi servitori…” Il Re, secondo i padri della Chiesa, è nostro Signore Gesù Cristo, vero Dio e vero Uomo; i servitori sono le intelligenze create, ovvero gli angeli e gli uomini.

“… si è presentato davanti a Lui un servitore che gli doveva 10 mille talenti, e poiché non aveva niente da pagare, il Re ordinò che si vendesse lui, con la sua moglie e suoi figli, e tutto i suoi beni, affinchè il debito fosse pagato.” Ora, il servitore è il peccatore caricato del debito immenso del peccato che si è contratto, e che non potrà mai pagare con le proprie forze; la sua moglie è la concupiscenza; i suoi figli sono le sue azioni colpevoli nati dal consenso della volontà alla concupiscenza; i suoi beni sono il suo corpo e la sua anima, che saranno consegnati assieme al tormento.

“… il servitore, gettandosi ai suoi piedi lo supplicava , dicendo: ‘Dammi del tempo e ti pagherò tutto.’ Allora il maestro di questo servitore, avendone misericordia, lo lasciò andare e gli remise il debito.” Il peccatore dunque cade in ginocchio in ispirito di pentimento e di umiltà e chiede la mitigazione della sentenza, ed il Signore gli perdona tutto il debito.

“… Il servitore invece, incontrando un suo debitore che gli chiede la stessa mitigazione per un debito, però, molto inferiore, lo prende alla gola, e, mettendosi a strangolarlo, gliela rifiuta e lo consegna alla prigione, fin quando non venga pagato tutto il debito.” L’azione di afferrare l’altro servitore significa conservare nell’anima il ricordo delle sue offese; strangolarlo significa non ascoltare la sua giustificazione; consegnarlo in prigione è non perdonarlo ma augurargli l’Inferno.

“… Gli altri servitori che sono rimasti male racconteranno tutto al maestro. Il maestro fà convocare il servitore, gli rimprovera che non ha avuto misericordia del suo compagno come il maestro ne ha avuto di lui, e lo consegna agli esecutori della giustizia, fin quando tutto non fosse pagato.” Gli altri servitori sono gli angeli che mantengono l’ordine della giustizia nell’universo. L’azione del maestro nel convocare il servitore significa la sua convocazone davanti a Dio alla morte, che esce in un giudizio definitivo e senza appello. Il maestro che è misericordioso rispetto al pentimento e l’umiltà, si mostra implacabile rispetto all’ingratitudine e l’odio. La sua sentenza viene accettata dal peccatore in silenzio, poiché all’ultimo giudizio non si può più scusarsi. Viene consegnato agli esecutori della giustizia che sono i demòni dell’Inferno e ci rimarrà fin quando non venga pagato tutto: ovvero per tutto l’eternità, perchè nell’Inferno non c’è più redenzione.

Dunque carissimi fedeli, bisogna meditare queste cose con attenzione: 10,000 talenti sono il nostro debito con il Signore che abbiamo incorso tramite il peccato. Il Signore ce l’ha cancellato molte volte. 10 centesimi è il debito dovuto a noi dal fratello che ci ha offeso. Questo debito bisogna cancellarlo, avendo misericordia di lui come Dio l’ha avuta per noi. Altrimenti come possiamo pregare: ‘Rimetti a noi i nostri debiti come noi rimettiamo ai nostri debitori’?

E se non lo facciamo, cosa ci attende? ‘Un giudizio senza misericordia per chi non ha avuto misericordia’ ci insegna san Giacomo; e chi augurerà l’Inferno ad un altro deve attendere l’Inferno per se stesso, come la giusta ricompensa della sua malvagità. “E così sarà il Signore il Padre Celeste nei vostri confronti se ciascuno di voi non perdonate il suo fratello dal cuore.”

Siamo quindi misericordiosi. Così non solo evitiamo il peccato, ma anche riceveremo grandi beni spirituali. San Giovanni Crisostomo scrive: ‘Le offese dei vostri nemici, benignemente sopportate, vi procureranno un gran numero di beni: la remissione dei peccati, la pace, la liberazione dalla tristezza. Se qualcuno ti ruba le tue riccheze, rendetene grazie, e avrai tesori infiniti; se preghi per chi ti ha fatto torto, diverrai simile al Salvatore. Tu dai poco e riceverai grandi beni. Come mai vuoi che a te si renda giustizia? come mai disputare e domandare questo e quello – affinché Dio non ti rimetta niente? Piuttosto soffrire tutto da parte di tutti, e non desiderare altro che il Signore Stesso per la tua ricompensa.’

Deo Gratias!

Il Fattore Disonesto

+ In nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen.

Il fattore disonesto viene lodato dal Signore, e ci dice: “Fatevi degli amici con le ricchezze dell’iniquità.” Ciò no significa però che bisogna imitare il fattore nell sua disonestà, bensì nella prudenza con la quale tratta i beni di questo mondo: soprattutto i soldi, perché se li usiamo con prudenza, ci aiuteranno a raggiungere il cielo. Il catechismo di Trento fà menzione particolare in questo riguardo delle elemosine date per le sante Messe da requiem.

Sant’Agostino scrive: Ci arricchiamo non tenendo le ricchezze, bensì dandole via. Questo significa che se diamo via le ricchezze materiali, ci arriccheremo con le vere ricchezze: quelle spirituali . Se diamo soldi per il bene dei defunti, ad esempio, Dio ce ne ricompenserà, ma anche i defunti pregheranno per noi, ed avremo pure quella ricompensa spirituale: Quando moriremo, loro “ci accoglieranno nelle corti eterne”, per citare le parole alla fine della parabola.

E’ vero che assistere e venire in aiuto ai nostri defunti o con la santa Messa o con la preghiera è un tipo di elemosina ottimo, non solo per la ricompensa che ci sarà data, ma anche per motivi di pietà verso i famigliari, soprattutto per i gentiori se sono morti: il quarto comandamento ci obbliga sempre: anche dopo la loro morte.

Le pene del Purgatorio sono forti. In un libro sulle anime defunte, si racconta che una madre si presentava alla figlia dopo la morte, e la rimproverò dicendo: “Ingrata figlia mia! Perché mai hai smesso così presto di pregare per tua madre che brucio nelle fiamme del Purgatorio?” Se i nostri cari defunti non sono più visibili , esistono sempre, e hanno diritto al nostro aiuto.


Aiutiamoli dunque con sante Messe, con preghiere, con le offerte delle fatiche di questa vita, per ridurre i loro debiti ed anche i nostri, e per portarli al più presto in Cielo, dove ci accoglieranno un giorno nelle corti eterne alla gloria di Dio Trino ed Uno. Amen.

+ In nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen.

Il Buon Samaritano e gli Ebrei

+ In Nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen.


Secondo i Padri della Chiesa, la parabola del buon Samaritano ci spiega tra l’altro come l’antica alleanza viene superata da quella nuova. Il sacerdote che ignora l’uomo ferito dai ladri rappresenta il sacrificio dell’antica alleanza; il levita invece ne rappresenta la legge: Né l’antico sacrificio né l’antica legge possono salvare l’uomo caduto, ma solo il Signore Stesso, nella persona del Buon Samaritano.

Prima della venuta di Nostro Signore Gesù Cristo, l’antico sacrificio, la legge, la circonsione, il sinagoga, e la Fede nella Messia potevano salvare l’uomo; ma dopo la Sua venuta non lo potevano più. Perché la nuova alleanza che Nostro Signore ha stabilita con la Sua Passione e con la Sua Morte è il vero mezzo di salvezza per tutti gli uomini, dalla quale l’antica alleanza è solo figura, ombra, ed anticipo, e dalla quale tira la sua intiera efficacità.


Nella lettera agli ebrei, scrive san Paolo: ‘Entrando nel mondo Cristo dice: ‘Tu non hai voluto né sacrificio né offerta; un corpo invece Mi hai preparato. Non hai gradito né olocausti né sacrifici per il peccato. Allora ho detto: Ecco Io vengo – poiché di Me sta scritto nel rotolo del libro – per fare, o Dio, la Tua volontà’. San Paolo commenta: ‘Così Egli abolisce il primo ordine di cose per stabilirne il secondo. Ed è appunto per quella volontà che noi siamo stati santificati, per mezzo dell’offerta del corpo di Gesù Cristo, fatta una volta per sempre.’

Con Nostro Signore Gesù Cristo, dunque:

-il sacrificio degli animali cede al sacrificio della Croce;
-la legge antica cede alla legge nuova;
-la circoncisione cede al battesimo;
-il sinagoga cede alla santa Chiesa cattolica;
-la Fede nel Messia che doveva venire cede alla Fede nel Messia che è venuto, ossia Nostro Signore Gesù Cristo Stesso.

E questo cambiamento avviene alla Sua Morte al momento preciso che il velo del Tempio viene squarciato.

Dopo quella scissione, gli ebrei non hanno più la Fede dunque, perché non hanno più la Fede nel Messia che è Gesù Cristo. Per questo, la santa Madre Chiesa prega per la loro conversione Venerdì santo (più chiaramente nel rito antico), come prega anche per la conversione degli eretici e dei pagani. Perché, come è scritto negli Atti degli Apostoli: ‘In nessun altro c’è salvezza, né sotto il cielo altro nome è stato dato agli uomini mediante il quale possiamo essere salvati.’

Solo nostro Signore Gesù Cristo può salvare l’uomo caduto, mettendolo sul Suo cavallo, ovvero mediante la Sua Sacratissima Umanità; curandolo coll’oleo e col vino dei sacramenti; portandolo all’albergo della Sua Santa Chiesa; affidandolo al maestro dell’alberrgo che è il papa; pagandogli i due denari che rappresentano, secondo vari santi Padri, la scienza e la Grazia; o i comandamenti della Carità verso Dio e verso il prossimo; oppure la promessa della vita presente e della vita futura, o, in modo ancor più sublime, l’amore recoproco tra Padre e Figlio nel seno del mistero insondabile della Santissima Trinità.

Bisogna dunque pregare per la conversione di tutti i non-cattolici all’unica vera Fede Cattolica; bisogna ringraziare il Buon Samaritano, il Dolcissimo Gesù, di averci guariti di tutti i nostri mali, di averci elargito la Fede, la Grazia, ed i comandamenti;di averci ospitati nella Sua Chiesa, di averci dato in fine la promessa della vita presente e futura, chiamandoci ad entrare nel mistero insondabile dell’amore reciproco ed eterno tra Padre e Figlio. Amen.

Sia lodato Gesù Cristo!

La Zizzania

+ In Nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen

Nella parabola della zizzania, sentiamo come un uomo aveva seminato del buon seme nel suo campo, ma mentre tutti dormivano, venne il suo nemico, seminò zizzanie in mezzo al grano, e se ne andò. Il padrone dice ai servi: ‘Lasciate che l’uno e l’altro crescano insieme fino alla mietitura ed al momento della mietitura dirò ai mietitori: ‘Cogliete prima la zizzania e legatela in fastelli per bruciarla; il grano invece riponetelo nel mio granaio.’

Nostro Signor Benedetto spiega la parabola ai discepoli in questi termini: Il seminatore è il Figlio dell’uomo; il campo è il mondo; il seme buono sono i figli del regno; la zizzania sono i figli del maligno; il nemico è il diavolo; la mietitura è la fine del mondo; i mietitori sono gli angeli; la fornace è l’Inferno; il granaio è il Paradiso.

Secondo l’interpretazione dei Padri della Chiesa, la parabola rappresenta la Chiesa dopo l’Ascensione del Signore. I servi sono i vescovi incaricati della coltivazione e della cura del campo fecondo che il Signore Stesso ha irrigato col sudore della fronte; il campo è il mondo intero che già dall’inizio dei tempi ha una certa conoscenza di Dio e della Sua legge, una conoscenza portata alla sua pienezza dal vangelo di Cristo.

Mentre i vescovi si addormentano di un sonno di negligenza, il diavolo semina la corruzione: ovvero lo scisma e l’eresia; il Signore lascia convivere i buoni ed i cattivi fino alla fine dei tempi, affinché i buoni si possano maturare con pazienza ed i cattivi si possano convertire. Poi invierà i Suoi angeli per separarli e per consegnarli o al Paradiso o in Inferno, dove i primi splenderanno come il sole nel regno del loro Padre; ed i secondi bruceranno per sempre con pianti e con stridore dei denti.

I Padri della Chiesa intendono questa parabola rispetto il male dello scisma e dell’eresia – come parecchie altre, ad esempio la parabola sulla casa edificata sulla roccia immune alle tempeste. Qualcuno forse dirà: ‘Non parliamo più in questi termini’ a cui risponderemmo: ‘Anche se quasi nessuno ne parla più, non significa che questi mali non esistano più.’ Anzi, lo scisma e l’eresia esistono sempre: crescono ed infestano sempre di più il campo fecondo della Chiesa.’

Ora, il bene della Fede è triplice:

  1. Ci dà la vita eterna già su questa terra, nel senso che ci dà la conoscenza certa di Dio, e l’unione stretta a Lui;
  2. Ci mostra con i suoi divini precetti la strada che conduce al Cielo;
  3. Ci aiuta a superare tutti gli ostacoli su questa strada che ci possano porre il mondo, la carne, ed il diavolo.

Il male dell’eresia invece si oppone ad ogni elemento di questo bene triplice, in quanto:

  1. Ci spoglia della vita eterna già su questa terra, spogliandoci della conoscenza certa di Dio e dell’unione stretta a Lui che ne segue;
  2. Ci svia dalla strada che conduce al Cielo;
  3. Ci moltiplica gli ostacoli su questa strada che ci impediscono a progredire verso la nostra meta.
    Colui che semina la ziazzania di questo male è davvero il diavolo stesso: inimicus fidei et hereticorum doctor secondo due suoi titoli nel grande esorcismo.

Bisogna ringraziare Dio ogni giorno per il dono della fede e bisogna evitare lo scisma (come il sedevacantismo) nonché l’eresia, come un veleno mortale. Bisogna pregare l’intercessione della Beatissima Vergine Maria per liberare la Santa Chiesa Cattolica di questi mali, Lei che, come preghiamo nel terzo notturno del comune delle Sue feste, ha distrutto tutte le eresie nel mondo intero:

‘Gaude, Maria Virgo, cunctas haereses sola interemisti in universo mundo.’
Amen.

Rendete a Cesare

+ In nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen.

‘Rendete a Cesare ciò che è di Cesare, ed a Dio ciò che è di Dio’: Rendete a Cesare , ovvero all’autorità secolare, il tributo, il servizio, e l’ubbedienza nelle cose secolari, purchè essa non richieda nulla che sia contrario ai vostri doveri verso Dio; ma date a Dio quella moneta che è di Dio, ovvero la vostra anima immortale: quella moneta appartiene a Lui, poiché Lui l’ha creata, e Lui l’ha redenta, poiché su di essa ha impresso il sigillo della Sua immagine e rassomiglianza, e su di essa ha scritto il nome del Figlio Divino: il nome di Cristiano. Che la fedeltà dovuta all’autorità secolare mai vi distolga dalla fedeltà dovuta a Dio!

‘Rendete a Cesare ciò che è di Cesare, ed a Dio ciò che è di Dio.’ Queste parole si possono intendere in un senso ancor più profondo dai Padri della Chiesa in rapporto ai beni terreni e quelli celesti. ‘Rendete a Cesare ciò che è di Cesare’: ovvero rendete al mondo ciò che è del mondo: le sue richezze passeggeri, i suoi beni ingannevoli, le sue gioie vane. Rendeteglieli: abbandonateglieli, poiché questo è ciò che il mondo stima e desidera. Non cercate nulla di quell’eredità di cui è geloso lui: per poter dare più completamente a Dio ciò che Lui vi richiede: la sottomissione, l’ubbedienza, l’amore.

La vostra ora suprema arriverà quando sarete felice di aver fatto quella divisione; sarà l’ora quando la vostra anima apparirà al tribunale di Dio. A quell’ora gli angeli che accompagnano il Giudice Divino saranno interrogati da Lui: ‘Di chi porta l’immagine ed il nome? Ha tenuto il sigillo della Mia rassomiglianza ed il nome di Cristiano che ho impresso su di lui il giorno del suo battesimo? Ha cancellato questa immagine per sostuirla con quella del demonio?’

Come risponderanno gli angeli? Che rispondino: ‘Signore, porta sempre la Vostra immagine! Il contatto con le cose terrene non l’ha cancellata! Si riconosce sempre l’impronta divina!’ e voi sentirete uscire dalla bocca del Giusto e Buon Giudice queste parole: ‘Rendete dunque a Dio ciò che è di Dio!’ e sarete posto tra il numero degli eletti come il caro e prezioso tesoro di Dio.  Deo gratias!

+ In nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen.

La pace

+ In nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen

Il Signore dice: ‘Io penso pensieri di pace e non di afflizione’ Queste parole esprimono il desiderio del Signore che noi siamo in pace. Perciò, se non siamo in pace: se soffriamo afflizione, tenebre, disturbi, o profondi affanni, non conduciamo ancora pienamente la vita che per noi il Signore vuole, e bisogna chiederci come possiamo vivere meglio secondo la Sua volontà in tutti gli aspetti della vita, o forse in un aspetto particolare. Perché quando viviamo secondo la Sua volontà siamo in pace, e più viviamo secondo la Sua volontà, più profonda è la pace.

Il Signore non vuole l’afflizione per noi, bensì la pace: il profeta Simeone dichiara che Iddio è venuto illuminare coloro che erano nelle tenebre e nell’ombra della morte, per indirizzare i nostri piedi sulla via della pace; similmente, la parola con la quale il Signore iniziò l’opera della Redenzione, tramite l’amabasciata dell’Arcangelo san Gabriele, era ‘Ave’, che significa Pace e Gioia; il coro degli angeli nel cielo alla natività del Signore cantavano ‘Pace agli uomini di buona volontà’. Così anche alla fine della vita terrena, alla veglia della Sua uscita da questo mondo, il Signore dice agli apostoli: ‘La pace vi lascio, la mia pace vi do; e, Risorto dalla morte, annunzia loro: ‘La pace sia con voi.’

Cos’è la pace? Sant’Agostino la definisce come ‘la tranquillità dell’ordine’. Un stato sarà in pace in se stesso quando è ordinato quando i rapporti tra i suoi membri sono ordinati; sarà in pace con altri stati quando i rapporti con essi sono ordinati; un’anima sarà in pace in se stessa quando è ordinata; e sarà in pace col mondo esterno, con Dio e col prossimo, quando agisce verso di loro in maniera ordinata.

Quando è ordinata un’anima? Quando è ben’ordinata? Quando le sue facoltà operano come devono. Le facoltà dell’anima sono la conoscenza, la volontà, e le facoltà dei sensi, ovvero (semplificando) le emozioni e la fantasia. La conoscenza opera come si deve quando conosce Dio e le cose nel loro rapporto a Dio: questa è la Fede; la volontà opera come deve quando vuole bene a Dio, quando ama Dio, e tutti gli uomini in Dio: questa è la Carità; le emozioni operano come devono quando sono controllate, regolate, moderate dalla ragione (ovvero dalla conoscenza e dalla volontà) cosicché la Carità, la speranza, la gioia si indirizzino ai beni veri: ciò che è davvero buono; e l’odio, la paura, la tristezza si indirizzino ai mali veri, come il peccato. Quando l’anima è ben ordinata in questo mondo, possiede la pace.

È troppo facile perdere la pace quando pecchiamo, quando ci sbagliamo, quando qualcuno ci ferisce, anche con solo una parola. Perdiamo la pace: siamo assaliti da disturbi, ansia, persino l’orrore. Perdiamo fiducia in Dio, ci allontaniamo da Lui. Bisogna quardare i tempi attuali anche come tempi di prova e di tentazione: tentazione di perdere la pace. Bisogna offrire la sofferenza a Dio, escludere i pensieri negativi dall’anima, riempendola piuttosto di atti di Fede, Speranza e di Carità verso Dio. Questo è vero anche nel caso del peccato: ci confessiamo, andiamo avanti serenamente col proponimento di ammigliorarci.

Nostro Signore Gesù Cristo, Principe della pace, ci dice: ‘Vi do la mia pace: non come il mondo dà: vi do io.’ Perché il mondo non dà la pace, ed il cuore del figlio del mondo non possiede la pace, perché le facoltà della sua anima non sono ordinate e non funzionano come si devono. La sua conoscenza conosce esclusivamente le cose di questo mondo: conosce le cose terrene; la sua volontà vuole e ama solo il proprio benessere; le sue passioni (staccate dalla ragione e dalla volontà) tumultuano, cercando le proprie gratificazioni e tormentandolo. Il figlio del mondo cerca la gioia e la felicità costanti, e trova l’afflizione; l’uomo di Dio cerca la volontà del Signore sempre e trova la pace: il suo premio in terra è la pace, che è la condizione della più grande gioia e felicità possibili quaggiù, ma che nasce sopratutto dal combattimento, dalla pazienza, dalla negazione di se stessi, e dal portare la croce; il suo premio in cielo sarà la Beatitudine eterna.

Chiediamo la grazie di acquistare queste benedizioni per l’intercessione della Madonna, Regina della pace, mentre indirizziamo i nostri piedi sulla via della pace.  Amen.

+ In nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen

Le tre vie

+ In nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen.

Ci sono tre tappe della vita spirituale, le ‘tre vie’, che vengono percorse dalle anime che corrispondono generosamente alla grazia di Dio. La prima è quella dei principianti, che si chiama la via purgativa. Abbiamo da fare con una purgazione della persona che sta lottando contro il peccato mortale, come l’impurezza, l’ubbriachezza, la mancanza alla santa Messa domenicale, la bestemmia. La preghiera dei principianti è caratteristicamente vocale.

La seconda via si chiama la via degli avanzati, o la via illuminativa. Il cristiano che cammina su questa via, lotta contro il peccato veniale, come la maldicenza, l’impazienza, la rabbia. La sua preghiera è piuttosto quella del cuore, dei sentimenti.

La terza via, la via dei perfetti, o la via unitiva, è quella di coloro che tendono alla perfezione. Si tratta meno della lotta contro il peccato che della perfezione delle virtù con la grazia di Dio. La preghiera di questa tappa è piuttosto astratta, contemplativa.

Si può trovare la radice di questa distinzione triplice nella sacra Scrittura. Nel salmo 33 leggiamo: ‘Schiva il male, fa il bene, e cerca la pace’: declina a malo, fac bonum, inquire pacem. La prima parte del versetto esprime la via purgativa, la tappa spirituale dove l’anima si purifica; la seconda parte esprime la via illuminativa, dove l’anima comincia a praticare le virtù; la terza esprime la via unitiva, dove la pace viene trovata nell’intima unione con Dio.

La stessa distinzione la vediamo nella parola del Signore: ‘Chi vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno, e mi segua’ (Lc. 9.23). Vediamo di nuovo la pratica della purgazione, della virtù, e poi l’unione.

Anche nella tradizione patristica si trova la dottrina di un cammino tripartito; di timore, di speranza, e di carità: San Clemente di Alessandria descrive la tappa di timore come quella dove si astiene dal male e si mortificano le passioni; la tappa della speranza, dove si fa il bene e pratica le virtù; la tappa di carità, dove si fa il bene per amore di Dio. San Cassiano, parlando delle ascensioni dell’anima a Dio, scrive similmente del timore come proprio dei schiavi; della speranza come propria dei mercenari, e della carità come propria dei figli di Dio.

A causa della diversità di ogni anima da ogni altra, della diversità di carità di ognuna per Dio, e della diversità delle circostanze della vita, ne segue che anche il cammino di ogni anima verso Dio sarà diverso. Comunque, questi cammini, purché godano di una determinata durata, si possono sempre caratterizzare second le tre tappe, o tre vie. Padre Tanquerey, nella sua opera classica, il ‘Compendio di teologia ascetica e mistica’, ci fornisce la ragione profonda di questa distinzione.

In primo luogo bisogna purificare l’anima dalle colpe passate per poter giungere  alla purezza di cuore necessaria per poter vedere Dio: ‘Beati i puri di cuore, perché loro vedranno Dio.’ Questa purificazione comporta una sincera ed austera pentenza, una lotta vigorosa e costante contro il peccato e le tendenze cattive; comporta la preghiera e gli esercizi spirituali per fortificare la volontà e rassodare le virtù: ecco la via purgativa.

Poi l’anima si deve ornare sempre di più delle virtù cristiane positive, imitando il Signore in tutto: rendendosi docile a Lui, unendosi a Lui con l’affetto, nella seguela cottidiana e nella preghiera, lasciando le tenebre del passato e uscendo in fine nella luce del giorno, la luce di Dio: ecco la via illuminativa.

‘Viene poi il momento in cui l’anima, purificata dalle colpe, indocilita e fortificata, pronta alle ispirazioni dello Spirito Santo, non aspira più che all’intima unione con Dio: Lo cerca da per tutto… si attacca a Lui e gode della Sua presenza. La meditazione diviene affettuosa e prolungato sguardo su Dio e sulle cose divine sotto l’influsso… dei doni dello Spirito Santo’: ecco la via unitiva.

Deo Gratias!

Mezzi di santità

+ In nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen.

Come iniziare il cammino della santità? Innanzitutto bisogna volerci santificare. Quando uno chiese a san Tommaso se fosse possibile santificarsi, rispose:’ Sì, se vuoi.’ La volontà è l’unica cosa che sta alla nostra completa disposizione: la possiamo utilizzare per fare o il bene o il male, o talvolta il bene e talvolta il male: spetta a noi.

Dio ci comanda di amare con tutto il nostro essere, e ci spiega anche come amare, dicendo: ‘Chi mi ama tiene i miei comandamenti.’ I comandamenti comprendono tutta la vita spirituale: che si può esprimere con questo principio: evitare il male (ovvero il peccato) e fare il bene. In questo discorso vogliamo offrire un quadro molto generale della vita spirituale sotto l’aspetto di questo principio.

  1. a) Evitare il peccato

Il peccato, sopratutto quello mortale, dev’essere il nostro primo bersaglio, non dimenticando che vincere un peccato abituale può superare le forze umane e dunque richiede ricorso alla grazia di Dio con preghiere costanti e fervorose. La confessione regolare è di importanza capitale per contrastare il peccato. La Chiesa ci comanda di confessarci ‘una volta all’anno’, ma questo specifica solo il minimo indispensabile: meglio sarebbe ogni mese, o per persone che stanno cominciando un cammino spirituale, o già avanzati su esso, ogni settimana. La confessione ci presta la grazia per poter combattere il peccato: luce per poter vedere la volontà di Dio e lo stato dell’anima, e la forza per poter agire di maniera decisa e forte.

Per evitare meglio il peccato, bisogna conoscerne la fonte. La fonte del peccato è triplice e consiste nei tre nemici dell’uomo: il mondo, la carne, ed il demonio.

Il mondo è il luogo dove operano i nemici di Gesù Cristo, anche al loro insaputo, che vogliono sedurre i Suoi amici o terrorizzarli per associarsi a loro. I figli del mondo si manifestano sopratutto nei mass media e nelle cattive compagnie.

La carne significa le tre concupiscenze della natura caduta: quella degli occhi – l’avarizia e la curiosità; quella della carne – la gola e l’impurezza; e quella della propria eccellenza – la superbia.

Il demonio, invece, utilizza gli altri nemici e le nostre debolezze morali o psichiche per farci cadere nel peccato.

  1. b) Fare il bene

Per fare il bene, bisogna coltivare le virtù. La virtù teologale della fede: approfondendo la conoscenza di Dio e della rivelazione, nonche la santa fiducia in Lui; la speranza, fissando lo sguardo sul nostro fine ultimo, il cielo, e vedendo tutte le cose di questa vita alla luce della fede; la Carità ovvero l’amore del battezzato in istato di Grazia che consiste nel compiere atti indirizzati a Dio o al prossimo per Dio e per amor di Dio: e più amore gli atti contengono, più porteranno alla santità e più glorificheranno Dio.

Le quattro virtù cardinali sono essenziali per la perfezione morale: la giustizia negli affari economici e nei rapporti con altrui: corrispondendo ad ognuno il suo debito; la temperanza, ovvero delle emozioni nel controllare eccessi nell’ira, nella paura, nella tristezza – secondo il proprio temperamento; e poi la castità che è la temperanza nell’ambito carnale; la virtù della fortezza, parlando ad esempio senza rispetto umano, e finalmente la prudenza che si rapporta alle azioni, che comprende le deliberazioni prima di agire ed il chiedere consigli a coloro che abbiano maggior esperienza o saggezza di noi.

La preghiera è essenziale per ogni tappa della vita spirituale: la preghiera di mattina, offrendo la giornata a Dio e chiedendo il Suo aiuto per fare la Sua divina volontà e per essere protetti contro ogni male; la preghiera di sera, ringraziandoLo ed esaminando la coscienza, avendo ricorso sempre anche alla Madonna ed al nostro angelo custode; le preghiere prima e dopo i pasti, l’angelus alle sei di matina, a mezzogiorno, e alle sei di sera; il santo Rosario ed una meditazione ogni giorno per almeno 10 minuti, idealmente sul vangelo.

Ecco dunque un quadro molto generale della vita spirituale che, preso sul serio, costituisce il cammino verso il cielo: il cammino di perfezione e di santità.

+ In nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen.

Natura e possibilità della santità

+ In nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen.

‘Siate santi perché Io sono santo’ dice il Signore quattro volte nel libro Levitico; e Nostro Signore Gesù Cristo ci dice nel vangelo di san Matteo (5): ‘Siate voi dunque perfetti, come è perfetto il Padre vostro celeste.’ La santità e la perfezione sono di fatti la stessa cosa, perché la santità è nient’altro che la perfezione dell’amore. Questa perfezione viene descritta nel vangelo di san Marco (12) con le parole seguenti: ‘Amerai dunque il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua mente, e con tutta la tua forza… ed il prossimo tuo come te stesso.’

Qualcuno può obiettare però che non si può divenire perfetti: è perfetto solo Dio. Rispondiamo dicendo che ci sono due tipi di perfezione: la perfezione di Dio che è una perfezione assoluta, e la perfezione dell’uomo che è una perfezione partecipata, ovvero alla perfezione di Dio; ed una perfezione relativa, ovvero alla natura umana. Questa perfezione partecipata e relativa è possibile per noi, anche se non proviene da noi, bensì da Dio solo, tramite la Grazia.

Un’altra obiezione eventuale all’idea di una chiamata alla santità è di ordine più personale: ‘Io divenire santo? Impossibile! Non sarei mai io un san Francesco, un sant’Antonio, una santa Caterina da Siena, una santa Gemma Galgani! Sono debile, mediocre, non sarebbe mai possible.’ Bisogna rispondere che Dio non chiede mai l’impossibile: se ci chiede di divenire santi, dev’essere possibile – ma come? Troviamone la soluzione nella parabola dei talenti (Mt. 25) di cui citiamo adesso solo una parte: ‘… colui che aveva ricevuto cinque talenti ne presentò altri cinque, dicendo: ‘Signore, mi hai consegnato cinque talenti, ecco ne ho gaudagnato altri cinque. Bene, servo buono e fedele, gli disse il suo padrone, sei stato fedele nel poco, ti darò autorità su molto; prende parte alla gioia del tuo padrone. Presentatosi poi colui che aveva ricevuto due talenti, disse: Signore mi hai consegnato due talenti; vedi, ne ho guadagnati altri due. Bene, servo buono e fedele, gli rispose il padrone, sei stato fedele in poco, ti darò autorità su molto; prende parte alla gioia del tuo padrone…’

Intendiamo questa parabola dunque con rapporto alla santità. I talenti sono la capacità per essa: colui che ne riceve cinque, ne riceve una capacità grande; colui che ne riceve due, riceve una capacità meno grande; chi invece ne riceve solo uno riceve una capacità ancor meno grande. Il Signore dà ad ognuno una determinata capacità per la santità, e vuole che ognuno se ne serva pienamente: ciò che avevano fatto i servi che avevano ricevuto i cinque ed i due talenti. Il fatto che ognuno di loro si è servito pienamente della capacità – il fatto che la sua santità correspose alla sua capacità – si manifesta nella quantità di talenti che acquistava: colui che ne aveva ricevuti cinque, acquistava ancora cinque; colui che ne aveva ricevuti due, acquistava ancora due. Il fatto che ognuno di loro divenne santo si manifesta nelle parole identiche che indirizzava a loro il padrone: ‘Bene, servo buono e fedele, sei stato fedele nel poco, ti darò autorità su molto; prende parte alla gioia del tuo padrone.’ Il servo cattivo invece, come si ricorderà, non si serviva della capacità sua e quindi venne dannato.

I grandi santi, quelli canonizzati, ne hanno ricevuto una grande capacità, e l’hanno esercitata pienamente; noi invece che ne abbiamo ricevuto una capacità meno grande, dobbiamo comunque esercitarla pienamente, che con la Grazia di Dio e con l’intercessione della Madonna e di tutti i santi sicuramente lo faremo alla Gloria della santissima, una ed indivisa Trinità. Amen. Deo gratias!

I misteri gaudiosi

+ In nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen.

Meditiamo i misteri gaudiosi del santo Rosario, ispirati dai testi di sant’ Alfonso de’ Liguori presi dal suo libro ‘Le glorie di Maria.’

  1. L’Annunziazione

Fu rivelato ad una certa monaca che l’Arcangelo Gabriele era venuto portando la sua grande ambasciata proprio mentre la Madonna stava sospirando e pregando Iddio con maggior desiderio di mandare al mondo un Redentore.

L’Arcangelo entra e dice: ‘Ave, piena di Grazia, il Signore è con te.’ Come ha reagito a questo saluto del tutto straordinario? Leggiamo che la Madonna fu turbata a queste parole  –  non turbata alla vista di un angelo, o ad un avvenimento così eccelso, bensì  turbata alle sue parole – ovvero alle lodi così eccelse espresso in esse. Come ha detto a santa Brigida: ‘Non volevo la mia lode, ma solo quella del Creatore e del Datore di ogni bene: Volevo solo che Lui fosse lodato e benedetto.’

Qua, dunque, la Madonna rivela la sua profonda umiltà, e quando l’Arcangelo spiega il progetto di Dio per lei, rivela inoltre la sua perfetta obbedienza: ‘Ecco l’ancella del Signore, facciasi di me secondo la tua parola.’

E appena proferite quelle parole, subito il Figlio di Dio divenne anche il figlio di Maria. ‘O fiat potente’ esclama san Tommaso da Villanova, ‘o fiat efficace, o fiat sopra ogni altro venerando! perché cogli altri fiat Iddio creò la luce, il cielo, la terra, ma con questo fiat di Maria, un Dio divenne uomo come noi.’

  1. La Visitazione

La scena cambia e ci troviamo in viaggio con la Beatissima Vergine Maria verso la casa della sua cugina, santa Elisabetta. La santa carità la spinge ad andare frettolosamente nella montagna per essere vicina a sua cugina nel tempo della sua gravidanza.

‘Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo seno’ esclama santa Elisabetta. La salute con lode, come lo aveva fatto l’Angelo. Ma la santissima Vergine ci rivela di nuovo la sua profonda umiltà: Non trattenendosi su queste grandi lodi, lei rivolge la nostra attenzione piuttosto su dio stesso, Creatore e Datore di queste grandi cose: ‘Magnificat anima mea Dominum: l’anima mia magnifica il Signore, ed il mio spirito esulta in Dio, mio Salvatore…’

Ora, questa Visitazione di Maria (come spiega sant’Alfonso) porta un cumulo di grazie alla casa di Elisabetta: Lei fu ripiena dello Spirito santo ed il suo figlio, san Giovanni Battista, viene santificato già nel suo grembo. Queste grazie, che sono le prime che sappiamo essersi fatte sulla terra dal Verbo Incarnato, sono un modello per tutte le altre, in quanto passano attraverso la santissima Vergine Maria: perché tutte le grazie che abbiamo ricevute e riceveremo passano attraverso le mani immaculate di nostra Regina Maria, Mediatrice di tutte le grazie.

  1. La Natività

Ecco la santissima Vergine accanto al suo Figlio Divino, adesso manifestato agli uomini. I pastori hanno raccontato alla Sacra Famiglia come un angelo gi aveva proclamato che: ‘Oggi vi è nato nella città di Davide un Salvatore che è il Cristo Signore’, e come poi una moltitudine dell’esercito celeste era apparsa che lodava Dio e diceva: ‘Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini di buona volontà.’

Questa volta non sono rapportate parole della Madonna: leggiamo solo che: ‘Maria da parte sua serbava tutte queste cose, meditandole nel suo cuore.’ La vediamo piuttosto assorta nella contemplazione delle cose di Do, di Dio che adesso lei può tenere nelle sue braccia immaculate; la vediamo come la possiamo immaginare prima della Annunziazione e della Visitazione: in silenzio, raccolta, pregando, tutta la sua bell’anima concentrate e protesa verso Dio, il suo Salvatore.

Prendiamo questa figura serena della Madonna assorta nella contemplazione come modello della propria preghiera.

 

  1. L’Offerta di Gesù nel Tempio

Nel quarto e nel quinto mistero subentrano elementi di sofferenza nei misteri gaudiosi, anticipando le sofferenze che mediteremo nei misteri dolorosi: di fatti solo i misteri gloriosi sono esclusivamente gaudiosi.

Le sofferenze di questa Madre così buona e così devota non tarderanno, dunque, a venire. Ecco nel quarto mistero il profeta Simeone nel Tempio, che dopo aver ricevuto il divin Figlio tra le braccia, le predice che quel suo Figlio dev’essere ‘il segno di contradizione e di persecuzione degli uomini, e che perciò la spada del dolore deve trapassarle l’anima.

La stessa Vergine disse a santa Matilda che a questo avviso del profeta Simeone, tutta la sua allegria se le convertita in mestizia, sapendo adesso in particolare e più distintamente le pene e la morte spietate che aspettavano il povero Figlio.

Rivelò la Madonna a santa Brigida che, vivendo in terra, non aveva infatti un’ora in cui questo dolore alla sofferenza del suo Figlio, non la trafiggesse: ‘NutrendoLo, pensavo al fiele ed all’aceto; rivolgendoLo nelle fascie, pensavo alle funi con le quali sarebbe legato portando la croce su cui sarebbe crocifisso; e Lo figuravo morto, quando Lo vedevo addormentato. Ed ogni volta che Lo vestivo della Sua tunica, pensavo che un giorno Gli sarebbe stata strappata da sopra per crocifiggerLo; e quando miravo quelle Sue sacre mani e piedi, pensavo ai chiodi che L’avevano da trafiggere: I miei occhi’, disse a santa Brigida, ‘si riempivano di lagrime, ed il mio cuore fu straziato dal dolore.’

  1. Lo Smarrimento di Gesù

Nel quinto mistero meditiamo lo smarrimento di Gesù.

Sant’Alfonso scrive: ‘Chi nasce cieco poco sente la pena d’essere privo di vedere la luce del giorno, ma a chi un tempo ha avuto gli occhi e goduta la luce, troppo duro poi si rende con la cecità il vedersene privo.’ E così era per la santissima Vergine Maria che, avendo conosciuto Dio, che è la luce increata, nella persona del Suo Figlio, ne venne privata.

Origine dice che per l’amore che questa santissima Madre portava al suo Figlio, patì più in questa perdita di Gesù, che qualunque martire non abbia sofferto di dolore nella sua morte. La sofferenza era particolarmente acuta, dice un pio commentatore, in quanto la sua umiltà le faceva credere essere indegna di starGli più vicino ad assisterGli in questa terra ed avere cura di un tanto tesoro – pensava forse che lei abbia commessa qualche negligenza per cui Egli l’aveva lasciata.

Sant’Alfonso conclude: ‘Infelice e misere veramente sono quell’anime che hanno perso Dio. Se pianse Maria la lontananza del Figlio per tre giorni, quanto dovrebbero piangere i peccatori che hanno persa la divina grazia, a cui dice Dio: ‘Voi non siete il mio popolo, ed io non sarò Vostro Dio’ (Osea).

Carissimi fedeli, se qualcuno che legge queste parole non sia nello stato di grazia, che provi a ricuperarla quanto prima; altrimenti preghiamo di non perderla mai, assieme alla dolce presenza del Signore nel cuore. Ma ancor più preghiamo di avvicinarci sempre di più a Dio, secondo l’esempio della santissima Vergine Maria: la nostra Amica, la nostra Madre, la nostra Regina. Amen.

San Pio X

+ In nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen.

San Pio X, nato a Riese nell’anno 1835, provenne da una modestissima famiglia rurale. Studiò nel seminario di Padova con risultati eccellenti, ed operava per quasi 20 anni poi nelle parrocchie di Tombolo e di Salzano. A quarant’anni fu chiamato dalla curia di Treviso dove diviene direttore spirituale del seminario e canonico della cattedrale. A 50 anni fu elevato all’episcopato di Mantova – una prova che la santa Sede considerava disperata, ma dove uscì di nuovo vincitore. A quasi 60 anni diviene cardinal patriarca di Venezia, riuscendo a guadagnare i cuori di tutti: dal popolo più semplice, alla nobiltà, ai politici, ed ai visitatori illustri della città. A quasi 70 anni entrò nel conclave con la fama di uomo di alto profilo spirituale, che non aveva cercato nessuna promozione e non era mai fallito in nessuna prova. Da papa è noto tra l’altro per la sua riforma del diritto canonico, della musica sacra, della curia romana, dei seminari, e dell’Azione cattolica; anche per la sua promozione della santa Comunione frequente e di quella per i fanciulli.

Ci sarebbe molto da dire sulle sue virtù sacerdotali e personali: la mortificazione, le quattro ore di sonno che non oltrepassava sin dalla gioventù, l’evitare l’ozio, la rigorosa povertà, la dedicazione al lavoro ed agli studi, la carità verso i fedeli a lui affidati, i miracoli frequentissimi che accompagnavano le sue udienze papali; ma vogliamo volgere lo sguardo adesso su due suoi compimenti particolari: ovvero sulla promozione della fede e sul conflitto con la Francia. Questi compimenti si realizzano su due campi di importanza sempre più attuale: sul campo dottrinale dell’insegnamento ecclesiastico, e sul campo politico del rapporto tra Chiesa e stato.

1. La promozione della fede

Durante l’intera vita sacerdotale, considerava l’insegnamento del catechismo come il primo suo dovere: Già da cappellano di Tombolo iniziò a scrivere istruzioni catechetiche; da parroco di Salzano scrisse un primo catechismo; da vescovo di Mantova lavorava per giungere ad un catechismo unico e definitivo; da papa promulgò il celebre catechismo che porta il suo nome e che si può considerare addirittura come coronamento della sua missione papale.

Quest’opera si caratterizza per la sua precisione, chiarezza, e per la trattazione di tutte le verità della fede senza alcuna diluizione. Scritta in forma di domanda e risposta, si può illustrare con i seguenti esempi: “Chi adunque vi ha messo a questo mondo? Iddio; A qual fine vi ha messo a questo mondo? perché avessi a conoscerlo, ad amarlo, a servirlo in questa vita, e poi andarlo a godere in paradiso… Chi è Dio? il Creatore, il Padrone del cielo e della terra; perché dite Creatore del cielo e della terra? Perché Dio è colui che ha fatto il cielo e la terra.”

Se san Pio X combatteva per la fede in modo positivo con la catechesi, combatteva in modo negativo coll’attacco contro il modernismo che definiva: “la sintesi di tutte le eresie.” Particolarmente da notare in questa battaglia sono l’enciclica Pascendi, il Sillabo degli errori ed il sodalitium, l’associazione da lui fondata per indagare e per sradicare l’eresia nascente.

La voce del santo che si sente attraverso le condanne del modernismo è nient’altro che quella della Chiesa stessa, che anatematizza da sempre tutto ciò che possa minacciare, relativizzare o contaminare l’assolutezza e la purezza della fede – anche se la mente moderna, ottenebrata, come lo è, dalla concupiscenza e dal soggettivismo sembrerebbe non comprendere più il fatto che se una cosa è vera, il suo contrario dev’essere falso.

2. Il conflitto con la Francia

La politica anticattolica del governa francese era cominciata durante gli ultimi anni di papa Leone XIII e culminò nella legge di denuncia del Concordato e di separazione nell’anno 1905. La legge prevedeva che la gestione della cose del culto, a cominciare dal possesso degli edifici sacri, passasse ai laici sotto vigilanza prefettizia.

Rifiutarsi di accettare la legge significava perdere tutto il patrimonio immobiliare ed affrontare realmente l’ignoto materialmente e spiritualmente. La maggior parte dei vescovi francesi fu favorevole a cedere ed a trattare col governo, ma l’ultima parola spettava al papa. La decisione gli costava notti di insonnia e di profonda angoscia, ma poi, con l’enciclica Gravissimo officii del 1906, oppose un rifiuto totale.

Nelle parole del padre Dal Gal dalla biografia di san Pio X, su cui ci basiamo per questa sezione: ‘La sua condotta fu di una chiarezza cristallina. Messo da parte ogni sotterfugio politico, egli considerò solo l’aspetto religioso della questione. Cioè il fatto che le associazioni, sovvertendo la costituzione della Chiesa, avrebbero “violato i sacri diritti che tengono alla vita stessa della Chiesa”. Perciò le respinse. Davanti al problema di principio, non cercò alcun compromesso e scelse la strada più impervia. Disse di aver anteposto il “bene” della Chiesa ai suoi “beni”; ed affermò: “Meglio la libertà con la povertà che la ricchezza con la schiavitù.” A che gli chiedeva come avrebbe potuto esercitare il suo ministero l’arcivescovo di Parigi senza casa, stipendio, e senza chiesa, rispose: “Si può sempre nominare arcivescovo un frate francescano, obbligato dalla regola di vivere in assolta povertà”. Con il segretario, che gli riportava le obiezioni dei suoi critici, disse: “Io mi consiglio davanti al Crocifisso e poi prendo le mie decisioni.”

Nella fermezza del papa c’era il desiderio di far ritrovare alla Chiesa la sua libertà, pur pagandola il prezzo più alto. La sua decisione, ed il discorso che pronunciò in seguito ai 14 vescovi da lui nominati per le sedi vescovili vacanti della Francia, sono tra gli atti i più alti della rettitudine e della semplicità cristiana del suo spirito, che non conosce compromesso quando si tratta di decidere tra il vero ed il falso, il bene ed il male.

*

Preghiamo san Pio X che la gerarchia ed il clero tornino alla proclamazione chiara, pura ed incontaminata dell’unica, vera fede; che la Chiesa torni a collaborare intimamente con lo Stato per proteggere tutti i cittadini dalla falsità dottrinale e morale affinché gerarchia, clero, Chiesa, e Stato possano efficacemente compiere il fine ultimo per cui esistono: la salvezza e la santificazione di tutti gli uomini.

San Pio X,  prega per noi! Amen.

San Giovanni della Croce

+ In nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen.

San Giovanni della Croce è dottore della Chiesa, che tra tutti i dottori della Chiesa ha saputo analizzare ed esporre in modo sintetico la vita spirituale dai suoi inizi col combattimento contro il peccato mortale, fino alle vette piu sublimi della mistica. È vissuto in Spagna tra 1542 e 1591, figlio di una famiglia povera, divenuto sacerdote per ubbidienza, ed insieme a santa Teresa d’Avila, responsabile della ripresa del rigore originario dell’ordine carmelitano: un lavoro che gli è costato disprezzo, bastonati, imprigionamento, e flagellazione.

La sua dottrina, espressa in poesia mistica e poi in commentari, che è riconosciuta dalla Chiesa cattolica propria come sua, si può formulare in questo modo: La vita sana dell’uomo consiste nel suo amore per Dio: l’unica cosa necessario in assoluto. Per raggiungere questo amore in modo pieno, occorre una disciplina ascetica costante, sia esteriore che interiore.

Quanto al lato esteriore, scrive (Salita I, 13.3) che la persona “abbia un costante desiderio di imitare Cristo in ogni azione, conformandosi con la propria vita a Lui. Deve meditare su di Lui per saperLo imitare e per potersi comportare in tutte le azioni come Lui si comporterebbe.”

Quanto al lato interiore, la persona deve raccogliere tutte le facolta mentali in Dio: la conoscenza si deve riempire con la Fede; la volontà con la Carita; mentre nell memoria tutti i ricordi si devono sostituire con la speranza; le emozioni si devono sottometere alle cose di Dio; l’immaginazione e la fantasia devono tacere; ed i sensi non devono cercare le proprie soddisfazioni, bensì essere utilizzati solo per compiere i doveri della persona, offrendo a Dio i piaceri che ne possono conseguire, piuttosto che non afferarli in modo egoista a se stessi. In una parola: Amare Dio, e spogliarsi per Dio di tutto ciò che non è Dio. In questa maniera la persona comprenderà tutto alla luce di Dio: riferendo a Lui quanto di vero, di buono, e di bello c’è nelle cose e nelle persone.

Una parte essenziale della vita interiore dell’uomo costituisce naturalmente la preghiera. Per primo c’è la preghiera vocale privata o liturgica, tanto in luogo solitario che in assemblea, davanti ad un quadro, oppure dinanzi a Cristo Crocifisso.

Secondo, c’è la preghiera meditativa che è in genere piu faticosa, perche è attività discorsiva, ovvero un riflettere, un ragionare alla ricerca di “qualche notizia ed amore di Dio” (Salita II, 14. 2). La persona si deve applicare parecchio per acquistare l’abitudine della meditazione, ovvero una certa facilità e piacevolezza a meditare: perciò deve scegliere tempi e luoghi nei quali i sensi e lo spirito sono meno ostacolati nell’elevarsi a Dio.

In terzo luogo c’è la contemplazione “acquisita” a cui conducono la preghiera vocale e la meditazione: ossia quell’attitudine interiore in cui la mente si pone in una conoscenza di Dio indistinta, pacifica, riposante, che suscita in essa diletto, amore, sapienza (Salita II,14.2). Chiaramente più si toglie dall’ambiente terreno con le pratiche di mortificazione (già enumerate), più si può attaccare a Dio nella contemplazione – e, come spiega il santo, quando una si stacca dal creato, si attacca per forza a Dio, in quanto il vuoto di per se stesso non esiste affatto.

Osserviamo che questa dottrina è tutto il contrario dell’ideale dell’uomo di oggi che conosce, vuole, e ricorda solo il mondo puramente naturale e che si lascia condurre dalle emozioni, dalla fantasia, dai sensi e dai piaceri verso tutto ciò che gli possa apparire buono.

Osserviamo altrettanto che questa dottrina, che consiste nell’annichilmento dell’io e della glorificazione di Dio, è tutto il contrario della filosofia moderna con la sua glorificazione dell’io ed con il suo rigetto di Dio.

Per dare un’idea degli scritti di san Giovanni, vogliamo adesso considerare brevemente la prima metà della sua poesia ‘La notte oscura’ che serve come testo da lui commentato nella sua opera ‘Salita del Monte Carmelo.’ Si tratta dell’anima, che in una notte oscura esce da una casa addormentata per una scala segreta, guidata dalla luce del suo cuore per incontrare qualcuno fuori della casa.

Lui spiega che la notte oscura è lo stato di purificazione dell’anima nei sensi e nell’intelletto; la casa è addormentata inquanto l’anima non è più disturbata dagli appetiti; la scala segreta e la luce del cuore sono la fede che è la sua guida verso l’unione a Dio nella contemplazione in questa vita, e nella beatitudine eterna nella prossima.

‘In una notte oscura, con ansie di amore tutta infiammata (o felice ventura!) – uscii, né fui notata, stando già la mia casa addormentata. Nella felice notte segretamente, senza esser veduta, senza nulla vedere, senza altra guida o luce fuor di quella che in cuore mi riluce. Questa mi conduceva, più sicura che il sol del mezzogiorno, laddove mi attendeva Chi ben conoscevo, e dove nessun altro si vedeva…’

Carissimi amici, è la mia speranza che qualcuno, sentendo questi pochi elementi, questi singoli frammenti, dell’armonia celeste della dottrina del santo, si proporrà di metterla in pratica nella vita. La vita è breve e ci aspetta l’eternità. Passiamo dunque questi nostri brevi anni sulla terra solo preparandoci per raggiungere quel grado di gloria e di beatitudine che Dio ci apparecchia da sempre.

San Giovanni della Croce ci insegna di dare ‘tutto per Tutto’: di dare tutto il finito, il passeggiero, e transitorio di questo mondo per ricevere l’Infinito, l’Immutabile, e l’Eterno del cielo: di dare tutta la nostra vita a Lui, per ricevere da Lui tutta la Sua vita divina: all gloria del Suo Santo Nome e per la nostra eterna felicità. Amen.

L’Assunzione

+ In nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen.

 I   La Dormizione

In questa meditazione vogliamo considerare il carattere della morte della Beatissima Vergine Maria.

In virtù dell’eccellenza e dell’eccelsa santità della Beatissima Vergine Maria ella è morta come uno che si addormenta. Perciò la sua morte viene descritta più precisamente come ‘dormizione’. Se si chiedesse perché non avrebbe potuto evitare completamente la morte, la risposta deve essere perché Iddio voleva la Madonna tutta simile a Gesù, essendo morto il Figlio, conveniva che ancor morisse la Madre. Ora questa morte fu caratterizzata da due tratti: dalla sua dolcezza e dalla sua felicità.

A questo riguardo insegna sant’Alfonso che di sono 3 cose rendono amara la morte: ‘Lattaccamento alla terra, il rimorso dei peccati, l’incertezza della salute.’ Mentre la Beatissima Vergine ‘morì tutta distaccata, come sempre visse, dai beni mondani; morì con somma pace di coscienza; morì con certezza della gloria eterna.’

 

  1. Il Suo Distacco dalle Cose di questa terra.

Ebbene nell’Eccclestiasticus si legge (41): ‘O morte quanto è amaro il ricordo di te agli uomini che hanno la pace nei loro possessi.’ Similmente il Signore ci dice che è difficile che un uomo ricco si salvi – un uomo che ha messo la fiducia nelle cose di questo mondo. Mentre la morte dei santi non è amara, bensì dolce, amabile e preziosa, perché muoiono distaccati dal mondo: muoiono nel Signore: ‘Beati i morti che muoiono nel Signore’ (Apc. 14.13).

Ora la Madonna fu l’esemplare il più insigne di questo spirito di distacco. Sant’Alfonso scrive: ‘Sin dall’età di 3 anni lasciò i suoi parenti ed andò a rinserrarsi nel Tempio per attendere solamente a Dio, distaccato dalle robe, contentandosi di vivere sempre povera, sostendandosi colle fatiche delle mani, distaccata dagli onori, ed amando la vita umile ed abietta – benché le toccasse l’onor di regina per ragione della discendenza che traeva dai re d’Israele. Rivelò la stessa Vergine a sant’ Elisabetta benedettina, che quando fu lasciata nel Tempio dai suoi parenti stabilì nel cuore di non aver altro padre, e non amar altro bene, che Dio.’

L’introito della Festa dell’Assunzione cita la frase seguente del libro dell’Apocalisse: ‘Un grande segno apparve in cielo: una donna vestita del sole, con la luna sotto i piedi’ (12.1). Quest’immagine viene attribuita dalla teologia alla Beatissima Vergine Maria assunta nella gloria. Sant’Alfonso scrive: ‘Per la luna spiegano gli interpreti significarsi i beni di questa terra che sono caduchi e mancano come manca la luna. Tutti questi beni la Madonna non li ebbe mai nel cuore ma sempre li disprezzò e le tenne sotto i piedi.’

Un’altra immagine della sacra Scrittura che ci indica il suo distacco da questo mondo è quella della tortorella nella frase: ‘La voce della tortorella si udì nella nostra campagna’ (Cant. 2. 12), perché la tortorella è un uccello solitario. Una terza immagine è quella della persona ‘che ascende per lo deserto’ nello stesso Cantico dei cantici (3.6). Ruperto di Deutz commenta: ‘In tale guisa ascendeste per lo deserto perché avevate un’anima solitaria.’ In breve, la Madonna era distaccata dalle cose di questo mondo e quindi la sua morte era dolce.

 

  1. la Sua Pace di Coscienza

Per citare ancora sant’Alfonso: ‘I peccati fatti nella vita sono quei vermi che maggiomente affligono e rodono il cuore dei poveri peccatori moribondi, i quali, dovendo allora tra breve presentarsi al divino tribunale, si vedono circondati in quel punto dai loro peccati che lo spaventano e lor gridano intorno al dir di san Bernardo: ‘Siamo opera tua. Non ti abbandoniamo.’ Si può aggiungere che questo vale soprattutto per i peccati non perdonati, ma anche per i peccati perdonati, perché anche questi affligono la coscienza col rimorso, col rimorso per tempo perso o persino per tutta una vita sprecata, per occasioni mancate per amare Dio e progredire nella santità. Tutti questi peccati divengono vermi, come anche la coscienza stessa diviene verme all’ora della morte, e per i dannati diviene il verme che non muore mai.

La Santissima Vergine Maria invece non poteva essere afflitta da alcun rimorso di coscienza perché era completamente libera dal peccato: sia originale che attuale. Quanto al peccato originale, citiamo la Bolla Ineffabilis di beato Pio IX: ‘Dal primo istante della sua concezione per mezzo di una grazia ed un privilegio singolare di Dio Onnipotente, in virtù dei meriti di Cristo Gesù Salvatore del genere umano, fu preservata immune da ogni macchia del peccato originale.’ Quanto invece al peccato attuale, il concilio di Trento dichiara: la Chiesa mantiene che la Beata Vergine, mediante un privilegio speciale di Dio, poteva evitare tutti peccati, anche veniali, durante tutta la sua vita (S. VI c. 23). Così la frase del cantico dei cantici si può applicare a le: ‘Tutta bella sei tu, o mia diletta, e macchia non è in te.’

Sant’Alfonso commenta: ‘Dacchè ebbe l’uso di ragione cioè dal primo istante della sua immaolata concezione nell’utero di sant’Anna, sin d’allora cominciò con tutte le sue forze ad amare il suo Dio, e così seguì a far semore più avanzandosi nelle perfezione e nell’amore in tutta la sua vita. Tutti i suoi pensieri, i desideri, gli affetti non furono che di Dio: non disse parola, non fece moto, non diede occhiata, non respirò, che non fosse per Dio e per la sua gloria, senza mai storcere un passo, senza mai distaccarsi un momento dall’amore divino.’ Il santo descrive come tutti questi atti le si fecero intorno al suo beato letto e, consolandola, dicevano: Siamo opere delle tue mani: non ti abbandoniamo.’

 

  1. La Sicurezza della Madonna sull’Eterna Salute

I peccatori che muoiono con dubbio della loro salute temono con un grande spavento di passare ad una morte eterna, mentre i santi si rallegrano nella loro grande speranza di andare a possedere Iddio nel cielo. ‘San Lorenzo Giustiniani, stando vicino alla morte e sentendo i suoi famigliari che piangevano intorno disse: ‘Andate altrove a piangere: se volete stare qui con me, avete da godere come godo io in vedermi aprire la porta del paradiso ed unirmi col mio Dio.’ Similmente san Luigi Gonzaga , quando ricevette le notizie della morte, esclamò: ‘Mi sono rallegrato quando mi hanno detto: andremo nella casa di Dio: ‘Laetatus sum in his quae dicta sunt mihi: in domum Dei ibimus.’

Eppure gli altri santi non avevano la certezza della divina grazia, ne della propria santità, come ne era la Madonna, che già dalla parola dell’Arcangelo Gabriele aveva somma certeza di esssere l’oggetto del sommo favore di Dio: Ave Gratia plena, Dominus tecum, Benedicta tu in mulieiribus… invenisti gratiam apud Deum.’ Quanta era la sua certezza della propria salvezza, tanta era la sua allegria alle notizie della morte, del suo transito imminente al possesso pieno e definitivo di Dio.

 

  1. La Causa della Morte della Beatissima Vergine Maria

Sant’ Alfonso argomenta che il principio della sua vita era il principio della sua morte. Il principio della sua vita, e dunque anche della sua morte, era l’amore divino.

Bernardino da Bustis scrive che la Madonna, per privilegio singolare non conceduto ad alcun altro santo, amava e stava amando sempre attualmente Dio in ogni istante della sua vita e con tanto ardore che dice san Bernardo esservi stato necessario un continuo miracolo acciocchè ella avesse potuto vivere in mezzo a tante fiamme.

Della Madonna fu già detto dei sacri cantici: ‘Chi è costei che ascende per il deserto quasi colonna di fumo dagli aromati di mirra, e d’incenso, e di ogni polvere e profumerie’ (Cant. 3.6): Un pio autore commenta: ‘La sua totale mortificazione figurata nella mirra, le sue ferventi orazioni significate nell’incenso, e tutte le sante sue virtù unite alla sua perfetta carità verso Dio, accendevano in lei un incendio così grande, che la sua bell’anima, tutta sacrificata e consumata dal divino amore, s’alzava continuamente a Dio qual verghetta di fumo, perché internamente consumata in olocausto dall’incendio dell’amor divino, da lei vampava soavissima fragranza.’

Sant’Alfonso conclude: ‘Qual visse l’amante Vergine, tale morì. Siccome l’amore divino le die la vita, così le die la morte, morendo ella come comunemente dicono i dottori ed i santi Padri, non di altra infermità che di puro amore, dicendo sant’Ildefonso che Maria o non doveva morire, o solo morire di amore. Amen.

 

                        II   L’Assunzione

 In salmo 132.8 si legge: ‘Su via, o Signore, al vostro riposo, voi e l’arca della vostra santificazione.’ I teologi applicano questo passo non solo all’introduzione dell’arca del testamento nella città di Davide, ma anche all’ Ascensione del Signore e all’Assunzione della Beatissima Vergine Maria in cielo. Ella era l’arca della nuova allenaza, l’arca della santificazione del Signore nel senso che ella fu santificato dalla presenza del Signore nel suo seno: benedetta fra le donne perché benedetto il frutto del suo seno Gesù. A questo riguardo scrive san Bernardo: ‘Ascenda per la Vostra santissima Madre, Maria, già santificata nel concepirVi.’

Quanto alla pompa con la quale la beatissima Vergine entrasse in cielo, era più nobile e gloriosa di quella dell’arca del testamento, di quella con la quale il profeta Elia fu trasportato in cielo, eppure di quella con la quale il Redentore Stesso era asceso in cielo: Ovvero l’arca del testamento fu accompagnata dal re Davide e da tutta la casa d’Israele; il profeta Elia fu accompagnato da un gruppo di angeli (in forma di un cocchio di fuoco, come vogliono gli interpreti); il Redentore fu accompagnato da tutti gli angeli; mentre per accompagnare la Beatissima Vergine Maria (dice l’abbate Roberto) venne il Medesimo Re del Cielo con tutta la Sua corte celeste: San Bernardino da Siena, san Pier Damiani, e sant’Anselmo condividono questo sentimento – sant’Anselmo dicendo che il Redentore volle ascendere al cielo prima che vi pervenisse la Madre, non solo per apparecchiarle il trono in quella reggia, ma ancora per far più gloriosa la sua entrata nel paradiso, con accompagnarla Egli Stesso, unito a tutti gli spiriti beati.

L’abbate Guerico fa così parlare su ciò il Verbo Divino: ‘Io per dar gloria a mio Padre discesi dal cielo a terra; ma poi per rendere onore alla Madre mia, ascesi di nuovo in paradiso per poter poi venire ad incontrarla ed accompagnarla con la mia presenza al paradiso’. Per questo san Pier Damiani chiama l’Assunzione più gloriosa dell’Ascensione.

 Per avere un’intuizione sull’incontro tra il Signore e la Beatissima Vergine durante l’Assunzione ci possiamo volgere con sant’Alfonso al cantico dei cantici: questo libro della sacra Scrittura esprime la carità tra Cristo e la Sua Sposa immacolata la Chiesa, più particolarmente le anime perfette, ma soprattutto la Sua Vergine Madre, la stessa Immacolata.

Il passo seguente si presta in modo speciale all’assunzione: ‘Su, via, amica mia, colomba mia, bella mia, e vieni. L’inverno è passato e recesso.’ L’inverno si riferisce secondo questa interpretazione alle sofferenze della Beatissima Vergine sulla terra: alle sofferenze di colei che era e chè è la Regina dei martiri, e che ha sofferto più di tutti gli uomini insieme dall’inizio fino alla fine dei tempi. Sant’Alfonso commenta: ‘Su, Madre mia cara, mia bella e pura colomba, lascia questa valle di pianti, dove hai tanto sofferto per amor mio. Vieni coll’anima e col corpo a godere il premio della tua santa vita: se hai molto patito in terra, assai maggiore è la gloria che io ti ho preparata in cielo.’

Un altro passo citato da sant’Alfonso è il seguente: ‘Vieni da Libano, sponsa mia, vieni da Libano, vieni è sarai incoronata.’ Lui commenta: ‘Vieni… a sedere a me vicino, vieni a ricevere la corona che ti darò di Regina dell’Universo.’ Deo gratias.

 

La Gloria dell’Assunta, parte 1

‘Se mente umana, asserisce san Bernardo, ‘non può arrivare a capire la gloria immensa che Dio ha preparato in cielo a coloro che in terra L’hanno amato, come ci avvisò l’Apostolo, chi mai giungerà a comprendere quale goria abbia apparecchiata alla Sua diletta madre che L’ha partorito, che in terra L’ha amato più di tutti gli uomini; anzi, fin dal primo istante ch’ella fu creata, L’amava più di tutti gli uomini e di tutti gli angeli uniti insieme.’ Sant’Alfonso osserva: ‘Ha ragione dunque la santa Chiesa di cantare alla festa dell’Assunzione (avendo la Madonna amato Dio più di tutti gli angeli) che: ‘ella sia stata sopra tutti gli angeli sublimata in cielo.’

In verità la Santa Vergine si è esaltata sopra degli angeli in modo che (secondo l’abate Guglielmo) lei non vede sopra di se collocato altri che il suo Figlio, Che è l’Unigenito di Dio, o in modo che (secondo Giovanni Gersone) costituisce in cielo una gerarchia a parte, la più sublime di tutte, e la seconda dopo Dio. Sant’Antonio suggiunge che siccome senza paragone differisce la padrona dai servi, così senza paragone è maggiore la gloria di Maria di quella degli angeli. In fatti questa verità è gia espressa nella frase di salmo 44: ‘La regina sta alla sua destra’ che sant’Atanasio spiega dicendo: ‘Maria venne collocata alla destra di Dio.’

La posizione preminente della Santissima Vergine si capisce quando si considerano le sue opere. Se è certo che Dio rimunera secondo i meriti, siccome scrisse l’Apostolo: ‘Rende a ciascuno secondo le sue opere’ certamente, dice san Tommaso, la Vergine superò il merito di tutti gli uomini ed gli angeli, e dunque dovette esser innalzata sopra tutti gli ordini celesti. In somma soggiunge san Bernardo: ‘Si misuri la grazia singolare che ella acquistò in terra; e quindi si misuri la gloria singolare che ella ottenne in cielo.’

Secondo l’espressione di la Colombière, la gloria della Madonna fu una gloria piena, una gloria compiuta, a differenza di quella che hanno in cielo gli altri santi. Perché gli altri santi avrebbero potuto meritare una gloria più grande se avessero servito ed amato Iddio con maggior fedeltà, e benché non desiderino in cielo niente più di quel che godono, nulladimeno in fatti avrebbero di che desiderare. Mentre la Beatissima Vergine Maria desidera niente e niente ha ché desiderare. Non ha mai peccato, non ha mai perso, neanche offuscato, la divina grazia. ‘Non fece azione che non meritasse, non disse parola, non ebbe pensiero, non die respiro che non lo dirigesse alla maggior gloria di Dio; in somma, non mai si raffreddò o si fermò un momento di correre a Dio, niente mai perdeva per sua negligenza, cosicché sempre corrispose alla grazie con tutte le sue forze ed amò Dio quanto Lo poteva amare.

Sant’Alfonso osserva che ogni santo, corrispondendo alla grazia ricevuta, si è reso eccellente in qualche virtù: chi nell’apostolato, chi nella penitenza, chi nella sofferenza, chi nella contemplazione; che percio la Chiesa dice di ciascuno nel testo della santa Messa: ‘Nessuno si trovò che lo pareggiasse’ (non est inventus similis illi), ma ‘La Santissima Vergine, essendo stata ripiena di tutte le grazie, fu sublime più di ciascun santo in ogni sorta di virtù: fu apostola degli apostoli, regina dei martiri mentre pati piu di tutti, fu gonfaloniera delle vergini, l’esempio dei coniugati, unì in se una perfetta innocenza con una perfetta mortificazone; unì in somma nel suo cuore tutte le virtu piu eroiche che avesse mai praticate alcun santo. Per cui di lei fu detto: ‘Alla tua destra si sta la regina in manto d’oro, con ogni varietà d’ornamenti’ poichè, come dice un pio autore: ‘Tutte le grazie, i pregi, i meriti degli altri santi tutti si trovano congregati in Maria.’

 

La Gloria dell’Assunta, parte 2

In quest’ultima predica all’onore dell’Assunta ricordiamo la dottrina dell’Assunzione, sempre insegnata dalla santa Madre Chiesa, come fu definita dogmaticamente da papa Pio XII nell’anno 1950 con le parole seguenti: ‘Sull’autorita di Nostro Signore Gesu Cristo, dei beati apostoli Pietro e Paolo e sulla nostra, proncunciamo, dichiariamo, e definiamo come dogma divinamente rivelato che l’Immacolata Madre di Dio, Maria sempre Vergine, quando il corso della sua vita terrena era compiuto, fu assunta corpo ed anima nella gloria del cielo.’

Ebbene, la gloria della Beatissima Vergine Maria è tale che ella viene paragonata col sole. San Basilio dice: ‘Siccome lo splendore del sole eccede lo splendore di tutte le stelle insieme unite, così la gloria della divina Madre supera quella di tutti i beati.’ San Pier Damiani aggiunge che: ‘Siccome la luce delle stelle e della luna scomparisce quasi queste più non vi siano al comparire del sole, così la Madonna oscura talmente nella gloria lo splendore degli uomini e degli angeli, che in cielo questi quasi non compariscono.’

Quindi asserisce san Bernardino da Siena con san Bernardo che i beati partecipano in parte della divina gloria, ma la Vergine in certo modo ne è stata talmente arricchita che, pur una creatura, non possa piu unirsi a Dio di quel che e unita Maria. San Bernardo asserisce: ‘Con ragione si presenta Maria ammentata di sole [nell’immagine dell’Apocalisse], lei che ha penetrato l’abisso della divina sapienza così che (quanto la condizione di creatura lo permette) appare come immersa nella luce inaccessibile.’ Sant’Alberto Magno dice inoltre che la nostra regina contempla Dio molto da vicino ed incomparabilmente piu che tutti gli altri spiriti celesti.

In fine, il sole che è la Beatissima Vergine Maria dà luce e gioia ai beati. San Bernardino scrive che siccome gli altri pianeti sono illuminati dal sole, così tutti i beati ricevono luce e gaudio maggiore dalla vista di Maria, e che la Madre di Dio, salendo al cielo, ha accresciuto il gaudio a tutti i suoi abitanti. San Pier Damiani dice che i beati non hanno maggior gloria in cielo, dopo Dio, che di godere la vista di questa bellissima regina, e san Bonaventura scrive: ‘Dopo Dio la maggiore nostra gloria ed il maggio nostro gaudio ci viene da le.’ Deo gratias!

+ In nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen.

Le passioni nell’economia di salvezza

+ In nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen.

Nel suo commentario su Salmo 9, sant’Agostino pone le passioni nel contesto dell’economia di salvezza. In un’anima ancor imperfetta il demonio regna, almeno fino a un certo qual grado. Prima di ricevere la Grazia santificante col battesimo, o dopo averla persa tramite il peccato mortale, regna supremo; ma continua a regnare in modo meno potente, anche quando l’anima pecca in modo solo veniale, o manca alla perfezione tramite le proprie debolezze. In collaborazione col primo uomo, il demonio ha creato, per così dire, le tre concupiscenze, quelle degli occhi, della carne, e della propria eccellenza, cioè la superbia. Inoltre ha disordinato le passioni, mediante le quali operano le concupiscenze, fonti di ogni peccato. Le concupiscenze vengono intese come i suoi satelliti, le passioni disordinate come il suo popolo, e l’anima come una città.

Le lance del nemico sono venute meno per sempre; e hai distrutto le città. Ma [si tratta di] quelle città sulle quali regna il diavolo, ove tengono luogo di senato consigli ingannatori e fraudolenti, alla cui autorità si accompagnano come sicari e ministri gli uffici di ciascuno dei membri: gli occhi per la curiosità, le orecchie per la lascivia o per le altre cose che siano volentieri ascoltate con spirito deteriore, le mani per la rapina o per qualsiasi altra scelleratezza o delitto, e le restanti membra [sottoposte] per scopi analoghi all’autorità tirannica, ossia che militano sotto ai perversi consigli.

‘La plebe di questa città è costituita da tutti i sentimenti sensuali e dai moti turbolenti dell’animo, che sollevano nell’uomo rivolte quotidiane. Infatti laddove si trova un re, un senato, dei ministri, un popolo, là esiste una città. E non vi sarebbero tali elementi nelle città malvagie, se prima essi non fossero nei singoli uomini, che sono come gli elementi e i germi delle città. Ha distrutto queste città [il Signore] quando ne ha scacciato il principe del quale è stato detto: il principe di questo secolo è stato gettato fuori. Dalla parola della verità sono devastati questi regni, tramortiti i malvagi consigli, i disonesti sentimenti domati, le funzioni delle membra e dei sensi assoggettate e poste al servizio della giustizia e delle buone opere; in modo che ormai, come dice l’Apostolo, non regni il peccato nel nostro corpo mortale e le altre cose che dice in questo passo. Allora l’anima è pacificata, e l’uomo è avviato alla conquista della pace e della beatitudine.’

La città viene conquistata dunque quando la parola della verità, la Fede, ci entra, portando con sé la conoscenza necessaria per superare le tre concupiscenze, ed il disordine delle passioni. In conseguenza la città, cioè l’anima, si sottometterà al regno pacifico del vero bene, del Sommo ed Infinito Bene che è Dio: Lo amerà e si rallegrerà in Lui.

Mi allieterò ed esulterò in Te. Non più in questo mondo, non nel piacere del contatto tra i corpi, non nei sapori del palato e della lingua, non nella soavità dei profumi, non nella giocondità dei suoni che svaniscono, non nelle forme multicolori dei corpi, non nella vanità delle lodi umane, non nel matrimonio o nei figli che morranno, non nelle superfluità delle ricchezze temporali, non nella investigazione di questo mondo, sia per le cose che si estendono nello spazio, sia per quelle che si svolgono nel succedersi del tempo; ma mi allieterò ed esulterò in Te, cioè nei segreti del Figlio, da cui si è impressa in noi la luce del Tuo volto, o Signore. Infatti li nasconderai – dice – nel segreto del Tuo volto.’ Amen.

+ In nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen.

Le passioni e i loro veri oggetti

 + In nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen.

Nell’ultimo articolo abbiamo meditato sull’oggetto della passione fondamentale cioè dell’amore. Ora guarderemo brevemente l’oggetto delle passioni individuali. Ricordiamo che le passioni si rapportano a ciò che sperimentiamo come bene o male: al bene o al male apparenti.

Amore, desiderio, gioia, speranza, disperazione si rapportano al bene apparente. L’amore si rapporta all’unione col bene: costituisce desiderio quando il bene è assente, e gioia quando è presente. La speranza sorge quando il bene è difficilmente raggiungibile; audacia quando mi viene la forza per raggiungerlo; disperazione quando è impossibile raggiungerlo.

Odio, ira, paura, avversione, tristezza si rapportano, invece, al male apparente. Odio, ira, e tristezza si rapportano al male presente: l’odio e l’ira ci si oppongono; la tristezza lo accetta. Paura e avversione si rapportano al male assente: la paura anticipa la sua venuta; l’avversione ci prepara per schivarlo.

Il nostro compito, come abbiamo già visto, è di indirizzare le passioni ai loro fini giusti: ossia di indirizzarle non al bene o male apparenti, bensì al bene o al male veri.

L’oggetto vero ed adeguato dell’amore, come abbiamo detto, è Dio Stesso, Nostro Signore Gesù Cristo, ‘il più tenero, il più generoso, il più devoto degli amici’. A Lui bisogna dare il cuore nelle meditazioni quotidiane, nel ringraziamento dopo la santa Comunione, nella pratica costante della presenza di Dio. In secondo luogo l’oggetto deve essere il bene principale che cerchiamo con la vita, che potrebbe essere la salvezza e la santificazione delle anime, anche delle nostre tramite il proprio lavoro su se stessi; l’esaltazione della santa Madre Chiesa, il bene della patria, dei figli che educhiamo e delle famiglie che sosteniamo, inoltre le amicizie buone e sovrannaturali. Questi beni bisogna dunque amare, godere, desiderare, sperare con incrollabile fiducia in Dio, e cercare con audacia: malgrado i costi e tutti i pericoli possibili.

La disperazione, secondo la sintesi di padre Tanquerey da cui citiamo in questo paragrafo, si trasforma in giusta diffidenza di sè, fondata sulla conoscenza della propria peccaminosità e debolezza, ma temperata dalla fiducia in Dio… L’odio e l’avversione si volgono al peccato, al vizio, ed a tutto ciò che vi conduce, come si legge in salmo 118: Iniquitatem odio habui. La paura, invece di essere deprimente sentimento che fiacca l’anima, si trasforma per il cristiano in fonte di energia: teme il peccato e l’inferno, santo timore che lo arma di coraggio contro il male; teme soprattutto Dio, premuroso di non offenderLo, e sprezza l’umano rispetto. La tristezza, piuttosto che fiaccarci come la paura o far scendere in malinconia, passa in dolce rassegnazione dinanzi alle prove che sono per il cristiano seme della gloria, oppure in tenera compassione per il Nostro Signore Gesù, paziente ed offeso a alle anime afflitte. L’ira, invece di toglierci la padronanza di noi stessi, si fa giusto e sano sdegno che ci rende più forti contro il male.

Dopo aver ordinato le passioni, non veniamo più scossi qua e là dai venti e dai flutti delle vicissitudini di questa vita: dalle circostanze esterne e dalle debolezze interne. La sensibilità sarà stata indirizzata al vero bene: a Dio Stesso ed ai beni del creato nel loro giusto orientamento a Lui. Le energie della vita emozionale e passionale saranno state indirizzate ai propri fini; molto peccato, molta imperfezione, molta sofferenza si possono ormai evitare; molto bene si può compiere. Con la mia collaborazione Dio ‘ha ordinato la Carità nella mia anima’: la Carità che mi è divenuta principio guida e mi condurrà in pace alla patria celeste. Amen.

+ In nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen.

Le Passioni ed il vero bene

+ In nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen.

Abbiamo guardato il male che ci possono recare le passioni disordinate. Una differenza essenziale tra i figli del mondo ed i cattolici che vogliono vivere piamente e devotamente in questo mondo, è che i primi vivono secondo le loro passioni, e i secondi si sforzano a controllarle ed a moderarle. I primi vanno dove li conducono la passione dell’amore (quella passione più fondamentale) e poi le altre passioni che la seguono. Le speranze e le gioie, il coraggio (o audacia) e la disperazione si rapportano all’acquisto, al possesso, o all’impossibilità di acquistare, quella cosa o persona che sperimentano come bene; la paura, l’ira, l’avversione, la tristezza si rapportano, invece, a ciò che sperimentano come male – nello stesso mondo apparente creato dai loro sentimenti. Bramano di essere appagati non ordinando e superando le passioni, bensì indulgendole: il ciò serve, però, come abbiamo già fatto notare, solo per aumentarle.

Il cattolico serio, invece, cerca di ordinare le passioni in modo giusto: assoggettando le passioni (o emozioni), vale a dire il cuore, all’intelletto ed alla volontà: all’intelletto illuminato dalla Ragione e dalla Fede, ed alla volontà accesa dalla Carità; indirizzando il cuore verso il vero bene, e staccandolo dal vero male: così che in fin fine sperimenterà come bene ciò che è davvero bene, e come male ciò che è davvero male; ed in fine si appagherà e raggiungerà la pace – la pace, secondo sant’Agostino, essendo nient’altro che la tranquillità dell’ordine.

Ora il vero bene, nel senso definitivo del termine, è Dio Stesso a la Sua Gloria. Se oriento la vita e tutti i miei sforzi a questo bene, dunque, se scelgo Lui come il vero bene personale, se Egli è il mio tesoro: presso Lui sarà anche il mio cuore: l’orientamento del cuore, tutto l’orientamento della sensibilità e dell’amore.

Ci sono diversi modi per cercare Dio e la Sua Gloria: il primo, che è anche quello diretto, è salvare le anime tramite l’azione e la preghiera; un secondo modo (indiretto) è amare il prossimo in altre maniere, tramite il servizio; un terzo modo (anche indiretto) è impegnarmi in un lavoro utile in istato di Grazia, con l’intento di glorificare Dio.

Prendiamo l’esempio di una madre che si prende cura del figlio. Ovviamente il cuore materno è fisso sul bene del figlio: sulla salute, sull’educazione intellettuale, morale, e sopratutto spirituale, affinché il figlio possa crescere come cristiano esemplare: responsabile, buono, felice, ed in grado di salvare e santificare l’anima.

E’ facile vedere che quando il cuore materno sarà fisso sul vero bene del figlio – vale a dire che l’amore viene indirizzato nel modo giusto verso il figlio – che tutte le altre passioni o emozioni si ordineranno corrispondentemente: le speranze, l’audacia, la paura, l’ira staranno tutte nella giusta relazione al bene ultimo del figlio; e che tutte queste emozioni (e il tipo di educazione che motivano ed informano) staranno nella giusta relazione a Dio ed alla Sua Gloria.

Quanto è importante, dunque, per un genitore, anzi per qualsiasi persona in qualsiasi stato di vita o in qualsiasi occupazione, fissare il cuore sul bene che lui è obbligato a compiere, e sul bene ultimo che questo bene deve promuovere: cioè la Gloria di Dio. Quanti frutti potrà produrre e quanto tempo dureranno, se l’intelletto, la volontà, le emozioni mirano a questi fini: quanti frutti in questa vita, e quanti nell’eternità! Amen.

+ In nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen.

Le passioni: il male che ci recano

+ In nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen.

Stiamo guardando il male che ci possono recare le passioni sregolate. A parte del peccato come tale ci sono cinque modi in cui danneggiano l’anima.

a) La logorano

‘Le passioni’, dice san Giovanni della Croce, ‘sono come i bambini irrequieti che non si riesce mai a contentare; chiedono alla madre ora questo ora quello, e non sono mai soddisfatti. Come si affatica e si stanca che scava cercando il tesoro che non trova, così si affatica e si stanca l’anima a conseguir ciò che gli appetiti le chiedono; e quand’anche finalmente lo consegua, pure sempre si stanca perché non resta mai perfettamente paga… è come il febbricitante che non sta mai bene finchè non gli passi la febbre e che ogni momento si sente crescere la sete…’

b) Tormentano l’anima

Abbiamo visto che le passioni, come bambini viziati, chiedono soddisfazione senza tregua, non stancandosi mai: anzi, più vengono appagate, più chiedono. Inoltre, più vive sono, più intenso il dolore che ci recano. Se la coscienza rilutta di concedergli la vittoria, si impazientiscono: rinnovano gli assalti sulla volontà per farla cedere ai sempre rinascenti desideri. Così logorano ed affliggono l’anima che ‘ne è desolata, agitata, turbata, come i flutti del vento.’

c) Accecano l’anima

Da moti impetuosi, corrono precipitosamente verso quegli oggetti che sentono di essere buoni, senza consultare la ragione, lasciandosi guidare unicamente dall’inclinazione o dal diletto. La passione dell’amore in particolare è orientata a possedere il suo oggetto – sia una cosa sia una persona – hic et nunc: qua e subito, senza badare né alla moralità dell’atto, né alle conseguenze. ‘La qual cosa’, dice padre Tanquerey, ‘turbando l’animo, tende a falsare il giudizio e ad oscurare la retta ragione; l’appetito sensitivo è cieco per natura, e se l’anima lo prende come guida, diviene cieca anch’essa; in cambio di lasciarsi guidare dal dovere, si lascia abbagliare dal momentaneo diletto.’

La forza della passione sregolata, offuscando la ragione ed il retto giudizio, li acceca nel suo impeto sfrenato verso il bene desiderato, come equi galoppanti, sollevando la polvere della strada, accecano gli occhi dell’auriga e finiscono per lanciare lui e se stessi nel fossato.

d) Infiacchiscono la volontà

‘Sballottata in vari sensi dalle passioni ribelli’, continua padre Tanquerey, ‘la volontà è obbligata a disperdere le forze e quindi ad indebolirle… simile a quei polloni inutili e succhioni che germogliano attorno al tronco di un albero, gli appetiti si vengono mano a mano sviluppando e rubano vigore all’anima… viene così il momento in cui, infiacchita, l’anima cade nel rilassamento e nella tiepidezza, pronta a tutte le transazioni.’

e) Macchiano l’anima

L’anima è chiamata ad unirsi a Dio, ad alzarsi al Suo livello, ed a divenire la Sua immagine. Unendosi invece alla creatura, abbassandosi al suo livello, e facendosi alla sua immagine, si contamina e si macchia di bruttezza. ‘Oso affermare, scrive san Giovanni della Croce, che un solo appetito disordinato, anche che non sia contaminato da peccato mortale, basta per mettere un’anima in tale stato d’oscurità, e di bruttezza, e di sordidezza, da divenire incapace di qualunque (intima) unione con Dio, finchè non se ne sia purificata. Che dire allora dell’anima che ha la bruttezza di tutte le sue passioni naturali, che è in balìa di tutti i suoi appetiti? A quale infinita distanza non si troverà dalla purezza divina? Né parole né ragionamenti possono far comprendere la varietà della sozzure che tanti diversi appetiti producono in un’anima… ogni appetito depone in modo suo la speciale sua parte di immondezza e di bruttezza nell’anima.’

*

Occorre dunque un lavoro per controllare e moderare, cioè per mortificare, le passioni sregolate, anche le più piccole, per raggiungere l’unione a Dio. Perché qualsiasi attaccamento che possiamo avere alle creature, compreso a noi stessi, impediscono l’attaccamento perfetto a Lui al quale siamo chiamati. I più pericolosi sono gli attacchi e le passioni abituali che svigoriscono la volontà, anche quando sono leggeri. San Giovanni della Croce osserva in riguardo: ‘che un uccello abbia la zampina legata da un filo sottile o da un filo grosso, poco importa: non gli sarà possibile volare se non dopo averlo spezzato.’

Esaminiamoci sulle proprie passioni: Sono da controllare e moderare? Ci logorano ed addolorano? Oscurano e si impadroniscono della ragione? Seducono la volontà? Se troviamo qualcosa in noi che non sia in ordine, ci mettiamo ad ordinarlo oggi stesso, non appoggiandoci solo sui propri sforzi, ma con l’aiuto della preghiera e della Grazia divina: per attaccarci unicamente a Dio, unendoci a Lui perfettamente, già durante questa vita terrena. Amen.

+ In nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen.

Le passioni: come gestirle

+ In nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen.

Le passioni, come abbiamo già fatto notare, sono state disordinate dal Peccato originale. Sono difficili da gestire, soprattutto quelle che corrispondono al proprio temperamento: sia irascibile, malinconico, eccessivamente affettuoso e così via; ancor di più difficilmente gestibili dopo che una persona abbia acquistato abitudini cattive, come il cedere all’ira, alla tristezza, alla passione dell’amore senza la dovuta misura, oppure fino al peccato.

Poiché le passioni provengono dal cuore, ci spetta innanzitutto un lavoro su di esso: ossia tramite l’intelletto e la fantasia. Abbiamo già esposto i due pericoli inerenti all’uso della fantasia: che ci fa perdere tempo e porta al peccato mentale, e poi a sua volta, eventualmente anche al peccato dell’azione. Quando la passione è disordinata, proviamo a staccarci da essa. Se un uomo sposato ha concepito amore per una donna che non è la sua moglie, non deve soffermarsi su esso; un collerico che venne offeso da altrui non deve soffermarsi sull’offesa, e così via per tutte le passioni. Più da vicino, non si deve riflettere sulla causa della passione, ne immaginarci esprimerla, perché più la immaginiamo, più cresce il desiderio di agire; e più cresce il desiderio, più probabile è che agiremo. L’uomo sposato non deve fantasticare su come si comporterebbe in determinate circostanze; il collerico non deve fantasticare su come si vendicherebbe.

Quando le passioni sono eccitate, bisogna sfrenarle con un atto di volontà, accorgendosi che tali ruminazioni sono vuote e pericolose. La volontà comanda alla mente di pensare ad altro; comanda al corpo di non cedere agli impulsi della passione. Se si viene presi dall’ira, ad esempio, non si deve alzare la voce, gesticolare, assumere un’espressione di rabbia: piuttosto si taccia e si mantenga la calma. Se si incontra qualcuno per cui si ha un affetto disordinato si è cauti di non esprimerlo neanche in parole; se invece si incontra una persona per cui si ha un’antipatia, si è cauti ugualmente a non tradire i veri sentimenti del cuore.

Invece di trattenerci sulle passioni, bisogna indirizzare i pensieri e le energie a qualcosa di utile: se siamo da soli ci possiamo dire: Basta con i sogni! al lavoro! Se siamo in compagnia, possiamo far ricorso a quei atti che si oppongono alle passione in questione: a chi ci ha fatto arrabbiare, lo si tratti con calma, a chi a cui ci sentiamo attratti con sobria cortesia, a che ci è antipatico con bontà.

Quando una passione disordinata avrà acquistato una tendenza tale da spingerci verso il peccato, bisogna prendere il tempo per ritirarci e rifletterci. Immaginiamoci quanto male potremmo operare, se cedessimo a quella tendenza: quale sorpresa vivissima, quale dolore, quale umiliazione (se siamo in compagnia) creeremmo per una persona che ci ha irritati se lo insultassimo; o se è irascibile anche le: quale litigata, quale scandalo, quale pessima figura! Immaginiamoci quanto danno ci faremmo a noi stessi, opponendoci allo stesso scopo per cui siamo su questa terra: cioè per amare Dio ed il prossimo.

Similmente, un uomo sposato deve pensare agli effetti eventuali che certe libertà verso un’altra donna potrebbero causare: la sottintesa complicità, il desiderio e la speranza che in lei si potrebbero suscitare; la pena che potrebbe dare alla moglie; il sospetto che potrebbe evocare in altrui; il cammino del quale avrà già fatto il primo passo, e che conduce chi sa dove?

Riflettiamo, dunque, quando siamo da soli, su dove ci potrebbero portare le passioni disordinate, e prendiamo coraggio a sottometterle ad un rigoroso controllo. Serviamoci dell’intelletto e della fantasia non per intrattenerci su esse, ma piuttosto a considerare il loro pericolo e come evitarlo.

Vogliamo amare Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutta la mente, e con tutta la forza? In questo caso allora finiamo di perdere tempo, e di condurre una vita di imperfezione, di pericolo, e di peccato, nuotando contro la ragione nel mare turbolente della natura caduta. Per superare la padronanza della passione in modo determinante, si deve sostituirla con un’idea, con un ideale, più grande, più forte, più nobile, più potente: l’idea di Dio: la Sua volontà per me, il mio desiderio di amarLo sopra ogni cosa fino all’unione definitiva a Lui in cielo. Questa idea superiore si può tradurre in una frase come ‘Deus meus et omnia’, ‘Dio mio e tutto’, ‘Tutto per Voi, o Dio’, ‘Dio mio, Misericordia’, ‘Tutto per la Vostra gloria.’

Per amore di Lui dunque intraprenderò questo lavoro su di me: l’autocontrollo, il non cedere alla passione disordinata dell’ amore, dell’odio, dell’ira, della tristezza o di qualsiasi altra passione nociva. Ciò mi porterà la calma, la pace, ed in fine la felicità. Più l’idea superiore possa sostituire quella inferiore, catturando la mente la volontà, e superando la tirannia delle passioni, più regnerà sul cuore. Così i sentimenti saranno sottomessi all’intelletto e alla volontà, e l’intelletto e la volontà sottomessi a Dio; il cuore sarà stato purificato ed indirizzato verso le cose del cielo, per poter guidarmi sopra il mare tempestoso di questo mondo fino nel porto sereno dell’Eternità.

+ In nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen.

Le passioni: caratterizzazione e disordine

+ In nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen.

Le passioni: caratterizzazione e disordine

a) Caratterizzazione

Abbiamo già fatto notare che le passioni si rapportano a ciò che sentiamo come bene o male. In breve sintesi, le passioni principali si rapportano al bene o al male nel modo seguente: si sente la gioia (la gioia dell’amore) quando il bene è presente, cioè quando si gode del bene, unendosi ad esso; si sente desiderio (il desiderio dell’amore) quando il bene è assente, bramando ad unirsi ad esso, ad essere presente ad esso (o a lui o a lei, se il bene in questione è una persona). Si sente speranza quando si desidera il bene assente di cui l’acquisto è possibile, ma difficile. Si sente coraggio quando si è rafforzati per unirsi al bene di cui l’acquisto è possibile, ma difficile. Si sente disperazione quando l’acquisto del bene è impossibile.

Ecco le passioni più comuni che si rapportano al bene; quanto a quelle più comuni che si rapportano al male invece: l’odio è la passione di allontanare da noi il male; l’ira è quella di respingerlo violentemente; la paura fa allontanarci da un male assente difficile a schivarsi; l’avversione fa schivare il male che si sta avvicinando; la tristezza si cruccia del male presente insuperabile.

b) Disordine

Quanto al disordine delle passioni, ripetiamo che sono radicalmente disordinati in conseguenza del Peccato originale. Il disordine consiste innanzitutto nel loro attaccamento ad oggetti inadeguati, cioè falsi – come quando si concepisce l’amore per ognuno che passa per strada, sprecando energie psichiche nell’ammirare la loro bellezza, come ammirare le sempre mutevole forme e colori attraverso un caleidoscopio; oppure quando si concepisce timore, tristezza, ira rispetto a qualcosa che non è un male affatto – come un rimprovero.

Il disordine può consistere ugualmente nell’eccesso di una determinata passione: si può sentire un amore appassionato per qualcuno a cui occorre piuttosto l’amore di amicizia, o temere disordinatamente un incontro innocuo. Le passioni esercitano una forza particolare secondo il dato carattere di una persona: in un appassionato predomina l’amore; in un collerico l’ira; in un malinconico la tristezza. Esperienze di infanzia, soprattutto quelle traumatiche, predispongono l’individuo verso uno di questi tipi di carattere o rinforzano tendenze caratteriali già presenti in lui, esacerbando così le passioni. Le passioni vengono consolidate dalle abitudini, così che col passare del tempo divengono difficili da gestire o persino da discernere.

Ci possiamo poi trovare nella posizione che il salmista descrive con le parole seguenti: ‘Là hanno temuto dove non c’era il timore’ – vale a dire: dove non c’era motivo ragionevole per temere – un pensiero che si può anche applicare più largamente: Là hanno amato dove non c’era l’amore; odiato dove non c’era l’odio; là si sono arrabbiati dove non c’era la rabbia…

Abbiamo descritto le passioni come ‘moti impetuosi con una ripercussione sul corpo’. Stiamo proseguendo con calma le attività quotidiane: subitaneamente ci attaccano l’organismo: la paura stringe il cuore, mi fa impallidire; l’ira accende un fuoco spingendo verso la violenza; l’amore dilata il cuore, trascinando all’unione; la tristezza mi inonda, paralizzandomi. Quanto è duro dominare le proprie passioni, anche dopo anni di ascesi! Quanto è duro comportarsi sempre con calma e pace, e sempre secondo la fede e la ragione. La tempesta infuria: i venti, le onde, le correnti scuotono e sballottano la barca del corpo; la spazzano via dal corso.

Le passioni disordinate ci possono far male in modi diversi: ci possono trascinare nel peccato: la paura di disturbare qualcuno (il rispetto umano) mi chiude la bocca; l’ira ci fa offendere; l’amore disordinato contamina i rapporti con altrui, la tristezza ci fa pigri. Inoltre ci rubano la pace di animo, il prezioso bene. La pace dell’animo ci permette di vivere raccolti nella presenza di Dio e di essere aperti alle Sue ispirazioni; costituisce la maggior parte della felicità terrena.

Proviamo a lavorare sulle passioni: ad assoggettarle alla ragione ed alla fede: per poter compiere i vari doveri di questa vita come si devono, e vivere in una pace inalterabile in presenza del nostro amorevolissimo Dio.

Maria, Regina Pacis, ora pro nobis! 

Angele Pacis, ora pro nobis! 

Sancte Angele noster Custos, ora pro nobis!

Nos cum prole pia, benedicat Virgo Maria!  Amen.

+ In nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen.

Le passioni

+ In nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen.

Introduzione

Continuiamo presentando il lavoro che occorre fare su se stessi. Avendo considerato i sensi, svolgiamo un sguardo adesso sulle passioni: altrimenti conosciute come le emozioni. Ora le passioni vengono descritte come: ‘moti impetuosi dell’appetito sensitivo rispetto a ciò che si sente come bene o male con una ripercussione sul corpo.’ L’amore, per esempio (la passione principale), è un movimento impetuoso verso un bene apparente, con una ripercussione fisica nella dilatazione del cuore; l’ira fa correre il sangue al cervello; la paura ci fa impallidire ecc.

I sensi e le passioni appartengono a ciò che si chiama la facoltà sensitiva dell’anima: la sua capacità di sentire. Questa facoltà la condividiamo con gli animali, come abbiamo già sopra accennato, che usufruiscono anche essi i sensi e le passioni. I sensi e le passioni servono a noi, come anche a loro, per discernere tra ciò che è proficuo e ciò che è nocivo nel mondo che ci circonda: per poter approfittare del positivo, ed evitare, o superare, il negativo.

Due sono le differenze, però, nella facoltà sensitivo, tra gli animali e noi. Le sensi e le passioni degli animali non sono in nessun modo soggetti alla razionalità; non sono neanche minimamente disordinati. I sensi e le passioni umani, invece, hanno una qualità razionale che trasforma il sentimento in qualcosa di comprensibile, e sono inoltre sottomessi alla padronanza della ragione; per di più sono disordinati in conseguenza del Peccato originale: non siamo come gli animali che sono sempre moderati nella ricerca dei piaceri dei sensi, e nell’uso delle passioni.

Il fatto che le passioni sono parzialmente disordinati e fuori controllo, non significa, però, che siano cattive di per se stesse, come mantengono i Stoici ed i Buddisti; piuttosto sono state create buone, poi danneggiate, ed ora vanno moderate: un’opera meritevole che fa parte (e non la minima parte) del lavoro che bisogna fare su se stessi.

Non siamo come gli animali, dunque, che hanno solo le passioni per aiutarli, e nient’altro: abbiamo noi una facoltà più alta di loro, cioè la razionalità: la ragione e la volontà. Le passioni ci indicano cosa c’è del bene e del male nel mondo intorno, ma bisogna valutare i loro dettami secondo la ragione, e poi agire in conformità alla realtà. Bisogna giudicare se la persona o la cosa che sentiamo di essere buona sia davvero buona; se quella che sentiamo di essere cattiva lo sia di fatti. Il nostro compito è di reagire al vero bene al vero male nel modo adeguato. Questa persona antipatica è nociva e da evitare? Questa persona simpatica è buona e da accogliere? Non ci lasciamo portare via dalle emozioni: dall’odio, dall’amore, dalla paura, dalla tristezza: ma controlliamole e moderiamole, utilizzandole come forze per fare il bene ed evitare o superare il male, e per divenire persone migliori.

In questa faccenda imitiamo nostro Signore Benedetto, e la Madonna, che erano, e sono, padroni completi delle passioni – non sopprimendole ma, immuni al Peccato originale, vivendole secondo lo stato di natura pura. Nostro Signore ad esempio, secondo la testimonianza della Sacra scrittura, sentiva la forza delle passioni, ma le adoperava in modo adatto alle circostanze: pianse su Gerusalemme; amava il discepolo san Giovanni; si arrabbiava contro i mercanti nel Tempio; fu preso dalla paura nell’orto: ma tutto secondo il giusto peso, la giusta misura e proporzione.

Sono loro i nostri modelli in questo ed in tutto. La moderazione delle passioni è una meta difficile, ma seguendo il loro esempio e chiedendo il loro aiuto, la raggiungeremo con sicurezza, alla loro eterna gloria.

+ In nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen.

I sensi interni

+ In nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen.

Nel corso delle meditazioni sulla vita interiore, più particolarmente sul lavoro da compiere su se stessi, abbiamo prima considerato i sensi esterni. Passiamo adesso a guardare quegli interni. Ora i sensi interni sono due: la fantasia e la memoria. Mentre la memoria è indipendente dalla fantasia, la fantasia dipende tipicamente dalla memoria, tirando immagini da questa fonte di ricordi ricca e feconda, per combinarle e manipolarle come a noi piace.

Questi sensi esistono per fornirci della materia su cui possiamo operare; ci permettono anche di comunicare piacevolmente con altrui, servendoci di immagini amene e vivide prese dall’esperienza di vita. Comunque ci sono due pericoli inerenti all’uso di questi sensi che vale la pena da evocare.

Il primo è la perdita di tempo e di energie.

Il malinconico guarderà indietro su avvenimenti o periodi della vita quando le cose non andavano bene, su peccati, su fallimenti reali o immaginari: e di nuovo si considera come vittima, e si rattrista. Si sofferma sul negativo, si lascia affondare in un declino psichico; il superbo, invece, guarderà indietro sui suoi successi, reali o immaginari, medita sui doni naturali o sovrannaturali ricevuti, si indulge in autocompiacimento, egoismo, o arroganza; l’irascibile si nutrirà dell’ira alla memoria di offese; il libidinoso si pascerà sul pascolo della sensualità.

Quanto tempo si perde con tali fantasticherie, chiudendosi nel proprio mondo privato e suonando ripetutamente come un pezzo di musica o come un filmato i ricordi del passato! Quanto tempo prezioso, quante energie si perdono, che si sarebbero potute applicare a qualche utile attività: come fare del bene a qualcheduno o a se stessi, pregare, o semplicemente alzare il cuore a Dio, se questi pensieri ci vengono mentre camminiamo o lavoriamo. Così si sarebbero anche potuti guadagnare meriti per l’eternità. Bisogna dunque uscire da se stessi, dal mondo del passato: oscuro, difficile da comprendere e da valutare, prestandosi ad essere modellato secondo al temperamento del soggetto e ai propri sentimenti passeggeri.

Se il primo pericolo è dunque la perdita del tempo, l’inerzia, l’omissione, il secondo è il peccato.

Il malinconico si lascia scoraggiare, divenire pusillanimo, perdere fiducia in Dio, abbandonare la speranza; il superbo, l’irascibile, il libidinoso, si indulge nel vizio che lo caratterizza. Peccati mentali si commetteranno e spingeranno ad azioni. La fantasia crea sceneggiature dove il sognatore si immagina vittima, adulato, vendicatore, amante.

Il demonio entra per alzare il volume della musica, per così dire, o del filmato, per intensificare il colore delle immagini, per sopraffarci con quei ricordi vani e vuoti affinché viviamo nel passato o in un futuro immaginario, e giammai nel presente dove la salvezza si deve realizzare. Persino il cattolico impegnato a condurre una buona vita, o un vita migliore, o che vuol dare tutto per condurre la vita la migliore che possa, può cadere in queste reti del nemico, estese per coglierlo all’insaputa nell’uso dei sensi interni. Peccati passati, mancanze, errori, le sciocchezze della giovinezza assieme a tutte le sue inettitudini diverranno materia non per un resoconto sobrio e realista, ma per l’interna angoscia. ‘Cosa ho fatto della mia vita? Dovrò dare un conto di tutto quello nel giudizio, forse presto’. E così l’anima viene trascinata via da Dio, dal Creatore, dal Padre Celeste, di Cui il figlio prodigo dubita dell’amore, via dal Figlio Divino Che ha dato la vita per salvarlo, e che ha dato tutto per assicurargli l’eterna felicità. Falsa umiltà, che è piuttosto l’orgoglio, lo fa bramare di aver vissuto una vita perfetta, ma perché? per amor di Dio o per amor di sé? Sorge un senso di disperazione: tutto è perso, tristezza costante, uno spirito abbattuto, sconsolabile.

Bisogna gettare le nostre preoccupazioni su Dio e prendere coraggio. Viviamo nel presente: il presente è adesso. Il valore del passato è che ci insegna come agire nel presente e nel futuro. Le pene che ci portano le offriamo a Dio; alla luce del passato diveniamo umili, illuminati da uno spirito di compunzione, consapevoli della nostra debolezza, ma calmi, sereni, ed allegri.

Per quanto riguarda la memoria e la fantasia, impariamo a rigettare subito pensieri immorali, e non trattenerli né con la fantasia né con la volontà. Lo stesso vale per pensieri inutili, su cui osservano i santi che la mortificazione di pensieri inutili è la morte di pensieri immorali.

Il rimedio più efficace per superare i pericoli inerenti a questi due sensi è di applicarci con serio e con attenzione alle faccende del momento: studi, lavoro, impegni quotidiani; e se la mente è libera, alziamola a Dio. Proviamo a fare bene queste attività, guidando la memoria e la fantasia in modo forte con l’intelletto e la volontà.

In fine, popoliamo la memoria con delle belle immagini della Sacra Scrittura e degli scritti sublimi dei santi – l‘immagine della Rosa rossa della Passione del Signore, quella di Nostra Signora, Stella del Mare, alzata lontano al di sopra dell’oceano tempestoso di questo mondo: chiamandoci via dal passato e dai peccati del passato, alla gloriosa aurora della vita eterna. Amen.

+ In nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen.

Le virtù teologali

+ In nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen.

Guardiamo adesso alla pratica delle virtù teologali per il convertito. Prima una parola su tutte e tre; poi consideriamo l’una dopo l’altra.

Introduzione

San Giovanni della Croce ci insegna di applicare le tre facoltà della mente all’oggetto delle tre virtù teologali: l’intelletto all’oggetto della Fede; la volontà a quello della Carità; e la memoria a quello della Speranza.

Ciò significa che l’intelletto, che è orientato verso la verità, si deve indirizzare verso la Verità Stessa, Dio santissima Trinità, e verso tutte le verità che sono incentrati su di Lui, essendo questo l’oggetto della Fede.

La volontà, invece, che è orientata verso il bene, si deve indirizzare verso il Bene Stesso che è sempre Dio santissima Trinità , per amare Lui ed il prossimo in Lui, cioè nello stato di grazia.

Quanto alla memoria, san Giovanni intende che bisogna utilizzare quel fondo di ricordi, di immagini e di conoscenze, che costituisce la nostra memoria, solo in vista dell’Eternità: per raggiungere l’eterna beatitudine, che è l’oggetto della Speranza.

Chiaramente le virtù teologali ci illuminano su come pensare ed agire in modo giusto in qualsiasi campo della vita. Vediamo adesso come ci possono illuminare rispetto alla conversione.

     a. La Fede

Abbiamo già accennato ad alcune verità di Fede relative alla conversione, alle quali aggiungeremo adesso delle altre: Peccati confessati nel sacramento della penitenza con la giusta contrizione vengono perdonati; normalmente, dopo la penitenza imposta dal confessore, occorre anche una riparazione, normalmente tramite sofferenze o su questa terra o in purgatorio; atti di contrizione (anche mentali) e sopratutto lo stato costante di contrizione che si chiama ‘compunzione’, valgono per questa riparazione; una parte essenziale della confessione è il proponimento di non peccare piu’, un proponimento che Dio ci aiuterà a mantenere con la Sua Grazia; la vita è un viaggio che conduce al Cielo, una battaglia nella quale il vincitore sarà premiato con la vita eterna.

Meditando su queste verità vorremmo mettere in valore due virtù in particolare che occorrono per un convertito: il coraggio e la gratitudine.

     i) Coraggio

Stiamo viaggiando verso il Cielo: viaggiando non solo temporalmente ma anche spiritualmente, sulla via del perfezionamento. Se stessimo attraversando la campagna e ci fossimo accorti alla sera di aver perso la strada, non ci sederemmo disperati senza avanzare, piuttosto ci faremmo coraggio, rintracceremmo i passi e ricominceremmo di nuovo. Così anche per la vita spirituale, bisogna prendere coraggio in due modi: per intraprendere la via difficile che si ha davanti, e per non lasciarsi abbattere dal pensiero dei peccati passati. Ricordiamoci che la via conduce al Cielo ed il Signore Stesso ci accompagnerà per raggiungerlo.

La vita viene intesa nella Sacra scrittura non solo come un viaggio, ma anche come una battaglia. Ora, se fossimo svantaggiati in guerra, non ci scoraggieremmo, nè abandoneremmo la lotta, ma ci raggrupperemmo e torneremmo all’attacco. Nella guerra in cui ci siamo impegnati abbiamo ancor più motivo di coraggio che in quasiasi altra guerra, essendo il Signore Stesso il Re. Nell’ Imitazione di Cristo (I 11) leggiamo: ‘Se… come soldati valorosi di Cristo, ci sforzassimo di non abbandonare la lotta, vedremmo subito scendere dal cielo l’aiuto del Signore, che sostiene chi combatte fiducioso nella Sua grazia; e anche ci procura Lui Stesso le occasioni di lotta affinchè vinciamo.’ La vita è un viaggio: viaggiamo; la vita è una battaglia: lottiamo.

D’altronde, la vita consiste nel bene e nel male, e conduce al bene (se ci impegnamo). Perchè meditare sul male e non sul bene? sul negativo piuttosto che sul positivo? su ciò che non è piuttosto che su ciò che è? Col peccato avevamo scavato un buco nella terra e ci siamo cascati dentro. Perchè tornare dentro il buco? Piuttosto ringraziamo Dio che non siamo nell’abisso senza fondo che è l’Inferno.

Anche per coloro che ci sono intorno, per la propria vita in società, è più bello prendere coraggio piuttosto che abbattarsi. Ognuno ha la propria croce: portiamo la nostra con serenità, e con gioia spirituale; così aiutiamo pure gli altri.

Santa Teresa d’Avila dice: ‘Se uno non è perfetto, è necessario maggior coraggio per camminare sulla via della perfezione che non divenire subito martire.’ (Vita 31.17). Procediamo dunque attaccando un difetto dopo l’altro, e chiediamo aiuto ai Martiri.

     ii) Gratitudine

Meditando sul bene che abbiamo ricevuto nella conversione e sul bene che ci aspetta in Cielo, pensiamo ai salmi che parlano spesso della peccaminosità e  delle sofferenze umane, e della misericordia divina che da esse ci salva, che ci riporta alla terra ferma: et iterum reduxisti me.

Ci conforta quando leggiamo nella sacra Scrittura dell’operazione della divina misericordia anche nella conversione dei più gandi patriarci e santi. Fu il re Davide stesso che scrisse i salmi della misericordia divina; ed anche san Pietro e san Paolo furono testimoni viventi di questa eccelsa virtù.

Scrive san Pietro Crisologo (sermone 8): ‘La misericordia libera i peccatori e salva i santi. Se non ci fosse stata, l’adulterio di Davide gli avrebbe fatto perdere la divina promessa; la negazione di san Pietro lo avrebbe privato del primato sugli altri apostoli; Paolo il bestemmiatore sarebbe rimasto perseguitatore. San Paolo lo riconosce quando dice: ‘Io che per l’innanzi ero stato un bestemmiatore, un persecutore e un violento. Ma mi è stata usata misericordia.’ (I Tim. 1. 13). ‘Beati i misericordiosi, loro ottennerano la misericordia.’ (Mt. 5.7).’

Questo suscita in noi un sentimento di grande gratitudine. Se avessimo fatto un viaggio difficile e fossimo finalmente arrivati ad una cena, non passeremmo il tempo raccontando le miserie del viaggio, ma piuttosto ci allegreremmo con grande riconoscenza delle belle cose ottenute.

Dove sarei io adesso se Dio non mi avesse dato la Grazia della conversione? Dove avrei finito la vita? Quale posto si stava preparando per me nell’Inferno? Anche quando sono tentato ad occuparmi in modo ossessivo e morboso dei peccati passati occorre un deciso atto di gratitudine: non guardo il negativo del passato, bensì il positivo del presente; non la mia malvagità, ma la Bontà di Dio.

     b. La Speranza

La Fede ci porta dunque ad avere coraggio ed a ringraziare Dio: ci porta, in una parola, alla Speranza. Sant’Agostino, commentando il passo del vangelo di san Luca su chi cerca un pesce, un pane o un uovo, intende questi oggetti come la Carita’, la Fede, e la Speranza.

‘Quanto alla speranza, penso che si raffiguri nell’uovo. Non c’è speranza che nella misura di qualcosa che non è ancora realizzato, e l’uovo non è ancora il pollo… la speranza ci spinge a prendere qualche distanza dalle realtà presenti per vivere in attesa delle realtà venture: non torniamo sul passato, ma con l’Apostolo… ‘dimentico del passato e proteso verso il futuro, corro verso la meta per arrivare al premio che Dio ci chiama a ricevere lassù, in Cristo Gesù’ (Fil. 13. 13-14)…

‘Mettiamo la nostra speranza in quello che non è ancora dato, ma che sarà e non passerà mai… Non siamo come la moglie di Lot: guardava indietro… e fu trasformata in una colonna di sale… Siate protesi, protesi con tutto il vostro essere, verso ciò che deve avvenire, senza più pensare al passato… ‘non fissiamo lo sguardo sulle cose visibili, ma su quelle invisibili. Le cose visibili sono d’un momento, quelle invisibili sono eterne.’ (2 Cor. 4. 18). Badate di non guardare indietro, sfidate lo scorpione che minaccia l’uovo: ecco, attacca con la coda, da dietro.’

Occorre un’ultima parola sulla fiducia. San Tommaso la chiama una forma intensa di speranza. Abbiamo già accennato che in momenti di angoscia al pensiero dei propri peccati, soprattutto nell’ora della morte, bisogna fare un atto di fiducia: ‘Gesù io confido in Voi’. Un atto di fiducia in Lui opera, si dice, come una saetta di oro che ferisce il Sacratissimo Cuore e Lo inclina infallibilmente alla misericordia.

     c. La Carità

Dopo la conversione, quando riflettiamo sui peccati passati e su tutto il tempo che abbiamo perso, quando ci paragoniamo con altri che hanno quasi sempre evitato il peccato, che sono fedeli a Dio e modelli di virtù già fin dall’età della ragione, ricordiamoci della parabola della vigna: Come mai sono stati premiati coloro che hanno lavorato solo l’ultima ora del giorno con lo stesso denaro di quelli che hanno lavorato tutta la giornata nel calore del sole, se non perchè hanno lavorato con un amore più grande, più fervoroso?

Scrive san Gregorio Magno nel sermone 33 su santa Maria Maddalena: ‘Cos’è l’amore se non un fuoco, ed il peccato se non la ruggine? Per quello le sono stati perdonati i suoi numerosi peccati. Come se il Signore avesse detto: ha dato interamente fuoco alla ruggine del peccato, poichè lei brucia del fuoco ardente dell’amore. La ruggine del peccato viene tanto più completamente decapata quanto più fortemente brucia il cuore del peccatore nel fuoco della carità’.

Il compito nostro sarà dunque di vivere il resto dei nostri giorni su questa terra unicamente per amore di Lui, in uno spirito di fervore, di immolazione, di oblazione, di compunzione: per la Sua gloria e per la santificazione delle nostre anime.

+ In nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen.

Lode a Dio

+ In nomine Pater et Filii et Spiritus Sancti. Amen.

Non è forse una meraviglia che siamo stati salvati dalla propria miseria, dal leone ruggente, dai tori, dal cane, dal lago della terra inferiore, dall’abisso, dalla notte eterna? La nostra conversione non è forse una meraviglia di Dio infinitamente più grande dei più grandi compimenti degli uomini? Concludiamo questa serie di discorsi, dunque, con un passaggio da sant’Agostinio sulle meraviglie di Dio.

‘Molte sono le meraviglie che Tu hai fatto, o Signore Dio mio’ scrive il santo, nel commentario sui salmi, riferendosi al figlio del mondo, aggiunge: ‘Vedeva le grandi cose degli uomini, intenda le meraviglie di Dio. Il Signore ha fatto molte cose mirabili: a queste volga il suo sguardo. Perché han perso valore per lui? Loda l’auriga che regge quattro cavalli che corrono senza cadere e senza farsi male: forse il Signore non ha compiuto miracoli spirituali di tal genere? Regga la lussuria, regga l’ignavia, regga l’ingiustizia, regga l’imprudenza, movimenti questi che troppo disciolti generano i vizi, li regga e li sottometta a se stesso, tenga le briglie e non sarà da essi trascinato via; li guidi dove vuole, non sia portato dove non vuole. Lodava l’auriga e sarà lodato come auriga; gridava affinché l’auriga fosse rivestito dell’abito del trionfo, sarà invece lui rivestito dell’immortalità. Questi doni, questi spettacoli, organizza Dio. Chiama dal Cielo: Vi guardo; combattete, vi aiuterò; vincete, vi incoronerò. Molte cose mirabili Tu hai fatto, o Signore Dio mio; e nei Tuoi pensieri non c’è chi Ti assomigli. 

‘Ora guarda l’istrione. L’uomo infatti con grande sforzo ha imparato a camminare sulla fune, e mentre è in equilibrio, tiene Te sospeso. Guarda ora l’Impresario di più grandi spettacoli. Costui ha imparato a camminare sulla fune, riuscirà forse a camminare sul mare? Dimentica il tuo teatro, osserva il nostro Pietro, che non è un funambolo ma, se così posso dire, un mariambolo. Cammina anche tu, non su quelle acque su cui, per simboleggiare un’altra cosa, camminò Pietro, ma su altre acque, poiché questo secolo è un mare: un mare che ha la sua nociva amarezza, ha l’ondeggiare delle tribolazioni, le tempeste delle tentazioni; ha nel suo seno uomini che, come i pesci, godono del male altrui e a vicenda si divorano; qui cammina, calca questo mare.

‘Vuoi guardare? Sii tu lo spettacolo. Non venir meno, guarda Colui che ti precede e dice: Siamo divenuti spettacolo per questo mondo, per gli angeli e per gli uomini. Calca il mare, se non vuoi essere sommerso dal mare. Ma non andrai, non camminerai sul mare, se prima non te lo avrà ordinato Colui che per primo ha camminato sul mare. Così dice infatti Pietro: Se sei Tu, comandami di venire a Te sulle acque. E poiché era Lui, ha udito la richiesta, ha soddisfatto il desiderio, ha chiamato colui che camminava, ha sollevato colui che stava per essere sommerso.

‘Queste meraviglie ha fatto il Signore, guardale; e la fede sia l’occhio dello spettatore. E fa’ anche tu altrettanto; perché anche se i venti soffieranno, anche se i flutti ruggiranno, e l’umana fragilità ti spingerà a qualche timore per la tua salvezza, hai Chi chiamare e dire: Signore, perisco! Non ti lascia perire Colui che ti ha ordinato di camminare. Poiché ormai cammini sulla Pietra, non aver paura in mare; se tu non poggiassi sulla Pietra, affonderesti nel mare, perché è appunto su tale Pietra che si deve camminare, perché essa non è sommersa dal mare.’ Deo Gratias!

+ In nomine Pater et Filii et Spiritus Sancti. Amen.

La Trasfigurazione

+ In nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen

Dio è una Trinità in Tre Persone divine: Padre, Figlio, e Spirito Santo. Ogni Persona ha una natura divina ed è Dio, ma non ci sono tre Dei bensì un solo Dio. Il Figlio, la Seconda Persona divina, oltre alla natura divina, assunse nell’Incarnazione una natura umana, e si chiamò Gesù Cristo. Gesù significa ‘Salvatore’; Cristo significa ‘Unto’ (o ‘Messia’).

Per gli scopi dell’Incarnazione questa Persona divina, Gesù Cristo, non rivela la Sua piena identità ai sensi di coloro che Lo circondano: non la rivela che durante il Battesimo e la Trasfigurazione, quando si manifesta anche come Dio. Durante la Trasfigurazine si manifesta inoltre come Messia, e più precisamente come Messia sofferente.

Si rivela come Dio mediante la luce con la quale brilla il Suo volto, con la quale le vesti divengono candide e la nuvola è luminosa; ma si rivela come Dio anche mediante la nuvola stessa, che significa la presenza di Dio (come nell’Antico Testamento sul monte Sinai). Ma il testimone ancor più forte della Sua Divinità è la voce del Suo Padre divino: ‘Questo è il Mio Figlio prediletto…’. Il Padre divino Lo chiama ‘Figlio’ nel senso pieno del termine: cioè Figlio secondo la popria natura, che è divina. Lo rivela dunque come il Suo Figlio divino. Ma questa rivelazione non è solo una rivelazione divina, è pure una rivelazione Trinitaria, essendo presente ogni Persona divina: il Figlio, il Padre (nella voce), e lo Spirito Santo (nella nuvola).

Nostro Signore Benedetto si rivela come Messia tramite la presenza di Mosè e di Elia, che rappresentano la Legge ed i Profeti che avevano annunziato il Messia e Gli avevano preparato la strada. Cristo era questo Messia che loro avevano previsto: in termini precisi era il compimento della Legge e l’Oggetto della profezia dell’Antica Alleanza. Cristo era questo Messia, dunque, ma non del genere che ci si aspettava a quell’epoca (ossia una figura politica di potere temporale), bensì un Messia sofferente. Si rivela come tale con il Suo discorso con Mosè ed Elia sulla Sua ‘dipartita’, ovvero sulla Passione e sulla Morte. Qui vediamo dunque la Legge ed i Profeti (quindi in un certo senso tutto l’Antico Testamento con la sua autorità divina) testimoniare un Messia sofferente.

Ora, la ragione per cui il Cristo voleva rivelarSi come Dio e come Messia sofferente era ovviamente per preparare i discepoli alla Sua Passione e Morte. Infatti sono gli stessi tre discepoli a cui darà una conoscenza privilegiata sia della Sua gloria che della Sua Passione: ossia gli stessi san Pietro, san Giacomo, e san Giovanni che Lo accompagnarono sul monte Tabor; Lo acompagneranno anche a Getsemani. E san Pietro in particolare si è già mostrato ignorante della piena portata e del vero significato della Passione: prima della Trasfigurazione quando il Signore profetizzò la Passione, il Principe degli Apostoli rimostrò con Lui, dicendo: ‘Dio Te ne scampi, Signore, questo non Ti accadrà mai!’, ma il Signore lo rimproverò severamente con le parole: ‘Lungi da Me satana–non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini.’

Tramite la Trasfigurazione, dunque, Cristo vuole dire ai discepoli: ‘Io sono il Messia, ma un Messia che deve soffrire: lo testimonia anche tutto l’Antico Testamento; e oltre al Messia sono anche Dio. Quando la Mia Passione comincerà, dunque, non ci si dovrà spaventare o scandalizzare, bensì avere fiducia e speranza, perchè Dio vuole così, e non solo questo, ma Io sono Dio Stesso’.

E quanto a noi, bisogna avere una profonda fiducia e speranza in Lui per tutte le difficoltà della vita; bisogna abbandonarsi completamente a Lui, cadendo, in spirito, con la faccia a terra davanti alla Sua Divina Maestà: e quando  la povera visione di questa nostra vita terrestre sarà passata, potremo sollevare gli occhi, e nessun altro vedremo tranne Gesù, per essere immersi allora, anche noi, nella luce della gloria celeste, e nel regno che non avrà termine.

In nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen