L’umiltà

+ In nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen.

  1. L’Umiltà in Genere
    Chi si esalta sarà umiliato; chi si umilia sarà esaltato. Queste parole le “grida la divina scrittura” dice san Benedetto, le grida così forte e chiaro si può dire, che non si può dubitare che, seguendole fedelmente si raggiungerà con sicurezza alle vette della santità.


Modificando il detto di Demostene, dichiara sant’Agostino: “Se mi chiedi qual è la virtù la più importante, rispondo l’umiltà; se mi chiedi qual è la seconda più importante, rispondo l’umiltà; se mi chiedi la terza, rispondo l’umiltà, e così via.” Lo stesso santo insegna che se vogliamo che l’edificio spirituale sia alto, si deve basare su fondamenta profonde; e più alto lo vogliamo, più profonde devono essere le fondamenta; e queste fondamenta sono l’umiltà.


Tuttavia l’umiltà non è fine a sé stessa, bensì mezzo per un fine, che è la carità, la Regina di tutte le virtù. L’umiltà opera in questo modo: removens prohibens, togliendo gli ostacoli, ossia gli ostacoli alla carità.


Si può definire la superbia come guardare un dono di Dio come se fosse qualcosa di proprio. I doni si distinguono in naturali come l’intelligenza, i talenti, la bellezza, una natura amichevole, e sovrannaturali: la virtù della speranza per esempio. Perché mi vanto dunque della mia natura amichevole ad esempio? “Cos’hai che non hai ricevuto? chiede san Paolo, “e se l’hai ricevuto, perche ti vanti come se non lo avessi ricevuto?”


Sul livello più profondo, la superbia consiste nel dirigere la volontà via da Dio verso sé stessi: per compiacersi non di Dio, Bene Infinito, donatore di tutti i doni, bensì di sé stessi, beni finiti. Questo era il dramma di Lucifero, il dramma di Adamo e di Eva, ed è il dramma pure di ognuno di noi.


Come si manifesta la superbia? Talvolta viene sentita direttamente: “sono molto più intelligente di lui, molto più virtuoso” eccetera, o solo indirettamente quando la scopriamo nascosta nell’anima. Spesso sono le passioni che ci rivelano la superbia.


Il senso di offesa
Il senso di offesa, quando veniamo criticati, ci manifesta la superbia. “Come si permette di trattarmi così? Trattare me! ” (e chi sono io?) Mi offendo se la critica è ingiusta, ma anche se è giusta. Poco importa come sono realmente: non mi piace che gli altri mi guardino in modo negativo. Ciò che voglio è che mi rispettino e mi apprezzino. Mi difendo: se la critica è ingiusta ne racconto tutta la storia, se la critica è giusta invece, mi invento qualcosa.


L’ira
L’ira deriva caratteristicamente dallo stesso senso dell’offesa, oppure ci prende semplicemente quando le cose non procedono secondo i propri progetti. Ho dimenticato qualcosa, comincia a piovere, un autista si sbaglia quando per strada, oppure tutto nella mia vita sembra fare una congiura contro di me: “Tutti sono contro di me” , “Ma io non lo sono”, “Eh – lo so”. La forma più stravagante dell’ira è quella contro Dio: “Mi son adirato contro Dio” Ma Dio non è buono? Non è più intelligente di me? Non è forse infinitamente buono ed infinitamente intelligente? Non mi manda prove solo per santificarmi, solo in vista della mia beatitudine eterna?


Le passioni connesse alle lodi
Qualcuno mi loda: finalmente son contento; nessuno mi loda: perché nessuno mi loda? Ho fatto una torta, una predica, un atto di Carità. Sto aspettando, ma tutti zitti. Offesa, ira, tristezza. Qualcun altro viene lodato. Di nuovo offesa, ira, tristezza. Dico qualcosa contro di lui per “dare il giusto equilibrio”, “per fare il quadro equilibrato”. O taccio: non voglio che lui sia lodato perché ritengo di avere la virtù che loro lodano in lui anche io, o ad un grado più alto di lui; o perché vorrei avere la virtù ma so di non averla a quel grado, o non di averla affatto, e semplicemente lo invidio. O penso: va bene: lui possiede queste qualità, ma io ho altre qualità, e infatti molte più di lui e molto più alte delle sue. Sono atteggiamenti poco gloriosi. In cielo mi rallegrerò e ringrazierò Dio per i beni e per le virtù degli altri: perché non cominciare quaggiù?


*


L’umiltà è la via sicura in paradiso. Perché è così difficile? Perché richiede un lavoro penoso su me stesso; perché richiede che io riconosca tutta la mia meschinità, malvagità, povertà di spirito, i miei difetti innumerevoli e vergognosi; richiede che io faccia guerra contro me stesso, che io rinunzii alle abitudini di una vita, che io rinunzii a me stesso; che io mi ammolli e mi abbandoni, che io cessi di pensare bene di me stesso, e di compiacermi in me stesso. Cosa ho e cosa sono che non ho ricevuto? Cosa ho fatto di buono che Lui non ha fatto in me? Il monaco Serafim da Sarov disse: “Sono inesprimibilmente deprecabile.” L’umiltà richiede che io scavi profondamente dentro me stesso le fondamenta profonde dell’umiltà, per alzare l’edificio della mia vita verso il cielo.

L’umiltà di sant’Agostino
Avendo meditato le parole di sant’Agostino sull’umiltà come fondamento dell’edificio spirituale, guardiamo adesso l’umiltà del santo stesso. Forse più potente di ogni sua riflessione a riguardo, è la testimonianza delle “Confessioni.” Considerato come santo già quando era in vita, scrisse quell’opera sicuramente in parte per palesare le profondità della propria malvagità prima della sua rinomata conversione. La santa sincerità e l’umiliante precisione con le quali enumera i peccati presentano il santo al lettore proprio come lui si presenta davanti a Dio: spogliato da ogni pretesa: un’anima peccatrice davanti alla Santità Stessa, un niente davanti all’Essere stesso, Somma di ogni Perfezione.


Questa visione di Dio e di sé stesso che si manifesta in ogni pagina del libro sembra come la risposta di Dio alla sua preghiera di conoscere sia l’uomo che Dio, di “conoscere me e conoscere Te”: “Domine Jesu, noverim me, noverim Te… oderim me, et amem Te… humiliem me, exaltem Te…: Signore Gesù, che io mi conosca, che io Te conosca… che io mi odii, e Te ami… che io mi umilii e Te esalti…”


Citiamo il commentario della prima frase di Rev. Nikolaus Gihr nell’opera ‘Il santo sacrificio della Messa’: O Dio, concedete che io Vi conosca: Noverim Te! Datemi una conoscenza intima delle Vostre adorabili perfezioni che sono senza misura né numero – della Vostra infinita grandezza e gloria; dei Vostri inconcepibili potere, saggezza, e bontà; della Vostra inesprimibile bellezza, dolcezza, ed amabilità; penetratemi di una profonda conoscenza delle “cose profonde della Vostra divinità, che solo lo Spirito Santo indaga” (1 Cor 2.10), ovvero delle opere e richezze della Vostra grazia e della Vostra gloria, dei Vostri decreti infinitamnte giusti e misericordiosi, delle dispensazioni meravigliose ed imperscrutabili della Vostra Provvidenza! Noverim me! Concedetemi inoltre una sana conoscenza di me stesso! “O mio Dio, illuminate le mie tenebre!” (salmo 17. 29); che la Vostra luce mi permetta di scorgere profondamente nell’abisso del mio nulla, della mia miseria, della mia aporea, mia fragilità, mia peccaminosità!”


Siccome sant’ Agostino spiega che solo la profondità delle sue fondamenta assicurano l’elevatura dell’edificio così solo l’umiltà dell’anima può assicurare la salita verso Dio: solo quella virtù può assicurare che Dio rivolga lo sguardo sull’anima e la chiami a Sé: Aspice me ut diligam te. Voca me, ut videam te. Et in aeternum fruar te. Amen.

+ In nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen.

La lotta contro il peccato (2). Brani patristici

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Se diciamo che non abbiamo peccato, ci inganniamo, dice san Giovanni (Ep. 1.80). San Gregorio scrive: “Se sei esaltato per le tue conoscenze, richezze ecc., sai forse chi sei? Sei un peccatore. Sai cos’è il peccato? È ciò che è il più vile, il più misero, il male più grande del mondo, perché si oppone nella misura più alta al bene più grande. É proprio l’odio più grande di Dio, l’ingratitudine più grande, l’offesa più grande contro di Lui: è uccidere Cristo, è uccidere Dio, poiché se Dio potesse essere assassinato, l’arma sarebbe il peccato.’


La santa Chiesa di Dio chiama l’uomo nel tempo della vita terrena un viator, un viaggiatore, perché sta sulla via che lo conduce al Cielo. Ma questo viaggio non è solo un viaggio temporale, bensì in primo luogo un viaggio morale nel quale dobbiamo sempre avanzare nelle virtù.


Sant’Agostino scrive: Vedi che siamo viaggiatori. Cos’è dunque il viaggiare? In una parola è un progredire, affinché tu non lo disconosca e cammini troppo lentamente. Sii sempre scontento con ciò che sei, se vuoi arrivare a ciò che non sei ancora. Perché si rimane nello stesso posto dove si è contenti di essere. Se dici che basta così, sei perso. Sempre aggiungere, sempre viaggiare, sempre progredire. Mai soffermarti sulla via, mai tornare indietro. Si sofferma chi non va avanti; si torna in dietro chi torna al punto di partenza; chi apostata si svia dalla strada. Uno zoppo che cammina sulla strada è meglio di uno che corre velocemente, ma che si svia dalla strada.’


Piccoli peccati, se trascurati, divengono grandi sì come molte goccie riempiono un fiume e molti granelli fanno una massa. Qual è la differenza se una nave affonda sotto un’onda enorme o per mezzo di un’entrata graduale di aqua attraverso un buco trascurato? ‘Chi trascura le piccole cose, cade poco a poco’ (Ecclesiastico 19.1).


Dice san Gregorio: Se trascuriamo di curare piccola colpe, siamo insensibilmente portati a commetterne più grandi; e: Chi trascura di pentire e di evitare anche il minimo peccato, non cade subitaneamente dallo stato di grazie, ma poco a poco ne declina. Chi cade spesso in piccole cose deve considerare con serietà che talvolta pecchiamo più gravemente per una colpa piccola che non per una colpa più grande. Perché più è grand, più presto scopriamo che sia una colpa, ed in coseguenza più presto la correggiamo; mentre una piccola colpa si ritiene come un nonnulla, e per questo viene più fatalmente e più trascuratamente perpetuata. E spesso una mente abituata a colpe minori non teme colpe maggiori.


Dunque, prendiamo sul serio tutte le nostre mancanze e proviamo, coll’aiuto della Madonna Immacolata, a correggerne anche le più piccole, perché Dio ci ha comandato di essere prefetti. Amen.

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La lotta contro il peccato (1).

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Innanzi tutto, se siamo consapevoli di essere in peccato mortale o soggetti a tentazioni verso il peccato mortale, tutte le forze dell’anima dobbiamo concentrare nella lotta contro di esso, chiedendo l’aiuto di Dio senza tregua. Non basta dire: mi confesso dopo.


Ma se non ci siamo soggetti, dobbiamo lottare contro il peccato veniale. ‘Se non siamo affogati nel mare’, avverte sant’ Agostino, ‘ stiamo attenti di non essere sommersi nella sabbia.’ Perché i nostri peccati veniali possono essere tanti quanti i granelli di sabbia sulla spiaggia del mare ed essi ci spingono verso il peccato mortale, ossia verso la morte eterna.


Se ci vogliamo santificare, oppure se possiamo solo essere meno incerti della nostra salvezza, è essenziale confessarci spesso e fare un esame di coscienza ogni giorno.


Quell’ impazienza, quel tono di voce duro, quel pensiero cattivo; quella parola cattiva, quella parola in più, quella parola aggiunta alle pettegolezze di altrui; quel piccolo atto di disonestà, quella menzogna “al fin di bene” – come se i fini pottessero giustificare i mezzi – , quel tacere di un consiglio morale per rispetto umano; preghiere mancate, fatte male, raccorciate; autoindulgenza, divertimenti eccessivi, parole inutili; spreco di tempo, spreco di soldi, spreco di cibo; antipatie coltivate nel cuore, sensualità disordinate coltivate, offese (vere o immaginate) coltivate nel cuore, ingigantite, raccontate ad altri – tutti granelli di sabbia accumulandosi attorno all’anima, immobilizzandola, soffocandola.


I maestri della vita spirituale dicono che dopo il peccato mortale dobbiamo combattere in primo luogo il peccato veniale deliberato. Se il peccato mortale rompe l’unione a Dio, come tagliare il cordone che attacca uno scalatore di montagna ad un altro, se acceca la mente (conviventi non capiscono più che fanno male); il peccato veniale disturba l’unione a Dio come un cordone gradualmente logorato col contatto con la roccia tende a rompersi, e confonde la mente.


Vigilate! dice spesso il Signore. Siamo vigili! Facciamo un esame di coscienza ogni giorno, ogni sera prima di andare al letto: Cosa ho fatto oggi? Cosa ho fatto la mattina? Cosa ho detto il pomeriggio? Cosa ho pensato la sera? Il nostro compito è di progredire nella virtù ogni giorno della vita: da giorno a giorno, da confessione a confessione, da santa Comunione a santa Comunione: progredire nella virtù, progredire nell’amore verso Dio e verso il prossimo: con ogni giorno, con ogni confessione, con ogni santa Comunione.


L’illustre pittore Zeuxis disse: Dipingo per l’eternità. Dì anche tu: Dipingo per l’eternità: Dipingo l’icone della mia anima per l’eternità. L’icone, eikon in greco, significa immagine: l’anima è immagine di Dio: fatta secondo l’immagine ed assomiglianza di Dio. Sto creando, sto dipingendo un’immagine di Dio che io possa mostrare a Dio nell’ultimo giorno della vita, nell’ultimo giorno dell’universo, nella quale i beati del cielo e gli angeli possano vedere ed ammirare, lodare e glorificare Dio Stesso per tutta l’eternità.

+ In nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen

Le passioni nell’economia di salvezza

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Nel suo commentario su Salmo 9, sant’Agostino pone le passioni nel contesto dell’economia di salvezza. In un’anima ancor imperfetta il demonio regna, almeno fino a un certo qual grado. Prima di ricevere la Grazia santificante col battesimo, o dopo averla persa tramite il peccato mortale, regna supremo; ma continua a regnare in modo meno potente, anche quando l’anima pecca in modo solo veniale, o manca alla perfezione tramite le proprie debolezze. In collaborazione col primo uomo, il demonio ha creato, per così dire, le tre concupiscenze, quelle degli occhi, della carne, e della propria eccellenza, cioè la superbia. Inoltre ha disordinato le passioni, mediante le quali operano le concupiscenze, fonti di ogni peccato. Le concupiscenze vengono intese come i suoi satelliti, le passioni disordinate come il suo popolo, e l’anima come una città.

Le lance del nemico sono venute meno per sempre; e hai distrutto le città. Ma [si tratta di] quelle città sulle quali regna il diavolo, ove tengono luogo di senato consigli ingannatori e fraudolenti, alla cui autorità si accompagnano come sicari e ministri gli uffici di ciascuno dei membri: gli occhi per la curiosità, le orecchie per la lascivia o per le altre cose che siano volentieri ascoltate con spirito deteriore, le mani per la rapina o per qualsiasi altra scelleratezza o delitto, e le restanti membra [sottoposte] per scopi analoghi all’autorità tirannica, ossia che militano sotto ai perversi consigli.

‘La plebe di questa città è costituita da tutti i sentimenti sensuali e dai moti turbolenti dell’animo, che sollevano nell’uomo rivolte quotidiane. Infatti laddove si trova un re, un senato, dei ministri, un popolo, là esiste una città. E non vi sarebbero tali elementi nelle città malvagie, se prima essi non fossero nei singoli uomini, che sono come gli elementi e i germi delle città. Ha distrutto queste città [il Signore] quando ne ha scacciato il principe del quale è stato detto: il principe di questo secolo è stato gettato fuori. Dalla parola della verità sono devastati questi regni, tramortiti i malvagi consigli, i disonesti sentimenti domati, le funzioni delle membra e dei sensi assoggettate e poste al servizio della giustizia e delle buone opere; in modo che ormai, come dice l’Apostolo, non regni il peccato nel nostro corpo mortale e le altre cose che dice in questo passo. Allora l’anima è pacificata, e l’uomo è avviato alla conquista della pace e della beatitudine.’

La città viene conquistata dunque quando la parola della verità, la Fede, ci entra, portando con sé la conoscenza necessaria per superare le tre concupiscenze, ed il disordine delle passioni. In conseguenza la città, cioè l’anima, si sottometterà al regno pacifico del vero bene, del Sommo ed Infinito Bene che è Dio: Lo amerà e si rallegrerà in Lui.

Mi allieterò ed esulterò in Te. Non più in questo mondo, non nel piacere del contatto tra i corpi, non nei sapori del palato e della lingua, non nella soavità dei profumi, non nella giocondità dei suoni che svaniscono, non nelle forme multicolori dei corpi, non nella vanità delle lodi umane, non nel matrimonio o nei figli che morranno, non nelle superfluità delle ricchezze temporali, non nella investigazione di questo mondo, sia per le cose che si estendono nello spazio, sia per quelle che si svolgono nel succedersi del tempo; ma mi allieterò ed esulterò in Te, cioè nei segreti del Figlio, da cui si è impressa in noi la luce del Tuo volto, o Signore. Infatti li nasconderai – dice – nel segreto del Tuo volto.’ Amen.

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Le passioni e i loro veri oggetti

 + In nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen.

Nell’ultimo articolo abbiamo meditato sull’oggetto della passione fondamentale cioè dell’amore. Ora guarderemo brevemente l’oggetto delle passioni individuali. Ricordiamo che le passioni si rapportano a ciò che sperimentiamo come bene o male: al bene o al male apparenti.

Amore, desiderio, gioia, speranza, disperazione si rapportano al bene apparente. L’amore si rapporta all’unione col bene: costituisce desiderio quando il bene è assente, e gioia quando è presente. La speranza sorge quando il bene è difficilmente raggiungibile; audacia quando mi viene la forza per raggiungerlo; disperazione quando è impossibile raggiungerlo.

Odio, ira, paura, avversione, tristezza si rapportano, invece, al male apparente. Odio, ira, e tristezza si rapportano al male presente: l’odio e l’ira ci si oppongono; la tristezza lo accetta. Paura e avversione si rapportano al male assente: la paura anticipa la sua venuta; l’avversione ci prepara per schivarlo.

Il nostro compito, come abbiamo già visto, è di indirizzare le passioni ai loro fini giusti: ossia di indirizzarle non al bene o male apparenti, bensì al bene o al male veri.

L’oggetto vero ed adeguato dell’amore, come abbiamo detto, è Dio Stesso, Nostro Signore Gesù Cristo, ‘il più tenero, il più generoso, il più devoto degli amici’. A Lui bisogna dare il cuore nelle meditazioni quotidiane, nel ringraziamento dopo la santa Comunione, nella pratica costante della presenza di Dio. In secondo luogo l’oggetto deve essere il bene principale che cerchiamo con la vita, che potrebbe essere la salvezza e la santificazione delle anime, anche delle nostre tramite il proprio lavoro su se stessi; l’esaltazione della santa Madre Chiesa, il bene della patria, dei figli che educhiamo e delle famiglie che sosteniamo, inoltre le amicizie buone e sovrannaturali. Questi beni bisogna dunque amare, godere, desiderare, sperare con incrollabile fiducia in Dio, e cercare con audacia: malgrado i costi e tutti i pericoli possibili.

La disperazione, secondo la sintesi di padre Tanquerey da cui citiamo in questo paragrafo, si trasforma in giusta diffidenza di sè, fondata sulla conoscenza della propria peccaminosità e debolezza, ma temperata dalla fiducia in Dio… L’odio e l’avversione si volgono al peccato, al vizio, ed a tutto ciò che vi conduce, come si legge in salmo 118: Iniquitatem odio habui. La paura, invece di essere deprimente sentimento che fiacca l’anima, si trasforma per il cristiano in fonte di energia: teme il peccato e l’inferno, santo timore che lo arma di coraggio contro il male; teme soprattutto Dio, premuroso di non offenderLo, e sprezza l’umano rispetto. La tristezza, piuttosto che fiaccarci come la paura o far scendere in malinconia, passa in dolce rassegnazione dinanzi alle prove che sono per il cristiano seme della gloria, oppure in tenera compassione per il Nostro Signore Gesù, paziente ed offeso a alle anime afflitte. L’ira, invece di toglierci la padronanza di noi stessi, si fa giusto e sano sdegno che ci rende più forti contro il male.

Dopo aver ordinato le passioni, non veniamo più scossi qua e là dai venti e dai flutti delle vicissitudini di questa vita: dalle circostanze esterne e dalle debolezze interne. La sensibilità sarà stata indirizzata al vero bene: a Dio Stesso ed ai beni del creato nel loro giusto orientamento a Lui. Le energie della vita emozionale e passionale saranno state indirizzate ai propri fini; molto peccato, molta imperfezione, molta sofferenza si possono ormai evitare; molto bene si può compiere. Con la mia collaborazione Dio ‘ha ordinato la Carità nella mia anima’: la Carità che mi è divenuta principio guida e mi condurrà in pace alla patria celeste. Amen.

+ In nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen.

Le Passioni ed il vero bene

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Abbiamo guardato il male che ci possono recare le passioni disordinate. Una differenza essenziale tra i figli del mondo ed i cattolici che vogliono vivere piamente e devotamente in questo mondo, è che i primi vivono secondo le loro passioni, e i secondi si sforzano a controllarle ed a moderarle. I primi vanno dove li conducono la passione dell’amore (quella passione più fondamentale) e poi le altre passioni che la seguono. Le speranze e le gioie, il coraggio (o audacia) e la disperazione si rapportano all’acquisto, al possesso, o all’impossibilità di acquistare, quella cosa o persona che sperimentano come bene; la paura, l’ira, l’avversione, la tristezza si rapportano, invece, a ciò che sperimentano come male – nello stesso mondo apparente creato dai loro sentimenti. Bramano di essere appagati non ordinando e superando le passioni, bensì indulgendole: il ciò serve, però, come abbiamo già fatto notare, solo per aumentarle.

Il cattolico serio, invece, cerca di ordinare le passioni in modo giusto: assoggettando le passioni (o emozioni), vale a dire il cuore, all’intelletto ed alla volontà: all’intelletto illuminato dalla Ragione e dalla Fede, ed alla volontà accesa dalla Carità; indirizzando il cuore verso il vero bene, e staccandolo dal vero male: così che in fin fine sperimenterà come bene ciò che è davvero bene, e come male ciò che è davvero male; ed in fine si appagherà e raggiungerà la pace – la pace, secondo sant’Agostino, essendo nient’altro che la tranquillità dell’ordine.

Ora il vero bene, nel senso definitivo del termine, è Dio Stesso a la Sua Gloria. Se oriento la vita e tutti i miei sforzi a questo bene, dunque, se scelgo Lui come il vero bene personale, se Egli è il mio tesoro: presso Lui sarà anche il mio cuore: l’orientamento del cuore, tutto l’orientamento della sensibilità e dell’amore.

Ci sono diversi modi per cercare Dio e la Sua Gloria: il primo, che è anche quello diretto, è salvare le anime tramite l’azione e la preghiera; un secondo modo (indiretto) è amare il prossimo in altre maniere, tramite il servizio; un terzo modo (anche indiretto) è impegnarmi in un lavoro utile in istato di Grazia, con l’intento di glorificare Dio.

Prendiamo l’esempio di una madre che si prende cura del figlio. Ovviamente il cuore materno è fisso sul bene del figlio: sulla salute, sull’educazione intellettuale, morale, e sopratutto spirituale, affinché il figlio possa crescere come cristiano esemplare: responsabile, buono, felice, ed in grado di salvare e santificare l’anima.

E’ facile vedere che quando il cuore materno sarà fisso sul vero bene del figlio – vale a dire che l’amore viene indirizzato nel modo giusto verso il figlio – che tutte le altre passioni o emozioni si ordineranno corrispondentemente: le speranze, l’audacia, la paura, l’ira staranno tutte nella giusta relazione al bene ultimo del figlio; e che tutte queste emozioni (e il tipo di educazione che motivano ed informano) staranno nella giusta relazione a Dio ed alla Sua Gloria.

Quanto è importante, dunque, per un genitore, anzi per qualsiasi persona in qualsiasi stato di vita o in qualsiasi occupazione, fissare il cuore sul bene che lui è obbligato a compiere, e sul bene ultimo che questo bene deve promuovere: cioè la Gloria di Dio. Quanti frutti potrà produrre e quanto tempo dureranno, se l’intelletto, la volontà, le emozioni mirano a questi fini: quanti frutti in questa vita, e quanti nell’eternità! Amen.

+ In nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen.

Le passioni: il male che ci recano

+ In nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen.

Stiamo guardando il male che ci possono recare le passioni sregolate. A parte del peccato come tale ci sono cinque modi in cui danneggiano l’anima.

a) La logorano

‘Le passioni’, dice san Giovanni della Croce, ‘sono come i bambini irrequieti che non si riesce mai a contentare; chiedono alla madre ora questo ora quello, e non sono mai soddisfatti. Come si affatica e si stanca che scava cercando il tesoro che non trova, così si affatica e si stanca l’anima a conseguir ciò che gli appetiti le chiedono; e quand’anche finalmente lo consegua, pure sempre si stanca perché non resta mai perfettamente paga… è come il febbricitante che non sta mai bene finchè non gli passi la febbre e che ogni momento si sente crescere la sete…’

b) Tormentano l’anima

Abbiamo visto che le passioni, come bambini viziati, chiedono soddisfazione senza tregua, non stancandosi mai: anzi, più vengono appagate, più chiedono. Inoltre, più vive sono, più intenso il dolore che ci recano. Se la coscienza rilutta di concedergli la vittoria, si impazientiscono: rinnovano gli assalti sulla volontà per farla cedere ai sempre rinascenti desideri. Così logorano ed affliggono l’anima che ‘ne è desolata, agitata, turbata, come i flutti del vento.’

c) Accecano l’anima

Da moti impetuosi, corrono precipitosamente verso quegli oggetti che sentono di essere buoni, senza consultare la ragione, lasciandosi guidare unicamente dall’inclinazione o dal diletto. La passione dell’amore in particolare è orientata a possedere il suo oggetto – sia una cosa sia una persona – hic et nunc: qua e subito, senza badare né alla moralità dell’atto, né alle conseguenze. ‘La qual cosa’, dice padre Tanquerey, ‘turbando l’animo, tende a falsare il giudizio e ad oscurare la retta ragione; l’appetito sensitivo è cieco per natura, e se l’anima lo prende come guida, diviene cieca anch’essa; in cambio di lasciarsi guidare dal dovere, si lascia abbagliare dal momentaneo diletto.’

La forza della passione sregolata, offuscando la ragione ed il retto giudizio, li acceca nel suo impeto sfrenato verso il bene desiderato, come equi galoppanti, sollevando la polvere della strada, accecano gli occhi dell’auriga e finiscono per lanciare lui e se stessi nel fossato.

d) Infiacchiscono la volontà

‘Sballottata in vari sensi dalle passioni ribelli’, continua padre Tanquerey, ‘la volontà è obbligata a disperdere le forze e quindi ad indebolirle… simile a quei polloni inutili e succhioni che germogliano attorno al tronco di un albero, gli appetiti si vengono mano a mano sviluppando e rubano vigore all’anima… viene così il momento in cui, infiacchita, l’anima cade nel rilassamento e nella tiepidezza, pronta a tutte le transazioni.’

e) Macchiano l’anima

L’anima è chiamata ad unirsi a Dio, ad alzarsi al Suo livello, ed a divenire la Sua immagine. Unendosi invece alla creatura, abbassandosi al suo livello, e facendosi alla sua immagine, si contamina e si macchia di bruttezza. ‘Oso affermare, scrive san Giovanni della Croce, che un solo appetito disordinato, anche che non sia contaminato da peccato mortale, basta per mettere un’anima in tale stato d’oscurità, e di bruttezza, e di sordidezza, da divenire incapace di qualunque (intima) unione con Dio, finchè non se ne sia purificata. Che dire allora dell’anima che ha la bruttezza di tutte le sue passioni naturali, che è in balìa di tutti i suoi appetiti? A quale infinita distanza non si troverà dalla purezza divina? Né parole né ragionamenti possono far comprendere la varietà della sozzure che tanti diversi appetiti producono in un’anima… ogni appetito depone in modo suo la speciale sua parte di immondezza e di bruttezza nell’anima.’

*

Occorre dunque un lavoro per controllare e moderare, cioè per mortificare, le passioni sregolate, anche le più piccole, per raggiungere l’unione a Dio. Perché qualsiasi attaccamento che possiamo avere alle creature, compreso a noi stessi, impediscono l’attaccamento perfetto a Lui al quale siamo chiamati. I più pericolosi sono gli attacchi e le passioni abituali che svigoriscono la volontà, anche quando sono leggeri. San Giovanni della Croce osserva in riguardo: ‘che un uccello abbia la zampina legata da un filo sottile o da un filo grosso, poco importa: non gli sarà possibile volare se non dopo averlo spezzato.’

Esaminiamoci sulle proprie passioni: Sono da controllare e moderare? Ci logorano ed addolorano? Oscurano e si impadroniscono della ragione? Seducono la volontà? Se troviamo qualcosa in noi che non sia in ordine, ci mettiamo ad ordinarlo oggi stesso, non appoggiandoci solo sui propri sforzi, ma con l’aiuto della preghiera e della Grazia divina: per attaccarci unicamente a Dio, unendoci a Lui perfettamente, già durante questa vita terrena. Amen.

+ In nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen.

Le passioni: come gestirle

+ In nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen.

Le passioni, come abbiamo già fatto notare, sono state disordinate dal Peccato originale. Sono difficili da gestire, soprattutto quelle che corrispondono al proprio temperamento: sia irascibile, malinconico, eccessivamente affettuoso e così via; ancor di più difficilmente gestibili dopo che una persona abbia acquistato abitudini cattive, come il cedere all’ira, alla tristezza, alla passione dell’amore senza la dovuta misura, oppure fino al peccato.

Poiché le passioni provengono dal cuore, ci spetta innanzitutto un lavoro su di esso: ossia tramite l’intelletto e la fantasia. Abbiamo già esposto i due pericoli inerenti all’uso della fantasia: che ci fa perdere tempo e porta al peccato mentale, e poi a sua volta, eventualmente anche al peccato dell’azione. Quando la passione è disordinata, proviamo a staccarci da essa. Se un uomo sposato ha concepito amore per una donna che non è la sua moglie, non deve soffermarsi su esso; un collerico che venne offeso da altrui non deve soffermarsi sull’offesa, e così via per tutte le passioni. Più da vicino, non si deve riflettere sulla causa della passione, ne immaginarci esprimerla, perché più la immaginiamo, più cresce il desiderio di agire; e più cresce il desiderio, più probabile è che agiremo. L’uomo sposato non deve fantasticare su come si comporterebbe in determinate circostanze; il collerico non deve fantasticare su come si vendicherebbe.

Quando le passioni sono eccitate, bisogna sfrenarle con un atto di volontà, accorgendosi che tali ruminazioni sono vuote e pericolose. La volontà comanda alla mente di pensare ad altro; comanda al corpo di non cedere agli impulsi della passione. Se si viene presi dall’ira, ad esempio, non si deve alzare la voce, gesticolare, assumere un’espressione di rabbia: piuttosto si taccia e si mantenga la calma. Se si incontra qualcuno per cui si ha un affetto disordinato si è cauti di non esprimerlo neanche in parole; se invece si incontra una persona per cui si ha un’antipatia, si è cauti ugualmente a non tradire i veri sentimenti del cuore.

Invece di trattenerci sulle passioni, bisogna indirizzare i pensieri e le energie a qualcosa di utile: se siamo da soli ci possiamo dire: Basta con i sogni! al lavoro! Se siamo in compagnia, possiamo far ricorso a quei atti che si oppongono alle passione in questione: a chi ci ha fatto arrabbiare, lo si tratti con calma, a chi a cui ci sentiamo attratti con sobria cortesia, a che ci è antipatico con bontà.

Quando una passione disordinata avrà acquistato una tendenza tale da spingerci verso il peccato, bisogna prendere il tempo per ritirarci e rifletterci. Immaginiamoci quanto male potremmo operare, se cedessimo a quella tendenza: quale sorpresa vivissima, quale dolore, quale umiliazione (se siamo in compagnia) creeremmo per una persona che ci ha irritati se lo insultassimo; o se è irascibile anche le: quale litigata, quale scandalo, quale pessima figura! Immaginiamoci quanto danno ci faremmo a noi stessi, opponendoci allo stesso scopo per cui siamo su questa terra: cioè per amare Dio ed il prossimo.

Similmente, un uomo sposato deve pensare agli effetti eventuali che certe libertà verso un’altra donna potrebbero causare: la sottintesa complicità, il desiderio e la speranza che in lei si potrebbero suscitare; la pena che potrebbe dare alla moglie; il sospetto che potrebbe evocare in altrui; il cammino del quale avrà già fatto il primo passo, e che conduce chi sa dove?

Riflettiamo, dunque, quando siamo da soli, su dove ci potrebbero portare le passioni disordinate, e prendiamo coraggio a sottometterle ad un rigoroso controllo. Serviamoci dell’intelletto e della fantasia non per intrattenerci su esse, ma piuttosto a considerare il loro pericolo e come evitarlo.

Vogliamo amare Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutta la mente, e con tutta la forza? In questo caso allora finiamo di perdere tempo, e di condurre una vita di imperfezione, di pericolo, e di peccato, nuotando contro la ragione nel mare turbolente della natura caduta. Per superare la padronanza della passione in modo determinante, si deve sostituirla con un’idea, con un ideale, più grande, più forte, più nobile, più potente: l’idea di Dio: la Sua volontà per me, il mio desiderio di amarLo sopra ogni cosa fino all’unione definitiva a Lui in cielo. Questa idea superiore si può tradurre in una frase come ‘Deus meus et omnia’, ‘Dio mio e tutto’, ‘Tutto per Voi, o Dio’, ‘Dio mio, Misericordia’, ‘Tutto per la Vostra gloria.’

Per amore di Lui dunque intraprenderò questo lavoro su di me: l’autocontrollo, il non cedere alla passione disordinata dell’ amore, dell’odio, dell’ira, della tristezza o di qualsiasi altra passione nociva. Ciò mi porterà la calma, la pace, ed in fine la felicità. Più l’idea superiore possa sostituire quella inferiore, catturando la mente la volontà, e superando la tirannia delle passioni, più regnerà sul cuore. Così i sentimenti saranno sottomessi all’intelletto e alla volontà, e l’intelletto e la volontà sottomessi a Dio; il cuore sarà stato purificato ed indirizzato verso le cose del cielo, per poter guidarmi sopra il mare tempestoso di questo mondo fino nel porto sereno dell’Eternità.

+ In nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen.

Le passioni: caratterizzazione e disordine

+ In nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen.

Le passioni: caratterizzazione e disordine

a) Caratterizzazione

Abbiamo già fatto notare che le passioni si rapportano a ciò che sentiamo come bene o male. In breve sintesi, le passioni principali si rapportano al bene o al male nel modo seguente: si sente la gioia (la gioia dell’amore) quando il bene è presente, cioè quando si gode del bene, unendosi ad esso; si sente desiderio (il desiderio dell’amore) quando il bene è assente, bramando ad unirsi ad esso, ad essere presente ad esso (o a lui o a lei, se il bene in questione è una persona). Si sente speranza quando si desidera il bene assente di cui l’acquisto è possibile, ma difficile. Si sente coraggio quando si è rafforzati per unirsi al bene di cui l’acquisto è possibile, ma difficile. Si sente disperazione quando l’acquisto del bene è impossibile.

Ecco le passioni più comuni che si rapportano al bene; quanto a quelle più comuni che si rapportano al male invece: l’odio è la passione di allontanare da noi il male; l’ira è quella di respingerlo violentemente; la paura fa allontanarci da un male assente difficile a schivarsi; l’avversione fa schivare il male che si sta avvicinando; la tristezza si cruccia del male presente insuperabile.

b) Disordine

Quanto al disordine delle passioni, ripetiamo che sono radicalmente disordinati in conseguenza del Peccato originale. Il disordine consiste innanzitutto nel loro attaccamento ad oggetti inadeguati, cioè falsi – come quando si concepisce l’amore per ognuno che passa per strada, sprecando energie psichiche nell’ammirare la loro bellezza, come ammirare le sempre mutevole forme e colori attraverso un caleidoscopio; oppure quando si concepisce timore, tristezza, ira rispetto a qualcosa che non è un male affatto – come un rimprovero.

Il disordine può consistere ugualmente nell’eccesso di una determinata passione: si può sentire un amore appassionato per qualcuno a cui occorre piuttosto l’amore di amicizia, o temere disordinatamente un incontro innocuo. Le passioni esercitano una forza particolare secondo il dato carattere di una persona: in un appassionato predomina l’amore; in un collerico l’ira; in un malinconico la tristezza. Esperienze di infanzia, soprattutto quelle traumatiche, predispongono l’individuo verso uno di questi tipi di carattere o rinforzano tendenze caratteriali già presenti in lui, esacerbando così le passioni. Le passioni vengono consolidate dalle abitudini, così che col passare del tempo divengono difficili da gestire o persino da discernere.

Ci possiamo poi trovare nella posizione che il salmista descrive con le parole seguenti: ‘Là hanno temuto dove non c’era il timore’ – vale a dire: dove non c’era motivo ragionevole per temere – un pensiero che si può anche applicare più largamente: Là hanno amato dove non c’era l’amore; odiato dove non c’era l’odio; là si sono arrabbiati dove non c’era la rabbia…

Abbiamo descritto le passioni come ‘moti impetuosi con una ripercussione sul corpo’. Stiamo proseguendo con calma le attività quotidiane: subitaneamente ci attaccano l’organismo: la paura stringe il cuore, mi fa impallidire; l’ira accende un fuoco spingendo verso la violenza; l’amore dilata il cuore, trascinando all’unione; la tristezza mi inonda, paralizzandomi. Quanto è duro dominare le proprie passioni, anche dopo anni di ascesi! Quanto è duro comportarsi sempre con calma e pace, e sempre secondo la fede e la ragione. La tempesta infuria: i venti, le onde, le correnti scuotono e sballottano la barca del corpo; la spazzano via dal corso.

Le passioni disordinate ci possono far male in modi diversi: ci possono trascinare nel peccato: la paura di disturbare qualcuno (il rispetto umano) mi chiude la bocca; l’ira ci fa offendere; l’amore disordinato contamina i rapporti con altrui, la tristezza ci fa pigri. Inoltre ci rubano la pace di animo, il prezioso bene. La pace dell’animo ci permette di vivere raccolti nella presenza di Dio e di essere aperti alle Sue ispirazioni; costituisce la maggior parte della felicità terrena.

Proviamo a lavorare sulle passioni: ad assoggettarle alla ragione ed alla fede: per poter compiere i vari doveri di questa vita come si devono, e vivere in una pace inalterabile in presenza del nostro amorevolissimo Dio.

Maria, Regina Pacis, ora pro nobis! 

Angele Pacis, ora pro nobis! 

Sancte Angele noster Custos, ora pro nobis!

Nos cum prole pia, benedicat Virgo Maria!  Amen.

+ In nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen.

Le passioni

+ In nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen.

Introduzione

Continuiamo presentando il lavoro che occorre fare su se stessi. Avendo considerato i sensi, svolgiamo un sguardo adesso sulle passioni: altrimenti conosciute come le emozioni. Ora le passioni vengono descritte come: ‘moti impetuosi dell’appetito sensitivo rispetto a ciò che si sente come bene o male con una ripercussione sul corpo.’ L’amore, per esempio (la passione principale), è un movimento impetuoso verso un bene apparente, con una ripercussione fisica nella dilatazione del cuore; l’ira fa correre il sangue al cervello; la paura ci fa impallidire ecc.

I sensi e le passioni appartengono a ciò che si chiama la facoltà sensitiva dell’anima: la sua capacità di sentire. Questa facoltà la condividiamo con gli animali, come abbiamo già sopra accennato, che usufruiscono anche essi i sensi e le passioni. I sensi e le passioni servono a noi, come anche a loro, per discernere tra ciò che è proficuo e ciò che è nocivo nel mondo che ci circonda: per poter approfittare del positivo, ed evitare, o superare, il negativo.

Due sono le differenze, però, nella facoltà sensitivo, tra gli animali e noi. Le sensi e le passioni degli animali non sono in nessun modo soggetti alla razionalità; non sono neanche minimamente disordinati. I sensi e le passioni umani, invece, hanno una qualità razionale che trasforma il sentimento in qualcosa di comprensibile, e sono inoltre sottomessi alla padronanza della ragione; per di più sono disordinati in conseguenza del Peccato originale: non siamo come gli animali che sono sempre moderati nella ricerca dei piaceri dei sensi, e nell’uso delle passioni.

Il fatto che le passioni sono parzialmente disordinati e fuori controllo, non significa, però, che siano cattive di per se stesse, come mantengono i Stoici ed i Buddisti; piuttosto sono state create buone, poi danneggiate, ed ora vanno moderate: un’opera meritevole che fa parte (e non la minima parte) del lavoro che bisogna fare su se stessi.

Non siamo come gli animali, dunque, che hanno solo le passioni per aiutarli, e nient’altro: abbiamo noi una facoltà più alta di loro, cioè la razionalità: la ragione e la volontà. Le passioni ci indicano cosa c’è del bene e del male nel mondo intorno, ma bisogna valutare i loro dettami secondo la ragione, e poi agire in conformità alla realtà. Bisogna giudicare se la persona o la cosa che sentiamo di essere buona sia davvero buona; se quella che sentiamo di essere cattiva lo sia di fatti. Il nostro compito è di reagire al vero bene al vero male nel modo adeguato. Questa persona antipatica è nociva e da evitare? Questa persona simpatica è buona e da accogliere? Non ci lasciamo portare via dalle emozioni: dall’odio, dall’amore, dalla paura, dalla tristezza: ma controlliamole e moderiamole, utilizzandole come forze per fare il bene ed evitare o superare il male, e per divenire persone migliori.

In questa faccenda imitiamo nostro Signore Benedetto, e la Madonna, che erano, e sono, padroni completi delle passioni – non sopprimendole ma, immuni al Peccato originale, vivendole secondo lo stato di natura pura. Nostro Signore ad esempio, secondo la testimonianza della Sacra scrittura, sentiva la forza delle passioni, ma le adoperava in modo adatto alle circostanze: pianse su Gerusalemme; amava il discepolo san Giovanni; si arrabbiava contro i mercanti nel Tempio; fu preso dalla paura nell’orto: ma tutto secondo il giusto peso, la giusta misura e proporzione.

Sono loro i nostri modelli in questo ed in tutto. La moderazione delle passioni è una meta difficile, ma seguendo il loro esempio e chiedendo il loro aiuto, la raggiungeremo con sicurezza, alla loro eterna gloria.

+ In nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen.

I sensi interni

+ In nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen.

Nel corso delle meditazioni sulla vita interiore, più particolarmente sul lavoro da compiere su se stessi, abbiamo prima considerato i sensi esterni. Passiamo adesso a guardare quegli interni. Ora i sensi interni sono due: la fantasia e la memoria. Mentre la memoria è indipendente dalla fantasia, la fantasia dipende tipicamente dalla memoria, tirando immagini da questa fonte di ricordi ricca e feconda, per combinarle e manipolarle come a noi piace.

Questi sensi esistono per fornirci della materia su cui possiamo operare; ci permettono anche di comunicare piacevolmente con altrui, servendoci di immagini amene e vivide prese dall’esperienza di vita. Comunque ci sono due pericoli inerenti all’uso di questi sensi che vale la pena da evocare.

Il primo è la perdita di tempo e di energie.

Il malinconico guarderà indietro su avvenimenti o periodi della vita quando le cose non andavano bene, su peccati, su fallimenti reali o immaginari: e di nuovo si considera come vittima, e si rattrista. Si sofferma sul negativo, si lascia affondare in un declino psichico; il superbo, invece, guarderà indietro sui suoi successi, reali o immaginari, medita sui doni naturali o sovrannaturali ricevuti, si indulge in autocompiacimento, egoismo, o arroganza; l’irascibile si nutrirà dell’ira alla memoria di offese; il libidinoso si pascerà sul pascolo della sensualità.

Quanto tempo si perde con tali fantasticherie, chiudendosi nel proprio mondo privato e suonando ripetutamente come un pezzo di musica o come un filmato i ricordi del passato! Quanto tempo prezioso, quante energie si perdono, che si sarebbero potute applicare a qualche utile attività: come fare del bene a qualcheduno o a se stessi, pregare, o semplicemente alzare il cuore a Dio, se questi pensieri ci vengono mentre camminiamo o lavoriamo. Così si sarebbero anche potuti guadagnare meriti per l’eternità. Bisogna dunque uscire da se stessi, dal mondo del passato: oscuro, difficile da comprendere e da valutare, prestandosi ad essere modellato secondo al temperamento del soggetto e ai propri sentimenti passeggeri.

Se il primo pericolo è dunque la perdita del tempo, l’inerzia, l’omissione, il secondo è il peccato.

Il malinconico si lascia scoraggiare, divenire pusillanimo, perdere fiducia in Dio, abbandonare la speranza; il superbo, l’irascibile, il libidinoso, si indulge nel vizio che lo caratterizza. Peccati mentali si commetteranno e spingeranno ad azioni. La fantasia crea sceneggiature dove il sognatore si immagina vittima, adulato, vendicatore, amante.

Il demonio entra per alzare il volume della musica, per così dire, o del filmato, per intensificare il colore delle immagini, per sopraffarci con quei ricordi vani e vuoti affinché viviamo nel passato o in un futuro immaginario, e giammai nel presente dove la salvezza si deve realizzare. Persino il cattolico impegnato a condurre una buona vita, o un vita migliore, o che vuol dare tutto per condurre la vita la migliore che possa, può cadere in queste reti del nemico, estese per coglierlo all’insaputa nell’uso dei sensi interni. Peccati passati, mancanze, errori, le sciocchezze della giovinezza assieme a tutte le sue inettitudini diverranno materia non per un resoconto sobrio e realista, ma per l’interna angoscia. ‘Cosa ho fatto della mia vita? Dovrò dare un conto di tutto quello nel giudizio, forse presto’. E così l’anima viene trascinata via da Dio, dal Creatore, dal Padre Celeste, di Cui il figlio prodigo dubita dell’amore, via dal Figlio Divino Che ha dato la vita per salvarlo, e che ha dato tutto per assicurargli l’eterna felicità. Falsa umiltà, che è piuttosto l’orgoglio, lo fa bramare di aver vissuto una vita perfetta, ma perché? per amor di Dio o per amor di sé? Sorge un senso di disperazione: tutto è perso, tristezza costante, uno spirito abbattuto, sconsolabile.

Bisogna gettare le nostre preoccupazioni su Dio e prendere coraggio. Viviamo nel presente: il presente è adesso. Il valore del passato è che ci insegna come agire nel presente e nel futuro. Le pene che ci portano le offriamo a Dio; alla luce del passato diveniamo umili, illuminati da uno spirito di compunzione, consapevoli della nostra debolezza, ma calmi, sereni, ed allegri.

Per quanto riguarda la memoria e la fantasia, impariamo a rigettare subito pensieri immorali, e non trattenerli né con la fantasia né con la volontà. Lo stesso vale per pensieri inutili, su cui osservano i santi che la mortificazione di pensieri inutili è la morte di pensieri immorali.

Il rimedio più efficace per superare i pericoli inerenti a questi due sensi è di applicarci con serio e con attenzione alle faccende del momento: studi, lavoro, impegni quotidiani; e se la mente è libera, alziamola a Dio. Proviamo a fare bene queste attività, guidando la memoria e la fantasia in modo forte con l’intelletto e la volontà.

In fine, popoliamo la memoria con delle belle immagini della Sacra Scrittura e degli scritti sublimi dei santi – l‘immagine della Rosa rossa della Passione del Signore, quella di Nostra Signora, Stella del Mare, alzata lontano al di sopra dell’oceano tempestoso di questo mondo: chiamandoci via dal passato e dai peccati del passato, alla gloriosa aurora della vita eterna. Amen.

+ In nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen.

I sensi esterni

+ In nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen.

Innanzitutto mediteremo sui sensi esterni. La prima cosa da dire sui sensi esterni è che nello stato della natura caduta essi cercano piaceri fino ad un grado disordinato, senza occuparsi troppo della questione della loro liceità. Si può dire di fatti che il corpo cerca soprattutto i piaceri illeciti senza badare ai dettami delle facoltà superiori dell’anima: cioè dell’intelletto e della volontà. I sensi, e parliamo qua principalmente dei sensi della vista, dell’udito, del gusto, e del tatto, sono come porte aperte tramite cui entrano nell’anima impressioni, tra le quali si insinua furtivamente il sottile veleno dei proibiti diletti.

Per questo motivo occorre un’attenzione tutto particolare nell’uso dei quattro sensi: a ciò che guadiamo, ascoltiamo, gustiamo, e tocchiamo.

Quanto alla vista è già chiaro che bisogna evitare l’oscenità, ma anche non soffermarci su ciò che ci possa eccitare la sensualità, e condurre più avanti a pensieri o fantasie fuori luogo. Per mantenere uno spirito di raccoglimento ci è utile altresì di non cedere costantemente ad uno spirito di curiosità – guadando in giro a tutti che passano o, come gli animali, a tutto ciò che si muove intorno.
Quanto all’udito, non ascoltiamo niente che sia contraria alla purezza, alla carità, all’umiltà e alle virtù cristiane, perchè, come dice san Paolo: ‘le conversazioni cattive corrompono i buoni costumi.’ O non sappiamo come una sola parola, oppure un’allusione o persino una insinuazione possa bastare per seminare nel cuore un’idea malsana che più tardi si può coltivare e trasformare in desiderio? Ma anche se non siamo a rischio di esser trascinati verso i desideri più bassi, tali discorsi ci tolgono la pace, terniscono la purezza di un’anima che ama Dio, e tirano un velo di oscurità sopra la luce della speranza pura ed innocente. I discorsi contro la carità, invece, nelle parole di padre Tanquerey su cui ci appoggiamo in questo articolo, ‘causano divisioni perfino nelle famiglie, diffidenze, inimicizie, rancore.’

Se ci troviamo in cattive compagnie, non partecipiamo alle loro conversazioni, vigiliamo anche sulle minime parole, cambiamo discorso, testimoniamo uno spirito autenticamente cattolico, o, se possibile, ci sottraiamo e evitiamo di frequentare tale persone pel futuro. A cosa servono queste compagnie d’altronde, se no di perdere tempo prezioso, e di contaminare l’anima sia moralmente che spiritualmente?

Per mantenere uno spirito di raccoglimento, è bene inoltre, come abbiamo già fatto notare nel caso della vista, di non ascoltare tutto ciò si dice intorno, per non mancare a niente. ‘Cosa?’ chiediamo, ‘Cosa ha detto?’ quando qualcuno fa un’osservazione che abbia forse interessato o fatto ridere tutti i presenti. Raccogliamoci piuttosto, tacciamo e non indulgiamo sempre la curiosità.

Quanto al gusto, da evitare è l’eccesso di quantità, varietà, e raffinatezza. La quantità può essere o nei pasti o nel mangiare fuori pasti; la varietà viene proposta dal consumismo della società che ci trascina verso una cornucopia sempre crescente di prodotti ricercati. Perché collaborare? E a cosa serve la raffinatezza? Come mai cerchiamo il migliore in tutto? Siamo modesti nel mangiare! E’ cosa buona fare un piccolo rinunzio ad ogni pasto: a volte non prendere di più di qualcosa che ci piace, a volte non prendere il sale o lo zucchero. Proviamo in somma ad evitare ogni eccesso: anzi a non soddisfare pienamente ognuno nostro più piccolo desiderio. Pensiamo al Re dei re che ha scelta liberamente la povertà in tutte le cose.

Una parola sul tatto. Ovviamente occorre la massima cautela nei rapporti con altrui per quanto riguarda questo senso che, più di tutti gli altri, è preda alla natura caduta. Non prendiamo delle libertà con altrui, sapendo bene che non solo noi ma anche loro sono vulnerabili al disordine sensuale.

*

Vediamo come occorre un lavoro costante e serio sull’anima. Questo lavoro, per essere efficace, però, si deve abbinare ad un lavoro parallelo sul corpo. Il corpo in fatti è unito strettamente all’anima e questi due principi della persona umana si influiscono potentemente a vicenda. San Paolo scrive: ‘Castigo il corpo e lo riduco in schiavitù’. Nostro Signore Gesù Cristo aveva raccomandato ai discepoli la pratica moderata del digiuno e dell’astinenza, la mortificazione della vista e del tatto. Abbiamo già accennato sopra a queste pratiche, ma vogliamo concludere con qualche altro consiglio sul lavoro da fare sul corpo: non solo lodevole di per se stesso, ma che anche tende a consolidare e rinforzare il rispetto e controllo che dovremmo avere di noi stessi.

La modestia del corpo e la buona creanza ci forniscono un largo campo di mortificazione: portare vesti richieste dalla propri condizione: decenti, semplici, modeste, pulite, senza vanità o affettazioni; camminare modestamente, schivare un contegno singolare, tenere il corpo dritto, non abbandonarci mollemente sulla sedia o sull’inginocchiatoio; non cambiare posizione troppo di frequente, evitare movimenti bruschi e gesti disordinati. Sono mezzi di mortificarci senza pericolo per la salute, senza attirare l’attenzione, e che ci danno intanto grande padronanza sul corpo, e di conseguenza, anche sull’anima: come anche conviene a membra di Cristo, tempi dello Spirito Santo, chiamati a servirLo fedelmente con tutta la vita. Amen. Deo Gratias!

+ In nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen.