Category: Pubblicazioni
Libro II. (cap. 25) Preparazioni al Santo Sacrificio della Messa.
Capitolo 24. Il Santo Sacrificio della Messa – la Scuola e la Fonte da cui La Vita Cattolica riceve il suo Spirito di Sacrificio
Capitolo 23. Il Santo Sacrificio della Messa – il centro del culto cattolico.
Capitolo 22. I partecipanti ai Frutti della Messa.
Cap. 21. La Santa Messa – un Sacrificio di Petizione.
Rev. Nicholas Gihr
Infine, che la Messa sia anche il più potente ed efficace Sacrificio di impetrazione, è incontestabilmente chiaro dalla dottrina e dalla pratica della Chiesa. Essa ha dichiarato che la Santa Messa non può essere offerta solo per la remissione dei peccati e la soddisfazione dovuta con la loro punizione, “ma anche per tutte le altre necessità, cioè per ottenere tutto ciò di cui abbiamo bisogno nell’ordine della grazia e della salvezza. Basta una rapida occhiata alle varie liturgie per convincerci che la Santa Messa è sempre stata considerata ovunque come il mezzo più efficace per ottenere assistenza in tutte le necessità e le preoccupazioni della vita. Ora ci resta solo da spiegare in che modo la Santa Messa agisce e quali effetti ha come sacrificio di petizione.
- Come Sacrificio di petizione la Santa Messa produce i suoi effetti attraverso la preghiera (per modum orationis vel impetrationis); l’offerta della Messa è, cioè, essenzialmente preghiera o vera petizione, e, quindi, proprio per indurre il cuore del Padre Celeste ad impartirci la ricchezza delle Sue grazie e benedizioni. Sull’altare, Gesù Cristo come Sommo Sacerdote si offre e intercede in nostro favore, presentando e offrendo all’Eterno Padre la sua dolorosa morte e tutti i suoi meriti, per indurlo a comunicarci i suoi doni. Sotto questo aspetto, il frutto irnpetratorio del Sacrificio Eucaristico origina ex opere operato; poiché ha il suo fondamento nella celebrazione del Sacrificio, negli atti e meriti di Gesù Cristo, e non nella devozione del sacerdote che celebra né dei fedeli per i quali viene offerto.
Gli effetti impetratori seguono infallibilmente, – o no? A questa domanda si risponde in vari modi, ma la differenza sta più nell’espressione che nella materia stessa. L’efficacia propiziatoria della Messa è infatti più certa di quella impetratoria; ma anche quest’ultima può essere chiamata infallibile – cioè, quando esistono tutte le condizioni necessarie. Nel caso in cui l’una o l’altra delle condizioni manchi, non otteniamo i favori desiderati. – Soprattutto, è necessario che l’oggetto della nostra petizione sia conforme alla volontà di Dio, cioè che si armonizzi con l’economia divina e l’ordine super-naturale della salvezza. E spesso non è così, in quanto i fedeli si sforzano di ottenere frutti speciali dalla Messa; “perché non sappiamo come dovremmo pregare per pregare come si conviene (Rm 8, 26). Ma quelle grazie che il nostro Salvatore vuole donarci e applicarci, le otteniamo sempre in modo infallibile, a condizione che non poniamo ostacoli sulla strada: Egli vuole procurarci solo tali favori, come Dio è disposto a concederci. Ciò che Cristo chiede in nostro favore, Egli lo ottiene sempre: la sua volontà non può mai essere incompiuta. Se Egli vive sempre nella gloria del Padre, per intercedere per noi: quanto più Egli, nel Suo carattere e ufficio di “Sommo Sacerdote di Dio misericordioso e fedele,” impiega in nostro favore il Suo onnipotente aiuto in quel momento e in quell’ora in cui Egli è misticamente immolato come vittima sull’altare! Allora Egli, come “nei giorni della Sua vita nella carne,” invierà preghiere e suppliche a Dio, e “a causa della Sua riverenza e dignità Egli sarà ascoltato” (Eb 5, 7). Sì, il Padre ascolta Lui (Gv 11, 42); perché nella Messa Cristo Gli offre sempre di nuovo il prezzo della Sua vita divino-umana, il Suo Sangue, le Sue ferite, il Suo amore, la Sua obbedienza, la Sua umiltà, – in breve, l’intero tesoro incommensurabile dei Suoi meriti, che Egli ha accumulato dal presepe alla Croce: non dovrebbe il Padre Celeste, a guardare il volto del Suo Cristo (Sal 83, 10), per amor Suo concederci favori e benedirci con ogni benedizione celeste? Il Signore non prega per le grazie, come noi; Egli ha piena pretesa su di esse, dal momento che le ha meritate. Poiché queste grazie sono tanto più l’effusione della più pura bontà e misericordia del Signore, più alto e più doloroso è il prezzo con cui Egli le ha acquistate per noi, così immeritevoli di favore.
Per ottenere una sovrabbondanza di grazia da Dio attraverso il Sacrificio Eucaristico, la Chiesa, il sacerdote e i fedeli offrono la Messa, unendo le loro richieste ad essa. Senza dubbio il risultato delle petizioni che sono portate e sostenute in virtù del Sacrificio Eucaristico, è meno ingannevole di quella di una semplice preghiera. Perché all’altare non siamo soli a gridare dal profondo della nostra miseria e povertà al trono di Dio, ma è Cristo, il nostro Capo e Mediatore, che prega e offre con noi e per noi. Sì, non ci limitiamo a implorare, ma allo stesso tempo offriamo al Padre Eterno il più prezioso dei doni – il Corpo e il Sangue del Suo amato Figlio, per muoverLo, con questa offerta, per impartirci, secondo la misura della Sua misericordia, ogni sorta di benedizione. Nonostante tutto ciò, la grazia implorata viene talvolta negata. Ma anche in questo caso, possiamo essere sicuri che la Messa non è stata del tutto priva di frutti ed effetti; al posto del dono desiderato, ne riceviamo un altro migliore e più fruttuoso per noi. Anche se non siamo ascoltati secondo il nostro desiderio, tuttavia questo condurrà alla nostra salvezza. ‘Il Signore o ci dà ciò che chiediamo, o ci concede qualcos’altro che sa che sarà più vantaggioso per noi”. – Perciò il frutto sacrificale che, secondo le nostre vedute ristrette, ci attendiamo non viene sempre concesso, ma ci viene donato un altro più adatto; quindi Dio non sempre dà le grazie della Messa nel momento in cui le desideriamo, ma in un altro momento migliore, quando piace a Lui. “Alcuni doni non ci vengono rifiutati, ma concessi in un momento più opportuno”. Se, quindi, non poniamo ostacoli sul cammino, ma ci prepariamo degnamente, otteniamo sempre qualche frutto salutare a causa del potere impetratorio del Sacrificio della Messa.
- In generale, si può dire che la Messa come Sacrificio di petizione ha esattamente gli stessi effetti della preghiera: sia la preghiera che il Sacrificio possono ottenere tutti i doni per noi ed evitarci ogni male. – L’oggetto di una preghiera di petizione può anche essere il frutto della petizione del Sacrificio Eucaristico, purché promuova direttamente o indirettamente l’onore di Dio e sia benefico per la nostra salvezza. È principalmente attraverso il canale della Messa che ci fluiscono doni soprannaturali o spirituali, che appartengono all’ordine della grazia; doni naturali e temporali, se qualcosa di spirituale per l’anima o qualcosa di materiale per il corpo, può essere richiesto e ottenuto solo in funzione della salvezza eterna e subordinatamente al nostro fine ultimo. Il Sacrificio della Messa attira sull’anima la luce e la rugiada del Cielo, affinché tutti i frutti dello Spirito Santo – “carità, gioia, pace, pazienza, benignità, bontà, longanimità, mitezza, fede, modestia, continenza, castità” (Gal 5, 22-23) possano in essa raggiungere la loro più bella fioritura e maturazione. La Messa ottiene la grazia, la forza e il coraggio di compiere buone opere, di vincere la carne e la sua concupiscenza, di disprezzare il mondo con le sue lusinghe e le sue insidie, di resistere agli attacchi di Satana, di sopportare non solo pazientemente, ma con gioia e ringraziando Dio, le difficoltà e i problemi, le sofferenze e i mali di questa vita, per combattere la buona battaglia, per portare a termine la nostra corsa e perseverare fino alla fine nella via della salvezza, e così conquistare la corona della vita e della gloria eterna.
Ma dalla Santa Messa non ci giungono solo tesori di grazia, non solo ricchezze soprannaturali e imperiture, ma anche benefici e benedizioni temporali. Tuttavia, sapendo che non può con maggior sicurezza portare al possesso del cielo, la fortuna o la sfortuna, la gioia o il dolore, la salute o la malattia, una vita lunga o breve, dovremmo rivolgere tali richieste a Dio solo condizionatamente, sottomettendo la nostra volontà alla sua paterna saggezza e bontà. “Mostra la tua via al Signore e confida in Lui, ed Egli agirà” (Sal 36, 5). Voi desiderate per mezzo della Messa ottenere il ripristino della salute, ma invece nostro Signore vi dà il dono della pazienza e del distacco da ciò che è terreno; non è questo un dono più prezioso? Nel Messale troviamo diverse preghiere: per l’assistenza, per la sicurezza nei pericoli, per la liberazione dalla sofferenza e dalla tribolazione; in queste preghiere, la Chiesa rivela allo stesso tempo lo spirito con cui prega, subordinare il temporale e terreno all’eterno e celeste.
Questi frutti impetratori della Messa ci vengono impartiti con generosità, più i nostri cuori sono aperti ad essi, più sono disposti a riceverli in modo degno; quindi dobbiamo preparare i nostri cuori a riceverli con una purificazione del nostro essere con la penitenza, ritirando i nostri affetti dalle cose terrene e infiammando i nostri desideri per i beni celesti.
- I pericoli e i conflitti del nostro pellegrinaggio terreno sono molteplici. I bisogni dell’uomo sono molti, la sua povertà è grande. Eppure, ecco! tutti coloro che sono stanchi e pesantemente carichi trovano all’altare ristoro, sicurezza e assistenza in tutte le necessità dell’anima e del corpo. La Santa Messa è un oceano di grazia: perché, allora, qualcuno dovrebbe andarvi nel bisogno? È una fonte inesauribile di benedizioni, dalla cui pienezza possiamo, per quanto nelle nostre possibilità e secondo il nostro bisogno, attingere grazia su grazia. Per mezzo di questo Sacrificio siamo diventati ricchi in tutte le cose, in modo che nessuna grazia ci manchi (1 Cor 1, 4-7). Quindi, dovremmo usare in tutta gratitudine e con santa gioia le inesauribili ricchezze della misericordia divina, presentate sull’altare e messe a nostra disposizione. Ma dovremmo sforzarci di acquisire non solo i beni terreni e deperibili, non semplicemente “la rugiada del cielo e la grassezza della terra e l’abbondanza di grano e vino” (Gn 27, 28), ma soprattutto di soddisfare la sete e il desiderio di beni soprannaturali ed eterni, di arricchirci con tesori che “né la ruggine né la tarma consumano, e dove i ladri non irrompono, né rubano” (Mt 6, 20). Preghiamo per ciò che conduce veramente alla nostra salvezza e felicità, per ciò che può far avanzare il regno di Dio dentro e intorno a noi. Come dice San Gregorio, “È volontà del Signore, che Lo amiamo al di sopra di tutto ciò che Egli ha creato, e che Lo imploriamo di concederci i beni eterni, piuttosto che quelli terreni”.
Non dovremmo mai “separare le nostre preghiere da Gesù Cristo, che prega per e in noi, e al quale noi rivolgiamo la preghiera; Egli prega per noi come nostro Sommo Sacerdote; Egli prega in noi come nostro Capo; noi Lo preghiamo come nostro Dio”. Questo avviene in modo perfetto durante la celebrazione della Santa Messa. Uniamo quindi le nostre richieste e suppliche con il Sacrificio e la mediazione di Gesù Cristo. Perché, sostenute dalla Sua immolazione e dai Suoi meriti, le nostre preghiere saranno più utili ed efficaci, avranno una risposta più rapida e perfetta. Ma la nostra preghiera deve essere fatta correttamente; deve essere fatta con fede e fiducia, con umiltà e perseveranza, in modo che possa penetrare le nubi e, in unione con il Sacrificio Eucaristico, salire al trono dell’Altissimo. “Riflettete su come Dio ascolta più facilmente le preghiere del sacerdote durante la Santa Messa che in qualsiasi altro momento. Egli impartisce in ogni momento le Sue grazie, tutte le volte che gli vengono chieste attraverso i meriti di Gesù Cristo, ma durante la Messa le dispensa in misura più abbondante; perché le nostre preghiere sono poi accompagnate e sostenute dalle preghiere di Gesù Cristo, e acquisiscono attraverso la Sua intercessione un’efficacia incomparabilmente più grande, perché Gesù è il Sommo Sacerdote che si offre nella Messa per ottenere la grazia per noi. Il tempo della celebrazione della Messa è l’ora in cui nostro Signore siede su quel trono di grazia al quale, secondo il consiglio dell’Apostolo, dovremmo avvicinarci per trovare misericordia e aiuto in tutte le nostre necessità. Anche gli angeli attendono con ansia il tempo della Santa Messa, affinché l’intercessione che poi ci fanno sia più utile e accettabile davanti a Dio; e ciò che non otteniamo durante la Santa Messa, non possiamo aspettarci che ci sia concessa in un altro momento” (S. Alfonso Maria de’ Liguori).
- Così il Santo Sacrificio della Messa è l’espressione più profonda e significativa di tutte le nostre richieste e intercessioni nelle preoccupazioni spirituali e temporali. Lo offriamo quando siamo gravati da avversità di ogni genere, implorando consolazione e assistenza da Colui che per noi ha sofferto tanto dolore e pena. Lo offriamo quando il Signore nella Sua giusta ira, provocato dai nostri peccati, ci visita con i Suoi castighi, colpisce i nostri campi con la siccità, distrugge i nostri raccolti con la pioggia e le inondazioni, e imploriamo dalla Sua paterna Bontà che a tempo debito doni alle nostre terre il sole e la pioggia necessari. Quando l’Angelo della Morte si muove tra noi in tempi di contagio, offriamo la Santa Messa, implorando in essa il Signore della vita e della morte che Egli trattenga gli orrori della morte. Offriamo il Santo Sacrificio a nome dei fedeli che alla presenza di Dio e della Chiesa si impegnano nel sacro vincolo del matrimonio, implorando per loro la grazia della fedeltà e dell’amore e tutte le benedizioni di un’unione cristiana per tutta la vita e fino alla morte. Lo offriamo quando i nostri giovani leviti sono scelti per il servizio dell’altare del Signore mediante l’imposizione delle mani; e quando quelli scelti tra i sacerdoti sono consacrati all’ufficio di capo pastore, in ciò imploriamo per loro l’assistenza del grande Pastore delle anime (1 Pt 2, 25), che in parole e azioni possano essere buoni pastori e degni dispensatori dei misteri di Dio, ed essere in grado di essere sottoposti al giudizio il giorno della resa dei conti. Lo offriamo per i nostri fratelli che il nostro Signore ha chiamato da questo mondo, implorando dal Giudice dei vivi e dei morti, che Egli sia misericordioso verso le loro anime e conceda loro il riposo eterno. Lo offriamo per tutti i fedeli, affinché Dio possa impartire loro grazia e benedizione e ammetterli al regno eterno del cielo. (Cf. Geissel I, p. 460 e segg.).
Segue il cap. 22 – I Partecipanti ai Frutti della Messa.
Capitolo 19.
La Santa Messa – un Sacrificio di Ringraziamento.
Capitolo 18.
La Santa Messa – un Sacrificio di Lode e di Adorazione.
Capitolo 17.
Il Valore del Sacrificio Eucaristico, come anche la Ragione e il Modo della sua Efficacia.
Capitolo 16.
Il rapporto tra il Sacrificio della Messa e il Sacrificio della Croce.
Capitolo 15
Le Caratteristiche Essenziali del Sacrificio Eucaristico.
Capitolo 14.
La prova dalla Tradizione che l’Eucaristia è Vero e Reale Sacrificio.
Capitolo 13.
Verità e realtà del Sacrificio Eucaristico: prove neotestamentarie.
Capitolo 12.
Prove testuali del Sacrificio Eucaristico nell’Antico Testamento: le promesse profetiche dimostrano la verità e la realtà del Sacrificio Eucaristico.
Capitolo 11.
La nuova alleanza della Grazia deve avere un sacrificio perenne: il Sacrificio del Corpo e del Sangue di Cristo
Capitolo 10. Gesù Cristo “Sacerdote in eterno secondo l’ordine di Melchisedek”
Capitolo 9. Partecipazione ai meriti espiatori di Gesù Cristo
Capitolo 8. I frutti del sacrificio della Croce
Capitolo 7. La morte di Cristo sulla croce come vero sacrificio
Capitolo 5. Gesù Cristo: il Capo rappresentante dell’umanità
Capitolo 4. Significato ed efficacia del sacrificio nell’Antico Testamento
Capitolo 2. Il Sacrificio in senso proprio
Capitolo 3. Il Sacrificio in senso improprio
Capitolo 6. Il Sommo Sacerdozio di Gesù Cristo
Capitolo 1. La virtù della venerazione di Dio
“Una Parola di Addio” (dell’Autore)
Capitolo 43. Il Credo
I Martiri Cristeros
Capitolo 42. Il Vangelo
Il prezzo da pagare
Nel suo libro ‘Il Prezzo da Pagare’, tradotto oramai in parecchie lingue, descrive un principe irakese della famiglia di Mohamed, un sogno fatto durante il servizio militare. Vede un uomo di insolita forza di attrazione e di bellezza, da lui sconosciuto, che dall’altra riva di un fiume gli dice: ‘Se vuoi attraversare questo fiume, devi mangiare del pane della Vita’. Racconta poi come scopre che questa figura è il Dio-Uomo Gesù Cristo, e come deve percorrere poi 13 anni prima di poter accostarsi al battesimo ed alla prima Comunione: un percorso che coinvolge la perdita della posizione sociale, le ricchezze, il potere, la riputazione, l’affetto dei famigliari, la casa, tutti i possessi, la patria; che coinvolge il rigetto da parte della gerarchia e dei fedeli cattolici di Irak, la persecuzione, la condanna a morte dall’ Ayatollah, ma anche dal proprio padre e dalla propria madre, la prigione, la tortura, l’arresto domiciliare, l’esilio, la persecuzione in Giordania, la perdita della salute fisica, la perdita della salute mentale della moglie, la paura costante di essere scoperti e traditi, il tentativo di assassinarlo da parte dei suoi fratelli e del suo zio.
Vediamo in questa narrazione come Nostro Signore, di Cui il nome sia benedetto per sempre, ha spogliato un uomo ricco, orgoglioso, e prepotente, membro tipico della società crudele e superficiale d’Islam, di tutto ciò che possedeva ed era, riducendolo allo stato di un cane, per riempirlo poi della propria vita divina, per santificarlo, e per renderlo testimone a Sé davanti al mondo intiero. ‘Ho sofferto’ scrive il principe, ‘e Dio lo sa quanto, ma sarei pronto a subire tutto di nuovo, fino al martirio.’
Talvolta mi dice qualcuno: ‘Vado alla santa Messa domenicale normalmente’ e rispondo : ‘Ma non sempre?’ e lui dice di no. ‘Come mai?’ ‘Non ho voglia.’ O talvolta, o forse anche spesso, qualcuno ammette di ricevere la santa Comunione nello stato di peccato mortale, anche senza farsene troppe domande. Forse siamo anche noi tra il loro numero, o forse siamo semplicemente indifferenti a tali peccati.
Carissimi fedeli: non penso che abbiamo ancora capito cosa o chi sia qua, cosa o chi riceviamo nella santa Comunione: che non sia pane, né pane benedetto; che non ci sia infatti niente di bianco, né di rotondo, né di sottile, né di leggero, ma che queste siano solo qualità senza sostanza. No, davvero non abbiamo capito che ci sia qualche cosa qua davanti a noi che è più grande e più bello di tutte le bellezze dell’Universo, ed infinitamente più sublime e glorioso di tutte le infinite costellazioni di tutte le stelle del cielo, in confronto al quale tutte le bellezze della natura e delle opere dell’uomo e di tutti gli uomini e di tutti i miriadi e miriadi degli angeli in tutta la loro gloria sono meno di una particella di polvere.
Davvero non abbiamo capito che ci sia qualcosa qua per cui dovremmo essere pronti a sacrificare tutti i nostri possessi, la nostra patria, l’affetto di tutta la famiglia e degli amici, la nostra salute, e tutto ciò che abbiamo e siamo; per cui dovremmo essere pronti a soffrire e morire: e questo è anche un bassissimo prezzo da pagare per ricevere nella nostra anima e nel nostro corpo la Seconda Persona della Santissima Trinità , il Verbo di Dio, riflesso purissimo della luce perenne di Dio, Iddio privo di sangue in istato di immolazione per amore di noi, in Cui, nella parola di san Tommaso d’Aquino, la dolcezza spirituale si gusta nella sua stessa sorgente: in Dio Stesso nella Sua infinita Bontà, nel Suo amore divino per me, nel Suo amore umano per me, nel Suo amore sacrificale e crocifisso per me.
Là, sull’altra riva del fiume, Egli, lo Stesso Verbo Incarnato, tramite Cui e per Cui è stato creato tutto ciò che è stato creato, mi aspetta e mi chiama a Sé. Mi chiama ad attraversare il fiume della vita umana che corre e corre, il fiume del tempo passeggero e finito di questo mondo, per entrare nel tempo stabile che è Lui. Mi chiama ad avvicinarmi a Lui dove sta sulla riva ulteriore nella stabilità dell’Eternità: per nutrirmi del pane della vita che è Lui, per avere la vita in Lui, per essere unito a Lui qua sulla terra e poi nel cielo per tutti i secoli dei secoli. Amen.
Estratti
Capitolo 34. La preghiera sui gradini dell’altare (pdf)
Capitolo 35. L’incensazione dell’altare (pdf)
Capitolo 36. L’introito (pdf)
Capitolo 37. Kyrie (pdf)
Capitolo 38. Gloria in excelsis (pdf)
Capitolo 39. La colletta (pdf)
Capitolo 40. L’epistola (pdf)
Ordo Missæ (pdf). Messalino illustrato
Capitolo 41. L’intermezzo: Graduale, Alleluia, Tratto, Sequenza.
Ordinario della Messa (pdf)
L’educazione sessuale. Miti, menzogne e inganni nelle scuole oggi
Catechesi.co
Princìpi dell’etica
+In nomine Patris et Filii et Spiritui Sancti. Amen
I seguenti estratti del libro Matrimonio sotto attacco provengono dall’introduzione e trattano di quattro temi etici fondamentali: 1) il fine ultimo dell’uomo; 2) la legge morale; 3) l’amore; 4) la dignita’ della persona.
I
IL FINE ULTIMO DELL’UOMO
Ci sono due aspetti del fine ultimo: un aspetto soggettivo che è la beatitudine, e un aspetto oggettivo che è il bene concreto, con la possessione del quale l’uomo realizza la sua beatitudine. L’uomo ha un desiderio naturale per la beatitudine e per la perfezione che determina ogni sua azione. La beatitudine è definita da Boezio come: statu(s) bonorum omnium congregatione perfectus: uno stato costituito dall’insieme di tutti i beni. Da san Tommaso è definita come: bonum perfectum intellectualis naturae: il bene perfetto della natura intellettuale. Quale è la natura di questo insieme di tutti i beni, di questo bene perfetto, o, come è più comunemente chiamato, bene supremo? Essa deve essere assoluta e non relativa a un bene ulteriore; deve essere perfetta, escludendo la possibilità di sottrazione di ciò che è propriamente suo; e deve essere stabile ed accessibile a tutti gli uomini. Ora, dato che ci deve essere proporzione tra una natura e il suo fine ultimo e bene supremo, possiamo concludere che il bene supremo dell’uomo deve soddisfare perfettamente le aspirazioni più essenziali e più profonde della natura umana, e, cioè, il bisogno di conoscere e di amare. L’oggetto dell’intelletto è il Vero, e l’oggetto dell’amore è il Bene; ed il Vero e il Bene esistono, nella loro pienezza, solo in Dio (san Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, IaIIae, q. 2, a. 8). Quindi, nel suo aspetto oggettivo, il fine ultimo dell’uomo è Dio Stesso.
Inoltre, la metafisica e la teodicea mostrano che Dio con la creazione ha uno scopo. Questo scopo non può essere lo stesso Suo perfezionamento giacché Egli già possiede la perfezione, anzi è la somma di tutte le perfezioni; lo scopo è invece la Sua glorificazione da parte delle Sue creature nella loro somiglianza a Lui. Le creature irrazionali somigliano a Dio per il solo fatto del loro esistere, e nella perfezione della loro natura e delle loro attività con le quali rivelano di Dio il Suo essere, potere, e sapienza. Le creature razionali, invece, somigliano a Dio nella loro conoscenza di Lui e nel loro amore per Lui, nella loro realizzazione personale e nella loro beatitudine che questa conoscenza e questo amore portano loro (san Tommaso d’Aquino, Summa contra Gentiles 3, 25).
Il fine ultimo dell’uomo allora consiste nella beatitudine del possesso di Dio per la gloria di Dio. Questa gloria di Dio è intesa come il fine ultimo primario dell’uomo, mentre la beatitudine dell’uomo è intesa come il suo fine ultimo secondario.
La Rivelazione completa il quadro coll’insegnarci che il possesso di Dio consiste nella visione di Dio. San Giovanni (17, 3): «Questa è la vita eterna: che conoscano te, l’unico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo»; (17, 24): «Padre, voglio che anche quelli che mi hai dato siano con me dove sono io, perché contemplino la mia gloria, quella che mi hai dato; poiché tu mi hai amato prima della creazione del mondo»; l’Epistola di san Giovanni (1, 3.2): «Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è».
Il fine ultimo dell’uomo è la visio beatifica, nella quale l’anima contemplerà l’essenza propria di Dio faccia a faccia, e in tal modo parteciperà alla vita della Santissima Trinità. Questo fatto ci è stato rivelato non dalla ragione ma unicamente dalla Fede. Non è un fine naturale dell’uomo, bensì (assolutamente) soprannaturale, in quanto trascende l’intelligenza e tutte le capacità della natura creata, che quindi hanno bisogno di essere rafforzate dalla Divina Grazia per questo scopo, e da ciò che è stato definito dal Concilio di Vienna (1312) come il lumen gloriae.
Fosse puramente naturale il fine ultimo dell’uomo, esso consisterebbe allora nella conoscenza e nell’amore di Dio, accessibili alla sua ragione naturale: una conoscenza analogica di Dio come causa prima e fine ultimo della creazione. La Chiesa ritiene possibile che un simile paradiso puramente naturale (“Limbo”) esista e che sia riservato ai bambini non battezzati che non hanno raggiunto l’uso della ragione: a loro non è stata lavata la macchia del Peccato originale e quindi non possono accedere al paradiso soprannaturale; ma, nello stesso tempo, non hanno contratto nessun peccato personale e quindi non sono incorsi in nessuna punizione. Naturalmente questo caso eventuale è di particolare rilevanza nella questione dell’aborto.
Un’azione è buona o cattiva secondo il suo orientamento, cioè, se è o non è orientata al fine ultimo dell’uomo: alla sua beatitudine, o, in altre parole, alla perfezione del suo essere, alla perfezione e realizzazione della sua natura umana. È con la Fede e con la pratica delle virtù che l’uomo raggiunge questa perfezione.
L’orientamento di un’azione al fine ultimo è determinato in parte dalla natura dell’azione stessa (per esempio, fare l’elemosina è bene, l’uccisione di un innocente è male) e in parte dall’intenzione dell’agente, che può fare di un’azione di per sé buona un’azione ancora più buona (come fare l’elemosina con lo scopo di permettere al beneficato un miglioramento morale) o un’azione cattiva (come fare l’elemosina con lo scopo di corrompere); o che può rendere buona o cattiva un’azione per sé indifferente (come per esempio il passeggiare, per ricavarne beneficio per la salute o, invece, per sottrarsi a un dovere). L’intenzione non può tuttavia mai fare di un’azione di per sé cattiva un’azione buona (è il caso, ad esempio, dell’aborto deliberato).
II
LA LEGGE MORALE
Ciò che porta ogni essere al suo fine, sia ultimo o prossimo, è la legge eterna (san Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, IaIIae, q. 93, a.1): Lex aeterna nihil aliud est quam ratio divinae sapientiae, secundum quod est directiva omnium actuum et motionum (la legge eterna non è altro che la disposizione della sapienza divina in quanto è direttiva di tutti gli atti e di tutti i moti). La definizione di sant’Agostino, che segue quella di Cicerone, e spesso è citata da san Tommaso, è la seguente: ratio vel voluntas Dei ordinem naturalem conservari jubens, perturbari vetans (la disposizione divina che decreta la conservazione dell’ordine naturale, e ne vieta l’interruzione). Questa legge eterna esiste in Dio ed è niente meno che Dio Stesso. È vincolante per tutti gli esseri: per gli esseri irrazionali ove essa ha una natura fisica e irresistibile, e per gli esseri razionali ove essa ha una natura morale e può essere obbedita o non obbedita secondo l’uso che ogni agente fa del libero arbitrio.
La legge eterna è promulgata nella creazione e la partecipazione ad essa da parte degli esseri razionali è conosciuta come la legge naturale: Lex naturalis nihil aliud est quam participatio legis aeternae in rationali creatura (san Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, IaIIae, q. 1, a. 2). L’uomo è quindi capace di leggere i requisiti di questa legge inscritta nella sua natura e agire conseguentemente. Poiché il compito di questa legge è di portare l’uomo al suo fine ultimo, si può stabilire la moralità di un’azione non solo in termini di corrispondenza al fine ultimo ma anche nei termini della legge morale: secondo quanto essa si conformi o non si conformi alla legge morale. Questa definizione può inoltre considerarsi la più specifica perché la conformità alla legge morale richiede l’applicazione di una regola ad ogni azione specifica.
Il primo precetto della legge naturale ordina in una maniera universale l’azione umana verso il fine ultimo dell’uomo. Il principio dice: fare il bene ed evitare il male. È costitutivo di ciò che si chiama senso morale: vale a dire il senso immediato ed assoluto della legge che regola la conoscenza pratica e l’azione (san Tommaso, De Veritate q. 16, a 1). Questo senso morale è anche conosciuto come synderesis. La coscienza morale, invece, non è un senso, bensì un giudizio pratico (l’ultimo giudizio pratico) sulla moralità delle nostre azioni, con cui decidiamo quali azioni concrete sono da compiere e quali da evitare.
Gli altri princìpi della legge naturale si riferiscono alle inclinazioni fondamentali dell’uomo: come essere vivente egli deve rispettare e conservare l’essere che ha ricevuto da Dio; come essere razionale deve agire come persona, sviluppando la sua ragione colla ricerca della verità, la sua libertà col dominio sulle passioni, e la sua vita morale con la religione; come membro di una specie deve provvedere alla conservazione di questa specie col matrimonio, la procreazione e l’ educazione della prole; come essere sociale deve rispettare l’ordine della società e contribuire al bene comune della città e dell’umanità stessa.
Questi princìpi formano la base dei doveri, e questi doveri, a loro volta, formano la base dei diritti naturali: il diritto alla vita, alla verità, alla giustizia, alla libertà, e così via. Questi princìpi della legge naturale comportano certe conseguenze immediate tra le quali i Dieci Comandamenti che, insieme ai princìpi stessi, costituiscono la legge naturale primaria. Essi comportano anche certe conseguenze meno immediate, che riguardano la loro applicazione, come nel caso dei diritti concernenti la proprietà. Questi costituiscono la legge naturale secondaria.
III
LA NATURA DELL’AMORE
Ora, nella precedente sezione abbiamo notato che è pericoloso usare il termine “dignità della persona” in un senso indefinito e quindi aperto ad interpretazioni sbagliate. Questo è vero allo stesso modo per il termine “amore”. L’amore in particolare può essere inteso in modo puramente sentimentale. Al fine quindi di comprendere in modo appropriato l’amore pertinente con la sessualità, iniziamo con l’offrire una breve analisi della natura dell’amore.
i) La Carità di Dio
Per meglio comprendere l’amore umano, iniziamo col considerare quell’amore perfetto che è l’amore di Dio. San Giovanni ci dice nella sua Prima Lettera (4, 8) che «Dio è amore». Ciò può essere inteso nei termini seguenti: il Padre ama il Figlio, il Figlio ama il Padre, e lo Spirito Santo è il loro atto unito di amore. Due caratteristiche degne di nota di questo amore sono che esso è donazione di sé ed unitivo.
Riguardo all’amore di Dio per l’uomo, san Giovanni ci dice nel suo Vangelo (3, 6) che «Dio ha tanto amato il mondo da dare il Suo Figlio Unigenito: chiunque crederà in lui non perirà, ma avrà la vita eterna». Qui ancora l’amore di Dio è manifesto sia come donazione di sé, dal momento che nella Persona del Figlio dà Sé Stesso per l’umanità, sia come unitivo, dal momento che così facendo egli unisce Sé Stesso con l’umanità.
Una terza caratteristica dell’amore qui descritto è quella che potremmo chiamare la sua fecondità, o promozione di un bene, in questo caso la vita eterna. La fecondità dell’amore è più evidente dove l’oggetto dell’amore è l’essere creato, che esprime la volontà di Dio nell’atto stesso dell’esistenza e nel perseguimento del suo fine.
ii) La Carità dell’uomo
L’amore dell’uomo per Dio nel Paradiso è una condivisione dell’amore di Dio per Sé Stesso. È quindi una donazione di sé e un amore unitivo. È anche un amore fecondo per quanto riguarda l’uomo perché esso costituisce l’ottenimento da parte dell’uomo del suo fine ultimo. In un senso esteso è un amore fecondo anche per quanto riguarda Dio, non tanto perché dà qualcosa a Lui Il Quale già possiede – ed inoltre è – la somma delle perfezioni, ma perché esso incrementa la gloria externa di Dio. Esso magnifica Dio come nelle parole della Beata Vergine Maria e di san Giovanni il Battista magnificat, magnificari. Esso compie il proposito che Dio ebbe nel creare l’universo: la comunicazione della Sua bontà e la manifestazione della Sua gloria nella creazione.
L’amore finora descritto – l’amore di Dio per Sé stesso, l’amore di Dio per l’uomo, l’amore dell’uomo per Dio nel Paradiso – è conosciuto come “Carità”. Questo amore è soprannaturale. Per l’uomo è una partecipazione all’amore e alla vita di Dio, una partecipazione che è possibile solo per mezzo della Grazia soprannaturale. Senza questa Grazia è impossibile per l’uomo amare con un amore di Carità. Questo amore è possibile nel mondo presente oltre che in Paradiso e ha come suoi oggetti: Dio, o il prossimo per amore di Dio.
L’amore per Dio comprende gli atti diretti di amore per Dio come gli atti di adorazione, oltre a tutte le azioni dell’uomo quando sono compiute per Dio, per amore di Dio: per la gloria di Dio (1Cor 10, 31), verso Dio (Col 3, 23), nel nome di Dio (Col 3, 17): «Tutto ciò che fate in parole e opere fatelo nel nome del Signore Gesù Cristo»; l’amore del prossimo include l’amore per i nemici. La Carità trasforma le opere che accompagna, le eleva al livello divino. Come tutte le realtà rivelate da Dio, la Carità può essere compresa solo in un senso limitato. Essa non può essere compresa dalla filosofia, e per questo non è oggetto della filosofia.
Per commentare le tre caratteristiche generali dell’amore annotate sopra, si potrebbe aggiungere, nel caso della Carità dell’uomo sulla terra, che 1) è caratterizzata dal dare, dal momento che essa consiste nelle azioni compiute per amore di Dio; e che 2) è caratterizzata dall’unione con Dio, dal momento che essa è una condivisione dell’amore e della vita di Dio. Essa è feconda per l’agente nel farlo avanzare verso il suo fine ultimo; è feconda per il prossimo o nel promuovere direttamente il suo fine ultimo, o, indirettamente, in quanto gli porta la felicità e la pace, che sono le migliori condizioni per avanzare verso il fine ultimo.
In Paradiso, nella visione beatifica, l’uomo vedrà Dio per come Egli è in Sé stesso secondo il Suo ineffabile modo di essere: sicuti est (1Gv 3, 2). Quindi amerà Dio per come Egli è in Sé stesso nella Carità. Ora, il fondamento per la conoscenza e l’amore di Dio da parte dell’uomo nell’aldilà è la radicale orientazione del suo intelletto a Dio come Essere sotto l’aspetto del Vero, e la radicale orientazione della sua volontà a Dio come Essere sotto l’aspetto del Bene.
Riguardo a questo mondo, queste orientazioni radicali costituiscono parimenti i fondamenti per la conoscenza di Dio come Vero e come Bene da parte dell’uomo alla luce della sola ragione (sebbene indebolita dal Peccato originale); ed altrettanto per la conoscenza umana di Dio come Egli è in Sé stesso (in se ipso) tramite la fede, e inoltre per l’amore umano per Dio come Egli è in Sé stesso tramite la Carità.
L’amore dell’uomo per il Bene in tutte le sue rappresentazioni e per Dio come Bene, è conosciuto come amore razionale. Esso è un amore puramente naturale e si distingue come tale dal suo amore soprannaturale per Dio nell’ordine della Carità.
iii) Amore razionale e sensibile
Ora, l’uomo non è un essere puramente spirituale; egli è anche un essere fisico. Per preservarlo nel suo viaggio verso il suo fine ultimo, e per garantire che egli abbia una progenie, gli sono state date le facoltà della percezione sensibile con la quale apprende gli enti individuali sotto l’aspetto del vero, e dell’appetizione sensibile con la quale desidera gli enti individuali sotto l’aspetto del bene. Questa appetizione sensitiva è conosciuta come amore sensibile o passione d’amore.
L’amore sensibile è una caratteristica dell’uomo come organismo psicofisico. Lo scopo dell’amore sensibile è il piacere che egli cerca prendendo e raggiungendo l’unione con il suo oggetto, poiché il piacere deriva dall’unione (San Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, IIa, q. 1, a. 30). Questo piacere è al servizio della vita biologica: della conservazione e della promozione dell’organismo umano o della specie. Esso si indirizza a ciò che gli è presentato dai sensi come necessario e piacevole qui ed ora. Esso è soggettivo, e la sua dinamica è quella di una potenza che cerca il proprio soddisfacimento.
Esempi ne sono il desiderio per il cibo e le bevande, e l’amore familiare e sessuale – o “erotico” – (nella misura in cui questi due ultimi tipi di amore sensibile non sono informati ed elevati dall’amore razionale o dalla Carità).
La natura dell’amore sensibile è in gran parte la medesima per l’uomo come per gli animali, sebbene nell’uomo esso sia elevato dalla presenza della ragione a uno stato più alto che nel suo equivalente animale.
L’amore razionale è una caratteristica dell’uomo come essere spirituale. Il suo termine è l’Essere stesso. Il radicale dinamismo dello spirito si svolge verso atto e abbondanza. Esso tende all’Essere assoluto e cerca di promuoverlo in tutte le sue manifestazioni finite.
Esempi ne sono l’amore naturale per Dio e l’amore di amicizia.
Confrontando l’amore sensibile e l’amore razionale a proposito delle tre caratteristiche dell’amore annotate sopra, possiamo dire il seguente:
a) l’amore sensibile implica il ricevere, mentre l’amore razionale implica il dare;
b) l’amore sensibile è caratterizzato più marcatamente dall’unione rispetto all’amore razionale;
c) l’amore sensibile promuove il bene di sé come organismo psicofisico e il bene della specie; mentre l’amore razionale promuove il bene dell’altro come essere razionale, oltre al bene di sé come essere razionale. Un esempio ne sarebbe il caso in cui si faccia del bene al proprio nemico, dal momento che promuovendo il bene dell’altro l’agente dà, e nel dare, egli avanza verso il suo fine ultimo: la sua perfezione nell’amore .
Si dovrebbe notare comunque qui che dal momento che l’amore razionale non è un amore soprannaturale (come la Carità), ma solo un amore naturale, non promuove l’ultimo fine dell’agente, che è soprannaturale, immediatamente (come lo fa la Carità), ma solo mediatamente, disponendo l’agente verso questo fine soprannaturale.
Ora l’amore razionale, quando ha l’uomo come proprio oggetto, è conosciuto come la virtù dell’amore. Esso differisce dalla Carità nella qualità e nello scopo: è infatti una forma naturale di amore e non soprannaturale, e ha una portata più ristretta, non includendo l’amore di Dio o la santificazione di ogni azione dell’uomo.
La virtù dell’amore è tipicamente messa in contrasto con la passione d’amore, che è un altro nome per l’amore sensibile. La virtù dell’amore può essere definita come quella virtù con la quale un uomo altruisticamente vuole il bene del suo prossimo, promuovendolo al meglio delle sue capacità ovunque e comunque egli possa.
L’esempio principale della virtù dell’amore è l’amore di amicizia, che è caratterizzato dalla sua reciprocità e virtuosità, e dagli interessi comuni della coppia: idem velle idem nolle. Ulteriori esempi sono l’amore familiare e matrimoniale dove la virtù dell’amore informa ed eleva quell’amore familiare o erotico che inizialmente è meramente sensibile.
Notiamo che l’amicizia è qui intesa in senso stretto. In senso lato è intesa a caratterizzare anche le altre forme di amore razionale, come l’amore familiare e l’amore coniugale, in aggiunta alla Carità stessa, come san Tommaso mostra nella Summa Theologiae, IIaIIae, q. 23, a. 1.
L’amore familiare sensibile è l’amore tra genitori e figli o tra figli. Esso può diventare disordinato a danno della giustizia. Quando esso è informato ed elevato dall’amore razionale, diviene disinteressato: il figlio guarda al genitore come una buona persona, per esempio, o come degna del suo amore, e il genitore lascia la sua presa possessiva sul figlio. L’amore erotico nell’uomo caduto è toccato dalla lussuria: ricerca il piacere per sé, considera le persone come oggetti, e tende a trasferirsi da una persona a un’altra, anche mediante “matrimoni” successivi.
Quando l’amore erotico nel matrimonio è informato ed elevato dall’amore razionale esso è trasformato in un amore coniugale che considera le persone come persone. Tale è il modo in cui l’amore sensibile diviene veramente umano, ricevendo profondità dall’amore razionale e divenendo un’espressione di esso. Per i cristiani nello stato di Grazia questo amore razionale è a sua volta informato ed elevato dalla Carità, e così diviene una forma di amore soprannaturale.
Discussione
Per ricapitolare, abbiamo brevemente esaminato la Carità nel suo quadruplice aspetto: l’amore di Dio per Sé stesso, l’amore di Dio per l’uomo, l’amore soprannaturale dell’uomo per Dio, l’amore soprannaturale dell’uomo per l’uomo. Poi abbiamo esaminato l’amore razionale, che include l’amore naturale dell’uomo per Dio e la virtù dell’amore, e infine l’amore sensibile.
In termini più generali, si possono dire le seguenti cose dell’amore umano: l’amore umano è radicato nell’imperfezione e nell’indigenza dell’uomo. A livello naturale, egli è incapace con le proprie forze di conservare sé stesso come individuo o come una specie: egli ha bisogno di mangiare, bere, e procreare. A livello soprannaturale, egli è incapace con le proprie forze di ottenere il suo scopo che è la perfezione soprannaturale: egli ha bisogno dell’aiuto della Grazia.
Questi beni di cui l’uomo ha bisogno sono fecondi per lui e devono essere comunicati a lui da fuori. L’amore umano riguarda la comunicazione e la fecondità di questi beni, e possiede quindi due elementi: l’elemento della comunicazione (o unione) e l’elemento della fecondità. L’elemento della fecondità è primario poiché esso si relaziona alla sua perfezione; l’elemento dell’unione è secondario, perché si relaziona ai mezzi per giungere a questa perfezione.
Concludiamo confrontando brevemente e mettendo in contrasto l’amore di Dio per l’uomo e quello dell’uomo per Dio in due suoi aspetti.
Amor Dei est infundens et creans bonitatem in rebus (san Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, IIa, q. 20, a. 2): L’amore di Dio infonde e crea la bontà che è nelle cose. Il Suo amore è il principio della creazione e dell’esistenza continua di tutto ciò che è. Esso è il principio della loro desiderabilità. L’amore dell’uomo al contrario è essenzialmente passivo: una risposta, un movimento provocato da fuori. Dio dà la bontà alle cose; Egli non è, come l’uomo, sottomesso alle loro attrazioni. Il Suo amore è pura benevolenza, gratuità, altruismo. Egli non ottiene nulla da noi mentre noi otteniamo tutto da Lui.
L’amore di Dio è un amore di donazione di sé, come è l’amore per Dio al quale l’uomo è chiamato. L’amore dell’uomo per il suo prossimo (sia l’amore razionale sia l’amore di Carità) può al contrario essere definito semplicemente nei termini del donare: esso può essere descritto come dono di sé solo in senso secondario e figurato (e.g. nelle frasi come: “egli dona sé stesso”).
IV
LA DIGNITÀ DELLA PERSONA (1)
Ora la nozione di “persona”, ben più che la nozione di “essere umano” o di “uomo”, contiene la nozione di dignità o valore, come nell’espressione “È una persona, non una cosa”. In effetti, san Tommaso d’Aquino enuncia questo fatto nel modo seguente(2) : con il nome di persona s’intende la dignità della persona.
Il pericolo insito nell’utilizzo dell’espressione “dignità della persona” risiede nel fatto che tale espressione è stata spesso intesa in senso umanista, ateo, o imprecisato. Di conseguenza sarà necessario definire il termine in modo esatto, prima di procedere ad applicarlo nelle situazioni concrete «La dignità significa la bontà di qualcuno per sé stesso, mentre significa l’utilità per un altro»(3) . In virtù di questo fatto e in virtù del fatto che nel parlare comune la dignità definisce una qualità o una perfezione che distingue una persona da un’altra, consideriamo qual’è la bontà o perfezione particolare che distingue la persona. Chiediamoci questo per prima cosa riguardo alla persona in genere in relazione con altri enti, poi riguardo alla persona individuale in relazione con altre persone. Questo studio ci permetterà di specificare due forme principali di dignità che la persona possiede.
i) La dignità naturale dell’uomo
Consideriamo innanzitutto la perfezione naturale dell’uomo. La natura umana sorpassa le altre nature, cioè le nature inanimate e le nature animate che non possiedono l’anima spirituale, nella sua razionalità: in quella parte della sua natura cioè che consiste di un’anima razionale ed intellettiva. È questa razionalità che conferisce ad una persona la sua dignità ed è il motivo per cui l’essere umano è chiamato “persona”(4) . Ora, l’eccellenza particolare della razionalità è il suo orientamento trascendente: l’intelletto e la volontà sono ordinati verso Dio come Essere sotto l’aspetto rispettivamente del Vero e del Bene.
Sulla base di questo orientamento san Tommaso spiega il senso in cui l’uomo è a immagine di Dio. Egli scrive(5) che se è vero che l’uomo è a immagine di Dio secondo la sua natura intellettiva, allora quanto più la sua natura intellettiva è capace di imitare Dio, tanto più egli sarà ad immagine di Dio. La sua natura intellettuale imita Dio al grado più alto attraverso l’imitazione della conoscenza e dell’amore di Dio per Sé Stesso.
Ci sono tre modi per cui questo è possibile. Il primo è il seguente (il secondo e il terzo saranno menzionati in seguito): conformemente al fatto che l’uomo ha un’attitudine naturale a conoscere ed amare Dio, e questa attitudine consiste nella stessa natura della mente, che è comune a tutti gli uomini.
Questa prima forma di dignità, però, è affetta dal peccato, sia originale sia attuale. L’effetto del Peccato originale è che: dal peccato di Adamo l’uomo è privato dei doni gratuiti (soprannaturali) e ferito nella sua natura(6). Questo stato è conosciuto come lo stato di Natura caduta.
I doni soprannaturali consistono nella Grazia santificante (“assolutamente soprannaturale”) che rende possibile la visione beatifica; e nei doni (“preternaturali”) dell’integrità. Secondo san Tommaso e la maggior parte dei teologi, il ferimento della natura consiste nella perdita dei doni dell’integrità.
Questi doni comprendono la conoscenza infusa, la possibilità di non soffrire e di non morire, e il dominio della ragione sulle facoltà inferiori (o, in altre parole, dell’anima sul corpo), come risultato dell’assoggettamento alla volontà a Dio. Adamo perse il primo di questi doni per sé stesso, dal momento che questo era un dono personale per sé, ed i restanti doni per l’intero genere umano.
La perdita del dominio della ragione sulle facoltà inferiori è conosciuta come concupiscenza: cioè la difficoltà a conoscere il vero; l’indebolimento del potere della volontà; l’indietreggiare di fronte alla lotta per il bene); e la concupiscentia in senso stretto cioe` il desiderio di soddisfare i sensi contro il giudizio della ragione.
Il ferimento della natura, allora, è la perdita dell’integrità, e comprende la perdita del dominio della ragione sopra le facoltà inferiori (l’integrità nel senso stretto(7)). La perdita di tale dominio può essere espressa come la perdita dell’inclinazione naturale dell’uomo verso la virtù(8) o come un indebolimento dell’attaccamento da parte dell’uomo al Vero e al Bene.
Conseguentemente, la verità dell’esistenza di Dio e la moralità che pur non sono inaccessibili alla ragione, hanno bisogno per necessità morale di far parte della Rivelazione affinché siano conosciute da tutti prontamente, con certezza, e senza mescolanza di errori(9). Inoltre, l’uomo è incapace di amare Dio come l’autore della natura più di sé stesso, o di sceglierLo come suo fine ultimo, senza il potere guaritore della Grazia divina(10).
San Tommaso analizza gli effetti del Peccato originale sulla dignità della natura umana(11). Egli conclude che questa dignità è diminuita a causa della perdita della Grazia santificante e dell’integrità, che comportano una diminuzione dell’inclinazione naturale dell’uomo verso la virtù; ma al contempo afferma che è conservata quella dignità che deriva dai princìpi della natura umana e dalle sue proprietà come le facoltà dell’anima. Il Concilio di Trento riafferma questo punto riguardo al libero arbitrio(12). In generale, possiamo inferire che malgrado la Caduta, l’uomo possiede una dignità in virtù della sua razionalità, in particolare del suo orientamento radicale, sebbene indebolito, verso il Vero e il Bene, o in altre parole verso Dio come l’Essere sotto l’aspetto del Vero e del Bene.
La dignità naturale della persona è diminuita non solo dal Peccato originale, ma anche dal peccato attuale. Tutte le persone che hanno raggiunto l’età della ragione (con l’eccezione della Beatissima Vergine) hanno peccato, dal momento che «se diciamo che non abbiamo peccato, inganniamo noi stessi e la verità non è in noi» (1Gv 2, 8). L’effetto del peccato mortale è quello di espellere Dio e la Grazia santificante dall’anima, se erano presenti, e di rendere l’agente uno schiavo del peccato, poiché «chiunque commette peccato è schiavo del peccato» (Gv 8, 34). L’effetto del peccato veniale è quello di privare l’anima di nuove grazie. L’effetto di entrambi i tipi di peccato è quello di indebolire il controllo dell’agente sulle sue passioni, che poi lo inclinano ad altri e più grandi peccati.
Riassumendo, come afferma il Papa Leone XIII(13): «Se l’intelligenza aderisce a idee false, se la volontà sceglie il male e si attacca ad esso, né l’uno né l’altra raggiungono la loro perfezione, ma entrambe perdono la loro originaria dignità e si corrompono». In effetti, in un passaggio che riguarda la pena capitale(14), san Tommaso afferma che un criminale, attraverso il peccato grave, «perde la sua dignità» simpliciter, cioè malgrado il suo orientamento radicale verso il Bene ed il Vero, essendo tale la malizia del peccato: Peccando, l’uomo si allontana dall’ordine della ragione e conseguentemente si allontana dalla sua dignità umana, nel senso che essendo naturalmente libero ed esistendo per sé stesso, si abbassa in un certo qual modo nello stato servile degli animali, così che si può disporre di lui secondo il modo più utile agli altri […]. Quindi, sebbene sia un male uccidere un uomo che conserva la sua dignità umana, tuttavia potrebbe essere un bene uccidere un peccatore(15).
ii) La dignità soprannaturale dell’uomo
Mentre la forma di dignità appena discussa è una dignità naturale derivante dall’attitudine naturale dell’uomo a conoscere ed amare Dio come Essere sotto l’aspetto del Vero e del Bene, vi è un’ulteriore forma di dignità accessibile all’uomo che è di natura soprannaturale e che deriva dalla conoscenza e dall’amore attuali dell’uomo per Dio in conformità con la Grazia soprannaturale.
Ora il primo modo nel quale san Tommaso intende che l’uomo è ad immagine di Dio, come abbiamo visto, risiede nella sua attitudine a conoscere e amare Dio; il secondo modo risiede nella sua conoscenza e amore attuali o abituali di Dio(16).
San Tommaso descrive il secondo modo come segue(17): in quanto l’uomo attualmente o abitualmente conosce e ama Dio, sebbene imperfettamente, e questa immagine consiste nella conformità alla grazia […]. La prima si trova in tutti gli uomini, la seconda solo nei giusti, la terza solo nei beati.
Sottolineiamo il fatto che la dignità derivante dalla conoscenza e dall’amore attuali per Dio in conformità alla Grazia soprannaturale non è propria di tutti gli uomini, ma solo dei fedeli che sono giusti: è la dignità posseduta dal santo e non dal peccatore, e posseduta in un grado più alto da un uomo più santo rispetto ad un uomo meno santo. Possiamo chiamare questa seconda forma di dignità “la dignità soprannaturale dell’uomo”(18).
Ora, come si è visto, il Peccato originale ha portato alla perdita della Grazia santificante e dei doni dell’integrità, ed è stato ereditato da tutti i figli di Adamo. Comunque è possibile sradicare il Peccato originale, nel suo senso più stretto come mancanza della Grazia santificante, per mezzo della Giustificazione.
La Giustificazione è un passaggio da quella condizione nella quale l’uomo è nato figlio del primo Adamo allo stato di Grazia e di adozione tra i figli di Dio attraverso il secondo Adamo, Gesù Cristo, nostro Redentore(19).
La Giustificazione in senso negativo è lo sradicamento del peccato; mentre nel senso positivo è la soddisfazione e il rinnovamento dell’uomo interiore. La Giustificazione è effettuata per infusione della Grazia santificante nell’anima dei fedeli attraverso il sacramento del Battesimo. Il Concilio di Trento cita l’avvertimento contenuto nel Vangelo di san Giovanni, 3, 5: «Nessuno può entrare nel Regno dei Cieli se non rinasce dall’acqua e dallo Spirito Santo». La fede che è richiesta per la Giustificazione nel caso del bambino piccolo è la fede della Chiesa(20), mentre nel caso degli adulti è una ferma accettazione delle verità divine della Rivelazione sull’autorità di Dio rivelante e le opere buone che procedono da questa fede, come il timore di Dio, la speranza, l’amore per Dio, il dolore, e la penitenza.
Se l’uomo perde la Grazia santificante a causa del suo peccato attuale, la può riacquistare attraverso il sacramento della Penitenza: egli riacquista la Grazia, gli è perdonato il peccato, e così assume di nuovo la dignità di figlio di Dio(21). È questa dignità soprannaturale di adozione per mezzo del Battesimo alla quale si riferiscono le seguenti parole di san Leone: «Riconosci, o cristiano, la tua dignità e prendi parte alla natura Divina, non ritornare ad una condotta depravata, alla tua miseria antica»(22); e nelle parole di san Giovanni Crisostomo: «[L’Apostolo] afferma che se, essendo battezzato, non ti lasci guidare dallo Spirito, tu perdi la tua dignità con la quale fosti onorato e avesti il privilegio dell’adozione»(23).
Luce delle montagne ~ F. Xavier Weiser. Recensione
Fede e Cultura 2013
Questo romanzo, capolavoro del padre Franz Weiser SJ, pur essendo breve, ricorda Dostoevsky per la sua narrativa appassionante, il suo realismo, la sua profondità psicologica, e la sua straordinaria potenza, sia emozionale che spirituale. La traduzione italiana è da racommandare per il suo stile scorrevole, conciso, ed idiomatico, anche se tende ad abbreviare il testo ed a trascurare la raffinatezza e sottigliezza letterarie e poetiche dell’originale tedesco.
Il trattamento rigoroso fatto dall’autore, delle virtù giovanili e la luce con la quale ne illumina la bellezza, prestano al libro un grande valore ed una grande attualità per la nostra epoca, caratterizzata da una dissoluzione morale e da una perdita di Fede quasi universali: da parte dei giovani in particolare. Per questo, la lettura del libro conviene altamente ai giovani di oggi, per ispirarli e per formarli a vivere da buoni cattolici in un ambiente sempre più ostile alla loro salvezza; ma conviene anche agli adulti per esaminare la propria condotta passata e per convertirsi, e, se sono sposati, per chiedersi quale modello rappresentino per i loro figli, e quale educazione gli forniscano.
*
Il racconto si svolge nella prima metà del secolo scorso, in una scuola di Vienna e nelle montagne del Tirolo.
Hans Moll, un giovane sedicenne, snello, alto, sciatore esperto, scende dalle montagne per passare un anno scolastico presso un suo parente lontano, Fritz Egger, il narratore della storia. La loro classe è divisa in quattro gruppi: i rossi, i neri, gli ebrei, ed il ‘Club’. L’ultimo gruppo, che è anche il più numeroso contando circa 20 membri, è quello dei borghesi liberali, noto per il loro atteggiamento spregevole verso il gruppo più piccolo, i neri, cioè i cattolici convinti. Fritz appartiene al Club, il suo parente, invece, si identifica subito come un nero.
Parecchie sono le prove del nuovo arrivato per vivere, e per testimoniare, la sua Fede, e per combattere tutte le tentazioni dell’adolescenza e gli attachi accaniti che gli orchestra senza rimorso il Club. In questa dura lotta il giovane Hans diviene simbolo della Chiesa stessa, preda del Mondo, ma vittoriosa su di esso tramite una resistenza virile e costante, in Colui che ci dà la forza.
Il suo parente, Fritz, personaggio complesso e debole, lo ama ed ammira, vuole essere coraggioso e grande come lui, ma appoggiandosi solo sulle proprie forze, e senza umiliarsi sotto il giogo della Fede e senza uscire dal suo stato di grave ed abituale peccato. Fà il doppio gioco: amico, confidente, e compagno di camera di Hans, ma dietro alle sue spalle complice del Club e del suo capo cinico e sinistro, il libertino benestante Kurt Berner.
Il primo momento drammatico del libro avviene a poche pagine dall’inizio, quando Fritz si alza dal letto, dopo che si sono addormentati suo parente e suo fratello minore, per cercare nel diario privato di Hans sulle sue escursioni in montagna, un brano che egli aveva voluto nascondere a loro. Tale brano, scritto il giorno del suo sedicesimo compleanno dopo aver ricevuto la santa Comunione, consiste in una preghiera in forma poetica: “Dammi che nel cuore, sia in gioia che in dolore, vegli la purezza forte, e che sulla fronte, raggiante come l’aurora, rida la gioa pura.” ‘Come rimisi il libro e andai a letto,’ continua il narratore, ‘non lo posso dire. Il senso di vergogna che mi sopraggiunse dopo dura ancora oggi’.
La purezza, infatti, assieme al sacrificio ed alla Fede cattolica, sono i temi principali del racconto, Queste virtù si manifesteranno alla fine del libro in tutto il loro splendore, ma anche in modo notevole quando i tre ragazzi arrivano alla casa di Hans per le vacanze di Natale.
L’incontro con la madre di Hans viene descritto da Fritz in questi termini: ‘Non sarei capace di spiegarvi cosa sentii in quel momento, ma, come una meraviglia, l’essere di questa donna mi rese felice fin dal primo istante. Mi pareva che irradiasse da lei un sole, grande e silenzioso, … sui tratti freschi della sua faccia giaceva il leggero ed acerbo bagliore di affanni matrimoniali e materni, di lavoro e di sacrificio nascosto. Dagli occhi brillava invece quell’unico e glorioso, quel caloroso e comunque tanto serio chiarore, di profonda ed altruista maternità.
‘E tutto quello costituiva per la donna una propria consacrazione. Era quella la cosa più bella in lei: qualcosa di inavvicinabilmente fresco e puro. All’epoca non sapevo cos’era. Un leggero sospetto mi disse che fosse qualcosa di ‘santo’. Mi pareva solo che mia mamma non lo possedesse, per quanto cara e buona fosse.
Più tardi scoprii la ragione: la madre di Hans portava Dio nel suo cuore con incrollabile forza e fedeltà. Riceveva ogni mattina la santa Comunione, e la bontà e l’amore ineffabili di Dio irradiavano dal cuore di questa donna un calore beatificante sul marito e sui figli.’
L’amicizia di Hans col suo parente, la sua testimonianza della Fede, ed il suo eroismo morale, malgrado il suo temperamento focoso e le sue lacrime, fanno riconoscere in fine a Fritz la propria miseria e lo spingono a sottomettersi a Dio, da Cui solo deriva ogni forza e grandezza; di prendere coraggio per fare una confessione generale e per convertirsi definitivamente alla Fede cristiana.
In Tirolo aveva scritto: ‘Questo meraviglioso mondo delle Alpi, in tutta la sua grandezza e maestosità, mi circondava come un mondo di sogno. Dietro di esso, in lontananza, potevo tuttavia scorgere la grande città avvolta nella nebbia, un’oscura massa di edifici che annegavano nel baccano e nella febbrile calca della vita cittadina. Era, riflettei con un brivido, la vera immagine della mia anima.’
Se la città grigia è l’immagine dell’anima di Fritz, l’immagine dell’anima del suo cugino, invece, anche se l’autore non lo dice esplicitamente, sono chiaramente le montagne, che costituiscono, per così dire, una delle dramatis personae principali del racconto. La grandezza, bellezza, splendore, e sublimità delle montagne non sono che simboli, infatti, delle qualità morali dell’anima dell’eroe, che trascendono il mondo intero, ed indicano, al di là ed al di sopra di se stesse, qualcosa delle infinite perfezioni di Dio.
Deo gratias!
Il Purgatorio nella rivelazione dei Santi (pdf)
RITORNO A CASA: DALLA GNOSI ALLA FEDE (.pdf)
Il matrimonio sotto attacco di Don Pietro Leone
Presentazione di Alessandro Gnocchi
Dal divorzio all’omosessualismo, è visibile una lunga linea rossa che evidenzia l’attacco all’istituzione matrimonio voluta da Dio. Prima ancora della ribellione contro la natura e le sue leggi, si tratta di una ribellione all’ordine della creazione stabilito una volta per tutte del Creatore. E, proprio quando servirebbe una parola chiara da parte della Chiesa cattolica e dei suoi pastori, ecco che ci si trova davanti a sinodi dove trovano cittadinanza, e sono persino maggioritarie, teorie che sovvertono l’ordine naturale e sovrannaturale del matrimonio.
In questo quadro, l’opera di don Pietro Leone compie un atto di vera misericordia, di carità intellettuale, nel rimettere le idee al loro posto, facendole camminare sui piedi e con la testa rivolta verso l’alto. Ed è proprio questo il pregio maggiore del lavoro di don Leone, quello di riconoscere a fondamento dell’ordine naturale il volere e la legge di Dio.
Un lavoro che si raccomanda per la sua profondità dottrinale e per il suo afflato spirituale che offrirà a chiunque lo legga gli strumenti per capire in che cosa consiste la vocazione al matrimonio e alla famiglia.
[ISBN-978-88-7497-976-9]